Intervista a Josè Trovato: «Cosa Nostra, la più pericolosa del Pianeta»
Il giornalista professionista e scrittore leonfortese, Josè Trovato, non di ferma e racconta la cruda, e vera, realtà della propria Terra con l’occhio analitico del cronista attento. Il suo ultimo libro s’intitola “Mafia 2.0… 21 – Nel cuore della Sicilia comandano iene, sciacalli e maggiordomi di Totò Riina”. La sua è un’inchiesta sulla più potente organizzazione criminale presente nell’entroterra siciliano.
La mafia oggi è 2.0 con un punto fermo, ben radicato nel passato, cui anche i nuovi capi si ispirano. Qual è la verità storica e quale quella attuale? Può condurci in un viaggio attraverso le evoluzioni?
Beh innanzitutto va messo in chiaro un elemento: non dobbiamo cadere nell’errore di pensare che “tutto” sia mafia. Esistono dinamiche criminali che non sono mafiose, ma che al tempo stesso sono decisamente preoccupanti. Nel cuore della Sicilia tuttavia studiamo soprattutto un fenomeno ben preciso, un’organizzazione criminale che è la più pericolosa del Pianeta e che si chiama Cosa Nostra (poi c’è anche la Stidda ma è un fenomeno minore e parallelo, per quanto turpe), tanto sanguinaria ed aberrante, nelle sue connotazioni, da aver costretto lo Stato a una legislazione ad hoc e provvedimenti importantissimi per la sopravvivenza stessa della democrazia, come l’articolo 416 bis del codice penale, un unicum; o il carcere duro per i boss, poco “umano” ma essenziale. Anche questa organizzazione, in certi versi ancor più della criminalità comune, è divenuta gioco-forza 2.0 per provare a contrastare tecniche investigative sempre più importanti e innovative da parte degli apparati dello Stato. Tecniche che personalmente, anche se mi rendo conto di sostenere un’opinione che alcuni potrebbero giudicare quasi “estrema”, reputo valide e fortemente incisive, come i cosiddetti “trojan”, che ritengo strumenti validissimi poichè lo Stato, unico titolato per legge al cosiddetto utilizzo della forza, approcciandosi a un mondo che rischia di sfuggirle di mano, ha il dovere di tenersi al passo con i tempi. La mafia 2.0 lo è nella misura in cui si muove per utilizzare la tecnologia come strumento di “lavoro”.
Chi comanda la mafia oggi?
Anche qui dobbiamo precisare che stiamo parlando di Cosa Nostra, perchè dobbiamo tenere presente che in Europa, secondo il rapporto di Europol del 2017, operano almeno 5000 mafie. Ecco Cosa Nostra, parere unanime da me ampiamente condiviso, è attualmente comandata da Messina Denaro, che non è certo, come credono alcuni, soltanto un nome inesistente. Messina Denaro esiste per davvero, numerose intercettazioni e deposizioni dei collaboratori di giustizia anche recentissimi lo dimostrano con ben pochi dubbi, e ha creato un sistema che si muove nel solco della strategia dell’immersione di Provenzano, resa a sua volta 2.0 poichè più moderna e aperta verso nuove tecniche di approvvigionamento.
Alla luce delle indagini da lei condotte, pensa si possa configurare il rischio di nuove stragi? È ormai noto a tutti che costituiscano il metodo mafioso più feroce di lotta allo Stato.
Definire la mia attività “indagine” è tecnicamente errato, perchè come tutti i cronisti il mio è soprattutto un lavoro di ricerca. Purtroppo poi i temi che emergono sono così nascosti che vengono ritenuti quasi inediti. Spero con tutto il cuore di non essere smentito (e non certo per me stesso), ma sono convinto che in questo momento storico la mafia non ci pensi neppure a organizzare delle stragi. Il modello dei Corleonesi, la lotta allo Stato, viene tradizionalmente sconfessata da qualunque tipo di organizzazione criminale. Sarebbero i mafiosi stessi i primi a non comprendere il motivo di una nuova strage, loro che con lo Stato sono abituati a fare affari, sfruttandone le istituzioni locali, raggirandole o andando a braccetto con esse.
Esiste un limite netto tra attività mafiose e legali, oggi?
Esiste una linea netta tra ciò che è legale e ciò che non lo è. E sono convinto che questa linea, i mafiosi, la conoscano alla perfezione. Ciò non toglie che amino trascorrere la loro vita dalla parte sbagliata della linea. Mi sembra di comprendere che lei intenda discutere degli intrecci tra attività economiche “sane” e quelle soggette a infiltrazioni. Ecco, quello è un universo su cui, a mio avviso, le forze dell’ordine non dovrebbero mai stancarsi di lavorare. Perchè ogni volta che il denaro della mafia viene reinvestito nell’economia cosiddetta “sana”, allora quella è una sconfitta per l’intera società civile.
Ha traslato lo spot televisivo “Se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide”. La mafia è, dunque, paragonabile all’Aids?
E’ stata solo una battuta, piuttosto estemporanea, nel corso di un’intervista, però ne sono profondamente convinto. La conoscenza del fenomeno mafioso è ciò che i clan più temono. Ho sempre pensato che un mafioso non si arrabbi se lo definisci “mafioso”, ma se cominci a far conoscere a tutti i suoi traffici, i suoi intrallazzi, l’origine delle sue fortune, allora spesso li fai arrabbiare. Sono consapevole di averlo fatto, di aver “scavato” nelle loro tasche e denunciato il loro affare, però onestamente dell’ira dei mafiosi non mi è mai importato nulla.
L’etichetta di “giornalista antimafia” le sta stretta. Come preferisce definirsi?
Giornalista e basta. Più in generale, l’etichetta antimafia a mio avviso andrebbe attribuita solo a chi lo fa per definizione, dunque agli organi investigativi, alla Dda, alla Dia e alle altre forze dell’ordine. La storia ci ha insegnato che l’estensione semantica del termine antimafia è quanto di più pericoloso possa esistere, per la lotta alla mafia. Forse il messaggio del maestro Leonardo Sciascia, un po’ per ragioni di carattere storico, un po’ perchè le sue parole sono sempre state soggette a strumentalizzazioni e quasi mai valutate per il loro significato autentico, andrebbe ben spiegato alla gente: stiamo alla larga dai professionisti dell’antimafia, ma non stiamo alla larga da chi combatte la mafia. Nella mia provincia, fino a pochissimi anni fa, c’erano solo loro a farlo: investigatori, magistrati e giudici. Gli imprenditori non denunciavano (salvo rare e illuminate eccezioni), le amministrazioni usavano la mafia come “riempitivo” per i loro eventi, e la gente non ne parlava. Oggi se ne parla, ma si fa ancora troppo poco. Le associazioni antiracket, almeno dalle mie parti, sono ancora troppo poche, i Comuni di rado si costituiscono parte civile ai processi di mafia e gli imprenditori non hanno fiducia nello Stato, salvo, lo ripeto, rare e illuminate eccezioni.
Perché il suo libro merita attenzione e da parte di chi?
Alla prima parte della domanda non devo certo rispondere io, perchè sono l’autore e sarei di parte. Io però mi aspetto che questo libro venga letto da chi opera nel diritto, dagli addetti ai lavori, dagli avvocati, dalle forze di polizia, perchè in qualche modo spero (con il mio minuscolo lavoro) di poter contribuire a una lettura senza inganni della verità; poi dai ragazzi e dai loro maestri; infine dagli amministratori pubblici, la stragrande maggioranza dei quali, però va detto, nell’Ennese hanno ben chiaro il proprio ruolo di “istituzione pubblica”. Il vero lettore che mi aspetto di trovare, però, è il giovane, lo studente, lo scolaro (perchè no?), colui che deve per la prima volta – dato che le offerte formative volute dai ministeri non lo fanno – confrontarsi con oggetti di studio differenti dai cosiddetti “insegnamenti di base”. Un tempo si diceva che la scuola deve insegnarti a leggere, a scrivere e a far di conto. Ecco, secondo me dovrebbe insegnarti a leggere, scrivere, far di conto e distinguere il bene dal male. La mafia è il male.
Nel 2009, è stato sottoposto a stretta vigilanza delle Forze dell’Ordine causa una serpeggiante minaccia di morte. Non ha timore, dopo questo suo nuovo libro, che possa accadere di nuovo?
In ventuno anni ho raccontato le pagine più buie della storia della mia Terra. Ho ricevuto avvertimenti, minacce, insulti, strane lettere di diffida puntualmente ignorate (ho avuto ben più rispetto invece per quelle serie, perchè sono un convinto garantista), per cui posso dire senza tema di smentita che la paura l’ho esorcizzata da tempo. Dunque no, non ho paura, un po’ perchè sicuro della presenza delle forze dell’ordine, che nella mia provincia camminano dieci passi avanti rispetto ai delinquenti; e un po’ per quello che ho detto prima: oggi la mafia è sommersa, fa affari, non cerca gli onori delle cronache. Ora, stavolta per ragioni personali e facendo tutti gli scongiuri del caso, spero di non essere smentito dai fatti. Tuttavia ritengo che se colpissero me accenderebbero riflettori che di certo non farebbero bene alla loro causa. Giro in macchina da solo per la provincia e frequento anche zone poco frequentate. Non smetterò certo di farlo, come non smetterò di raccontare la mia Terra. Mai. E’ la prima volta che lo dico in maniera così netta, ma la verità è una: se mi facessero del male sarebbe la loro fine. E “loro” lo sanno bene.