Primo Piano

La giravolta di Trump

Trump, a sorpresa, ha deciso di sospendere i dazi per 90 giorni tranne che per la Cina. Dopo aver lanciato il Liberation Day, per riequilibrare i rapporti di forza a favore degli Stati Uniti, facendo sprofondare le borse e innescando una crisi globale, Trump ha cambiato idea aprendo una fase negoziale.

Non è ancora chiaro il motivo di questa inaspettata sospensione, ma ieri, davanti al Congresso, la senatrice dem, Elizabeth Warren, ha chiesto “che venga aperta un’indagine per accertare se il presidente Trump abbia manipolato il mercato a vantaggio dei suoi donatori di Wall Street, mentre a pagarne il prezzo erano i lavoratori e le piccole imprese”.

In tanti sperano che Trump non faccia altre giravolte perché l’introduzione dei nuovi dazi statunitensi – in quello che Donald Trump ha definito il “Liberation Day” cioè il “giorno della liberazione” – ha alimentato la preoccupazione per il rischio che una vera e propria guerra commerciale e per il deragliamento l’economia globale.

Il Presidente degli Stati Uniti ai primi di aprile ha annunciato e imposto dazi “reciproci” sulle importazioni negli Stati Uniti, probabilmente i più alti dagli anni ’30, con un dazio universale del 10% e dazi più elevati verso i principali partner commerciali, tra cui Cina (34%), Unione Europea (20%) e Giappone (24%).

Tanti analisti ritengono che una controreazione scomposta potrebbe innescare una vera e propria guerra commerciale che, insieme all’incertezza, al calo della fiducia delle imprese e dei consumatori, spingerebbe l’economia globale verso la recessione.

Oltre all’impatto diretto sui flussi commerciali, il principale meccanismo di trasmissione dei dazi è, infatti, l’aumento dell’incertezza in merito alla politica commerciale, che rende più difficile, costoso e complesso per le aziende di tutto il mondo pianificare e svolgere la propria attività. L’incertezza, come spiegava Keynes, rallenta gli investimenti, ci convince a voler rinviare le decisioni di produzione e consumo. Il denaro (assieme ad altri strumenti finanziari) diventa un espediente per rimandare le nostre decisioni e conservare il potere d’acquisto. L’incertezza è legata all’incapacità, da parte degli agenti economici, di fare previsioni attendibili su eventi futuri, per mancanza di conoscenza.

Il che significa che non è possibile costruire un ventaglio di probabilità misurabile per ogni evento che potrà accadere. E non è possibile quantificare ex ante l’impatto che un evento avrà sui settori produttivi e sul commercio né tentare di porvi riparo, poiché non si ha nemmeno idea se questo accadrà o meno.

Le scelte dei soggetti economici (imprenditori, operatori finanziari, famiglie) in condizioni di insicurezza e le fluttuazioni della produzione e dell’occupazione che ne derivano sono il fulcro dell’analisi che l’economista britannico ha proposto nella sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, uscita il 4 febbraio 1936, in piena Grande Depressione.

Ora, sebbene molto dipenda dalla misura in cui i partner commerciali degli Stati Uniti reagiranno o avvieranno negoziati con l’amministrazione Trump, i dazi annunciati, implementati in una prima fase e poi sospesi, creeranno insicurezza e costituiranno un freno significativo alla crescita globale, una continua turbolenza del mercato e una preferenza per gli asset percepiti come più sicuri, come l’oro e il debito pubblico statunitense a breve termine. Senza alcun dubbio il grado di precarietà, che caratterizza il contesto decisionale degli agenti economici, è in questo contesto assai elevato.

Catene di produzione più complesse e potenziali significativi oneri amministrativi rappresentano questioni chiave che le aziende dovranno affrontare nei prossimi mesi. L’effetto a catena sarebbe probabilmente un aumento dei prezzi di beni e servizi (con conseguente crescita dell’inflazione) e una riduzione dell’attività economica. Anche se si evitasse una recessione, ci sarebbe una maggiore probabilità di una fase almeno temporanea di stagflazione, cioè di stagnazione congiunta all’inflazione in cui l’attività economica ridotta e l’aumento delle pressioni sui prezzi frenano la crescita economica. Le banche centrali – in particolare la Federal Reserve statunitense – potrebbero essere restie a tagliare i tassi in modo deciso fino a quando non emergeranno evidenze concrete di un indebolimento della crescita.

E mentre le borse di tutto il mondo – nonostante il rimbalzo dopo la sospensione dei dazi, hanno bruciato in pochi giorni una grande quantità di miliardi – alla mancanza di stabilità economica si aggiunge l’inaffidabilità di Trump che un giorno dice di voler distruggere la Cina, colpevole di essere diventata forte e potente e di esportare in tutto il mondo, il giorno dopo attacca l’Europa dicendo che gli Stati Uniti “pagano” la difesa dell’Europa e “loro ci fregano col commercio”. Il deficit commerciale di 350 miliardi di dollari con la Ue, ha detto il presidente, “sparirà in fretta”, perché “dovranno comprare l’energia.  “Se l’Europa vuole trattare – ha aggiunto – deve darci un sacco di soldi”.

In tanti parlano di fine della globalizzazione, ma anche Gli Stati Uniti ne pagheranno le conseguenze. Per l’economista della Columbia University, Jeffrey Sachs: “Washington sta distruggendo il sistema commerciale mondiale sulla base di colossali falsità”.  Per gli analisti di JPMorgan, a causa della nuova tornata di dazi voluti da Donald Trump, gli Stati Uniti “cadranno in recessione quest’anno”.

Anche L’Italia non è messa benissimo. La strada del dialogo è anche quella suggerita dal vice premier e ministro dell’Interno italiano, Antonio Tajani. “Siamo contrari alla guerra commerciale – ha affermato – ma anche la Commissione europea è contraria all’escalation. Oggi la posizione maggioritaria era quella di avanzare una trattativa. La guerra commerciale è una gigantesca sciocchezza”.


Uno scenario in cui l’Italia, secondo Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, può giocare un ruolo chiave “avendo ben presente che la risposta ai dazi americani deve essere europea e che per essere efficace occorre sia presa dopo un’attenta analisi di costi e benefici, ascoltando i mondi produttivi. C’è bisogno di una reazione determinata e ragionata, non di un semplice fallo di reazione, perché le nostre imprese, i nostri lavoratori e le nostre famiglie non troverebbero nessun vantaggio dall’estendersi di una guerra commerciale. Oggi più che mai è necessaria l’unità e la compattezza dell’Europa per condurre al meglio il dialogo e il negoziato, nella consapevolezza che l’Ue è un grande mercato, ha una grande capacità produttiva ed economica e ha gli strumenti per rispondere”.
Tra le forze di opposizione italiane, il Partito democratico ha esortato il Governo ad agire rapidamente. “Cara presidente Meloni – ha affermato Daniele Manca, capogruppo dem in Commissione Bilancio – i dazi stanno determinando cadute verticali delle borse in Europa e nel mondo, la follia di Trump costa cara ai risparmiatori, l’incertezza e la paura bloccano gli investimenti di famiglie e imprese. Sarebbe opportuno un vertice straordinario tra leader in Europa. Non è il tempo della fuga né quello della propaganda. È urgente agire con investimenti per sostenere la competitività delle imprese anche nella dimensione europea. Ciò rappresenterebbe, insieme alle misure nazionali, la conferma di una vitalità dell’Europa indispensabile per contrastare la caduta delle borse”

Sulla stessa linea il Movimento cinque stelle che accusa il governo di essere “confusissimo”.
Per il leader di Azione, Carlo Calenda, “se si riuscirà a fare dazi zero tra Usa e Ue può essere che la situazione non peggiori, ma se non succederà ci sarà una crisi equiparabile alla Grande depressione. Il tema non è solo quello che perderà l’export italiano, perché Trump ha impostato dazi a tutto il mondo quindi ci sono le perdite di export verso altri Paesi. È un meccanismo disastroso”.

D’altronde “rispetto al suo primo mandato – ha rilevato Jeffrey Sachs – Trump sembra attribuire meno importanza alle reazioni del mercato, ai consigli economici o all’opinione pubblica, adottando invece un atteggiamento unilaterale e conflittuale”. Non a caso “The Economist” gli ha dedicato una copertina dal titolo “Il nuovo ordine mondiale del Don”; l’immagine rappresentata è fin troppo esplicita: Donald Trump è paragonato a quello di Don Vito Corleone, protagonista de “Il Padrino”.

Anche Saviano, durante un’intervista su LA7, ha affermato che con i dazi: “Si arricchiranno i contrabbandieri” e che “la cultura di Trump è completamente mafiosa”.

Oggi la distanza tra governanti e governati sembra essere diventata incolmabile: il potere e il denaro accrescono l’egocentrismo fino alla megalomania. Chi governa non è più interessato alle conseguenze delle sue azioni, tanto poi a pagare sono sempre gli altri. Il dolore altrui viene ignorato e manipolato per raggiungere i propri fini egoistici.

La storia ci insegna che quando il potere è troppo, il confine tra normalità e abuso diventa davvero sottile.

Articoli correlati

Back to top button