La Fonte delle Ore a Donnalucata
«Il fonte, sacro a chi prega, cristallino per la tenue onda, dolcemente ribolle, dove il mare ferve di acque spumose.» Era il 1648, e con questi versi Vincenzo Celestre da Scicli, nella sua Elegia ad Patriam, ci donava una delle prime immagini poetiche della sorgente di acqua dolce nel mare di Donnalucata, meglio conosciuta come «la fonte delle ore».
Più di tre secoli dopo, sarà Severino Santiapichi, nel suo Romanzo di un paese, a scriverne ancora e a narrarne la storia: «Lungo la costa, l’acqua dolce, finalmente liberatasi dall’oppressione degli strati di roccia, affiorava copiosa frammista ai ricci dell’onda. Gli Arabi, approdando, videro i pennacchi delle polle nel mare, si dissetarono e dissero che era provvista approntata per loro, i fedeli di Allah, dall’infinita benevolenza di Dio… Quell’acqua sgorgava ma, forse, si distingueva soltanto nei momenti nei quali il mare non era colmo al completo, all’alba e al tramonto, tempi di due preghiere di Allah, clemente e misericordioso. A casa loro, e altrove, gli Arabi avevano sempre avuto un particolare riguardo per la preziosa acqua sorgiva. Ora aggiunsero a questo rispetto la devozione ad Allah, le lodi da tributargli volgendo il capo alla Mecca nel momento del pieno vigore delle polle, e chiamarono le sorgive di acqua dolce nel mare “fonti delle ore”, con rimando, appunto, al tempo delle lodi a Dio e al suo Profeta.»
Ma, al di là dei testi poetici o letterari, quali sono le testimonianze storiche sulla «fonte delle ore» di Donnalucata? E, soprattutto, cosa ne resta ai giorni nostri?
Storie, leggende, testimonianze
Le prime fonti sulla sorgente risalgono a quasi mille anni fa. Si tratta di testimonianze fornite da geografi arabi come ‘Al ‘Idrisi, che a metà del XII secolo, nel suo Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo (meglio conosciuto come Libro di re Ruggiero) annotava: «Presso Scicli è ancora la fonte chiamata ‘Ayn ‘al ‘Awqat (“la fonte delle ore”, detto oggi Donna Lucata) perché, fenomeno singolare, l’acqua vi sgorga nelle ore delle preghiere e smette in tutte le altre»; o come ‘Al ‘Umari, che nelle sue Escursioni della vista sui Reami della prima metà del Trecento, ricorda l’acqua che scorreva «alle ore delle preghiere».
Più dettagliato ancora sarà, all’inizio del Cinquecento, lo storico siciliano Claudio Maria Arezzo il quale, dopo aver girato l’isola e averne osservato personalmente i luoghi, ricorderà nel De situ insulae Siciliae del 1537 le due fonti di «Annalucata»: «la piccola foce della sorgente poco distante dal lito» e «di fronte, zampilli di acqua dolce tra le onde salse.» Sono, queste, le sorgenti ricordate alcuni decenni dopo anche dagli architetti incaricati dal Viceré spagnolo di percorrere il litorale per organizzare la difesa contro le incursioni ottomane: Camillo Camiliani, che parla anche di un edificio posto a difesa della sorgente; e, insieme a lui, Giovan Battista Fieschi, che ricorda navi corsare che si fermavano a fare «l’acquata».
Che le sorgenti siano due lo ribadisce, a metà Settecento, Vito Amico nel Lexicon Topographicum Siculum, là dove ricorda sia «il fonte non lungi dal lito» sia «l’affluentissimo gorgo di acqua che in mezzo ai flutti erompe»: «poiché due sono, come Arezzo dimostra. E con molta chiarezza vengono visti sia dal lido che dalla vicina magnifica torre del medesimo nome.»
Qualche decennio dopo, intorno al 1780, lo storico sciclitano Antonino Carioti conferma ancora l’esistenza di «due fonti di acque dolcissime e fresche, che tuttora esistono nell’ameno e delizioso scalo di Donnalucata», ma distingue – lui solo fra tutti – la sorgente nel mare come «fonte de’ tempi» e quella sulla spiaggia come «fonte di Ana Lucata». Quest’ultima, ai suoi tempi, era «quasi contigua al mare», anche se ormai priva di «quell’edifizio» che un tempo la difendeva dalle onde tempestose e dalla gran quantità di sabbia che ora, invece, ogni tanto la ricopriva.
Da questa descrizione risulta evidente che la «fonte delle ore» si trovava sulla cosiddetta Spiaggia di Ponente, vicino allo scaro, e non su quella di Levante (o quella di Micenci).
Sempre Carioti narra una storia, la «leggenda della sposa», secondo la quale sarebbe esistito un segreto cunicolo sotterraneo che metteva in comunicazione la sorgente che sgorga in mezzo al mare con un fiume sotterraneo che passava sotto la collina di Santa Lucia a Scicli. Qui era la Grotta del Trappeto, meglio conosciuta come Grotta delle Cento Scale, perché al suo interno era una scala incavata nella roccia che, scendendo nelle viscere della terra, metteva in comunicazione la collina fortificata e l’antico castello con la sorgente di acqua pura e potabile. La leggenda narra che una giovane donna appena sposata, incuriosita da questa scala, si avventurò e scese fino alla voragine delle acque. Ma giunta sul limitare della sorgente sotterranea le sdrucciolò il piede, e la sfortunata cadde dentro le acque e annegò. Alcuni giorni dopo, nel mare di Donnalucata, accanto alla sorgente, affiorò una delle scarpe della povera sposina, una «pianella con alto tallone». «Ciò fece osservare – conclude Carioti – che le acque di quella voraggine, accompagnate d’altre acque, correndo tre miglia di sotterranea strada, sboccano con impeto in quel mare».
Di questa fonte sottomarina, infine, il nostro storico sciclitano ricorda le virtù terapeutiche, che spingevano i medici a consigliare i bagni nella miscela di acqua dolce e salata.
Nell’Ottocento, a scrivere sulla sorgente di Donnalucata sarà un altro storico sciclitano, Giovanni Pacetto, che nei suoi Ricordi archeologici (1872) scrive del «copioso fonte esistente in quella spiaggia, e il grande gorgoglione che sorge nell’interno del mare, a dieci passi distante dal lido.»
Le sorgenti e il loro destino
Nella prima metà del Novecento la situazione cambia. Come faceva notare Cesare Grinovero nel volume Bonifica di Scicli (1932), a partire dal primo dopoguerra, con lo sviluppo della coltura del pomodoro primaticcio, si era di fronte, ormai, a un «regime idraulico profondamente modificato dall’uomo nell’utilizzazione delle acque vive, sorgentizie ed ancora sotterranee». Nel caso di Donnalucata ne è un esempio l’impianto di sollevamento di Emanuele Mormino in località Dammusi, «circa 400 litri d’acqua continua sotterranea in parte superficiale cui attingono i sollevamenti meccanici in esercizio.»
Tutto ciò determina lo spegnersi di una delle nostre sorgenti. Nel 1932 lo storico Mario Pluchinotta parla ancora di «diverse polle d’acqua dolce che affiorano alla superficie del mare, distinguendosi nettamente dalla acqua salsa… nel tratto di mare prospiciente a questa borgata, a brevissima distanza dalla spiaggia». Ma, poi, su Donnalucata scrive: «la denominazione del tratto di spiaggia dove sorse è di origine araba ed ha origine da un’antichissima fontana intermittente oggi scomparsa».
Nel 1970 Bartolo Cataudella fa la stessa osservazione: in quegli anni della fonte di Donnalucata non restava che il nome (anche se i ricordi dei pescatori di Donnalucata parlano di una sorgente intermittente laddove ora si trova il Circolo Nautico). Sul mare, invece – ricorda Cataudella – «affioravano ancora, a qualche passo dalla spiaggia, fino a pochi anni or sono, i cosiddetti “ùgghi”, quasi “bollori”, d’acqua dolce, tra le acque saline: polle, che scomparivano e riemergevano, di tratto in tratto».
Nel frattempo, lo ricordiamo, viene costruito il porticciolo e si cominciano a collocare frangiflutti a ‘difesa’ della costa. L’intervento dell’uomo cambia, così, profondamente la fisionomia del litorale.
Al 1992 si data, infine, la prima descrizione scientifica delle sorgenti fornita da Aurelio Aureli, docente di Geologia applicata presso l’Università di Palermo, in uno studio su Le sorgenti sottomarine della Sicilia e della Calabria. Nei pressi del porticciolo Aureli individua cinque sorgenti. La prima «a 20 metri dalla riva, 40 m ad Ovest del molo, ai piedi dei blocchi di calcestruzzo posti a contrastare l’erosione operata dall’azione delle onde sulla scarpata rocciosa della riva». Si tratta di varie bocche sorgentizie «parzialmente ricoperte dalla sabbia, che il moto ondoso rimuove e riporta». La seconda sorgente è in realtà un insieme di bocche, più o meno ravvicinate, che sgorgano a circa 3 metri di profondità e a 80 metri circa dalla riva ad Ovest del molo. Sulla spiaggia, infine, vi è una terza piccola sorgiva (la cui bocca è solo cm 5×10) «che le onde più impetuose mascherano o cancellano». Le ultime due sorgenti (nessuna delle quali, però, è la nostra «fonte delle ore») vengono individuate ad Est del molo.
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L’intervento dell’uomo sulla Natura sembra, così, aver modificato il corso millenario delle sorgenti donnalucatesi. Delle due fonti citate dagli storici una, ormai, quasi non esiste più. L’altra, fortunatamente, continua a vivere sott’acqua, protetta dal nostro mare.
Facciamo allora in modo che l’ultima «fonte delle ore» di Donnalucata continui ancora a sgorgare scandendo i tempi della nostra vita, e che non diventi solo un ricordo sbiadito di anziani pescatori. Preserviamola, custodiamola, valorizziamola; perché essa è parte integrante della nostra storia e della nostra identità.
Articolo a cura dell’Associazione Etna & Natural Reserves
L’Associazione Etna & Natural Reserves nasce con l’obiettivo di promuovere la solidarietà e l’aggregazione sociale, la cultura, i viaggi, il tempo libero attraverso la diffusione di attività culturali collegate alla natura e all’ ambiente, in particolare: Escursionismo, Turismo Sociale, Attività di accompagnamento con la promozione di itinerari tematici, Gite di gruppo organizzate e personalizzate, e tutte quelle altre attività intese come mezzo di formazione morale dei soci e strumento di valorizzazione, tutela e conoscenza del territorio e dell’ambiente. Obiettivo principale è la sensibilizzazione delle vecchie e delle nuove generazioni all’ importanza della biodiversità, degli habitat naturali, degli ecosistemi, alla lotta ad ogni forma di inquinamento, alla conoscenza del nostro patrimonio etno-antropologico, artistico, architettonico, storico, archeologico, all’importanza delle tradizioni enogastronomiche tipicamente mediterranee, viaggiando insieme a noi.