La Leggenda del castello di Sperlinga
In provincia di Enna, sulla rocca che domina la cittadina di Sperlinga sorge uno splendido castello medievale scavato nella roccia arenaria dove agli albori dei tempi sorgevano grotte sacre utilizzate come sepolcri dalle popolazioni indigene sicule: il Castello di Sperlinga.
Il suo nome deriva dal termine greco “spelaion” latinizzato in “spelunca” che in italiano significa “grotta”.
Il castello di Sperlinga, per la sua posizione elevata, è una vera e propria fortezza dotata di ponte lavatoio, prigioni, torri di avvistamento e fucine dove forgiare le armi, ma al di là della sua struttura rigida e schematica, al suo interno si respira un’aura magica e mistica in cui ogni decorazione non è fine a se stessa ma tramanda ai posteri un messaggio celato.
Come il flusso di luce del sole che penetra nel castello ogni solstizio d’inverno e d’estate.
Ma quello che colpisce immediatamente è la particolare iscrizione posta sull’architrave d’ingresso del castello:
“Quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit”
“Ciò che piacque ai Siciliani, solo Sperlinga lo negò”.
Un’iscrizione che racchiude, in queste poche parole, la drammaticità degli eventi storici vissuti in questo castello, i quali, con il passare dei secoli, si sono mescolati con i racconti popolari del luogo fino a fondersi tra di loro in una suggestiva leggenda che si racconta ancora oggi: La Leggenda del Castello di Sperlinga.
Una leggenda che lega questo castello agli eventi dei Vespri Siciliani, scoppiati in Sicilia, a Palermo, nel 1282, contro la dinastia francese degli angioini, che dominavano dal 1266 in modo feroce e opprimente la popolazione siciliana, specialmente dal punto di vista fiscale. La rivolta popolare ebbe inizio il 31 marzo quando, all’ora del vespro, dei soldati francesi si permisero di offendere una donna appena sposata. L’uccisione del soldato da parte del marito geloso, fu la miccia che fece esplodere il malcontento.
La rivolta si estese in tutta la Sicilia e tutte le città scesero in campo per combattere ed espellere la presenza francese dalle loro terre.
In questa narrazione storica si inserisce questa leggenda che racconta che, una guarnigione di francesi, trovò rifugio all’interno del castello e che venne aiutata dagli abitanti del borgo di Sperlinga che li nascosero e, insieme, resistettero agli assalti per 13 mesi.
Si narra che per far credere agli assedianti palermitani di avere molte provviste, suonassero le campane delle pecore in modo da far pensare che avessero ancora delle greggi e che mungessero il latte delle loro donne per poi farne delle piccole forme di formaggio che poi facevano rotolare fuori dalle mura.
Sperlinga fu l’unico borgo che non partecipò alla rivolta antifrancese e questo suo comportamento venne impresso sulla pietra del castello e ha generato un particolare modo di dire, infatti da quel momento i popolani cominciarono ad additare come “Sperlinga” chiunque si estraniava dagli altri e conduceva una vita solitaria.
Questa leggenda sembra aver trovato un possibile riscontro nel testo scritto dallo storico Michele Amari, “La guerra del vespro siciliano”, all’interno del quale l’autore riporta dei documenti che sembrano confermare le vicende narrate in quanto riportano che, in effetti, dei soldati angioini si rifugiarono proprio a Sperlinga e che resistettero nel 1283, per più di un anno, ai siciliani in rivolta, nell’attesa che arrivasse un aiuto da parte del loro esercito, ma alla fine furono sconfitti.
Storia e leggenda si intrecciano come sempre in ogni vicenda siciliana e ammantano di mistero e di fascino ogni luogo della nostra terra, per poi tramandarlo nei secoli come memoria e tradizione della Sicilia.