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La crisi ucraina e gli effetti sulla sicurezza alimentare

È sempre dopo che scoppiano le crisi che ci rendiamo conto di quello che si sarebbe potuto fare e non si è fatto. Esse rivelano realtà che non conoscevamo e ci accorgiamo della fragilità dei nostri sistemi. Lo è stato con il Covid, quando abbiamo scoperto, nella incredulità collettiva, che alla Cina ci legava una dipendenza anche per il materiale sanitario (come le mascherine) oltre a scoprire, poveri noi, l’assenza di un piano di crisi nazionale sulla salute pubblica; ce ne rendiamo conto oggi con la guerra in Ucraina che siamo legati a doppio filo dall’approvvigionamento energetico dalla Russia e in parte anche dall’Ucraina per alcune materie prime.

Lo shock che stiamo vivendo mostra due cose: la mancanza di visione sulla possibile evoluzione della geopolitica nel vicino est, pensando che rimanesse per sempre lo status quo finora conosciuto (eppure da tempo c’erano avvisaglie!); ma cosa ancora più grave il posticipo dell’implementazione di politiche esistenti.

La guerra in Ucraina ci ha messo di fronte ad un pericolo, anche se non immediato per i paesi UE, ma possibile e latente: quello della sicurezza e sovranità alimentare. In risposta a ciò lo scorso 23 marzo la Commissione europea ha proposto nella comunicazione “Proteggere la sicurezza alimentare e rafforzare la resilienza dei sistemi alimentari” una serie di misure per venire incontro agli agricoltori, che saranno discusse domani 7 aprile dal Consiglio europeo dei Ministri dell’Agricoltura. Pur condividendo l’idea generale di “offrire un sostegno mirato ai produttori (…), senza tuttavia compromettere gli obiettivi a lungo termine di un sistema alimentare più resiliente e sostenibile”, le soluzioni che si stanno profilando non sembrano totalmente coerenti con i problemi che vivono i produttori oggi, specialmente quelli piccoli che sono la maggioranza. Seppure dovrebbe essere attivato dal fondo di crisi (ed è la prima volta che ciò avviene) un pacchetto di aiuti di 500 milioni di euro, che ogni Stato per la propria quota parte può integrare fino al 200% di cofinanziamento, c’è il rischio che diventino una cifra irrisoria considerando che in Italia ci sono 1,5 milioni di imprese che a vario titolo sono state colpite dal conflitto bellico. C’è da sperare piuttosto che domani si propenda per applicare ai fondi non spesi della programmazione della PAC 2014-2020 (anche se vi è stata l’estensione fino al 2022) la flessibilità cosi come è stato fatto per FESR e FSE durante la pandemia. Vedremo!

A destare maggiore preoccupazione tra le proposte sono le deroghe alle deboli normative esistenti in tema di tutela del suolo, della salute dei consumatori, della biodiversità e dell’ambiente. Secondo le misure proposte dalla Commissione, gli Stati europei potranno importare cibo e mangimi con livelli di pesticidi più alti di quelli attualmente consentiti e di favorire la produzione di OGM. A preoccupare anche la riduzione dei prezzi dei concimi chimici di tipo minerario e la sospensione della politica di messa a riposo dei terreni (il cosiddetto set aside) che finora ha garantito una produzione alimentare sostenibile a protezione del suolo e dell’ambiente. La riconversione alla produzione dei terreni posti a maggese, non può arginare oggi il rischio della sicurezza alimentare. Parliamo di circa 9 milioni di ettari, che riuscirebbero a stento a coprire il fabbisogno per un anno del 20% degli europei.  Se invece, come approccio generale che doveva essere pensato già da tempo, si riducessero del 10% gli allevamenti intensivi già oggi si potrebbe moltiplicare di tre volte il grano prodotto tra un anno. Se al posto di ridurre i costi dei concimi chimici si adottassero tecniche di produzione biologica si potrebbero avere rese fino al 90% superiori, cosi come attestano diversi autorevoli centri di ricerca (es: centro studi Areté).

Anche se la sospensione del set aside è stata annunciata come una misura temporanea (ma fino a quando, non è possibile immaginarlo adesso) gli effetti nel medio e lungo periodo di sfruttamento indiscriminato dei terreni congiuntamente all’uso di fertilizzanti chimici avrà effetti sul suolo e sul suo inquinamento ipotecando ancora di più di quanto non lo sia oggi la biodiversità senza considerare gli effetti che scelte di questo genere avranno sul clima e sul fatto che avremo certamente una agricoltura meno resiliente.

Da anni, forse decenni, si parla e si legifera per fare di più per la protezione del suolo, per salvaguardare la biodiversità. La transizione ecologica di cui tanto di parla e la visione green della nuova PAC (in applicazione dal 1 gennaio 2023) erano la risposta agli scempi in agricoltura perpetrati per decenni.

È sufficiente una crisi, scoppiata a miglia di distanza da noi, per rimettere in discussione tutto con il rischio concreto e reale di frenare il cambiamento, trainato dai piccoli produttori già provati dalla crisi energetica che sta mettendo a serio rischio la tenuta di tante piccole imprese agricole che a differenza dei grossi gruppi, per sopravvivere, dovrebbero scaricare gli aumenti dei costi produttivi sul prezzo finale. Una soluzione non fattibile in un settore ad alta concorrenza.

In un mondo globalizzato, in un sistema economico dove ogni Stato è sempre più dipendente dalla stabilità degli altri oltre che da fattori esterni (e lo stiamo vedendo) se manca la visione si rischia di mettere in pericolo sistemi ed economie. Se si fosse investito di più sulla agricoltura biologica e sostenibile. Se si fosse investito di più sulle nuove fonti di energia rinnovabile e sull’indipendenza energetica – di cui si discute da più di un decennio a livello europeo – invece di chiedere deroghe volute dai grandi gruppi – che hanno avuto anni e tempo per adeguare i loro sistemi produttivi –  oggi dovremmo concentrare la nostra preoccupazione e canalizzare il nostro impegno sull’aiuto umanitario ad un popolo stremato dalla guerra e non far fronte ad aumenti spropositati che mettono a rischio di povertà e di vulnerabilità imprese e famiglie. Diverse associazioni, imprenditori, studiosi ed esperti di agricoltura stanno cercando di far sentire la loro voce per dire che l’unica via possibile per una vera sicurezza e sovranità alimentare dell’UE è di privilegiare e favorire la transizione ecologia e riconoscere un supporto adeguato ai piccoli imprenditori agricoli.

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