Il terremoto del 1818 nel catanese
Alle ore 1,10 italiane del 20 febbraio 1818, vi fu una forte scossa di terremoto che interessò la regione etnea e fu avvertita fortemente in tutta la Sicilia e, più leggermente nella Calabria meridionale e a Malta. Gli effetti più gravi riguardarono l’immediato entroterra di Acireale: le borgate di Aci Consolazione e Aci Santa Lucia furono pressoché completamente distrutte; crolli estesi a gran parte dell’abitato si verificarono ad Aci Catena, Aci Platani, Aci San Filippo e Aci Sant’Antonio. Complessivamente quasi 60 centri subirono crolli di edifici o danni generalizzati al patrimonio edilizio, compresi alcuni paesi dei versanti settentrionale e occidentale dell’Etna; in altre 40 località circa avvennero danni più leggeri. In generale, la presenza di scadenti tipologie edilizie amplificò ovunque gli effetti del terremoto. A Catania in base ai rilievi condotti dall’Intendenza, 1.768 case risultarono danneggiate, di queste oltre il 35% furono dichiarate cadenti e dovettero essere puntellate o demolite. La città era stata interamente ricostruita dopo il terremoto del 1693, era quindi “nuova“ dal punto di vista dello stato di conservazione del patrimonio edilizio. Le perizie attestarono che il terremoto danneggiò edifici caratterizzati da evidenti e gravi difetti di costruzione: molte case non erano state dotate di fondamenta sufficientemente solide, altre erano state innalzate o ampliate in un secondo momento, causando uno squilibrio tra la mole delle costruzioni e le fondazioni. L’1 marzo 1818, alle ore 9,30 italiane, una seconda scossa colpì la Sicilia orientale, in particolare la regione iblea, danneggiando gravemente Militello Val di Catania, Mineo, Ragusa, Vizzini e numerosi altri centri. La scossa causò ulteriori leggeri danni a Catania e fu sentita fortemente nell’acese. Gli eventi sismici del febbraio-marzo 1818 ebbero un elevato impatto sulla vita sociale ed economica delle aree interessate. Le vittime furono 72 ed i feriti circa 100; i danni al patrimonio edilizio furono stimati dalle autorità di governo in 560.000 onze. Le popolazioni colpite dovettero affrontare un periodo di disagi che si sommò alle precarie condizioni socio-economiche contestuali. Negli anni precedenti, la crisi della produzione agricola, le ricorrenti gravi carestie, il crollo del commercio e dell’industria della seta, i disordini e l’incertezza politica seguiti alle leggi di eversione della feudalità e alla restaurazione borbonica avevano accresciuto notevolmente il numero degli indigenti e peggiorato le condizioni di vita generali in gran parte della Sicilia orientale. Le autorità governative ricorsero ad una politica di forte imposizione fiscale per drenare le risorse necessarie a soccorrere i bisognosi e a contenere la disoccupazione attraverso i grandi lavori stradali e le opere pubbliche. Nella fase dell’emergenza, il fermento acuì questa situazione di grave precarietà: molte amministrazioni locali mancavano anche dei fondi necessari alla costruzione di baracche. A medio termine, invece, i danni sismici rappresentarono un’occasione favorevole al consolidamento e all’ulteriore sviluppo della politica di intervento pubblico nel settore edilizio. Ciononostante, in diversi casi, i lavori di ricostruzione furono condotti affrettatamente e diedero vita a fenomeni speculativi, che aggravarono le tensioni sociali preesistenti. Numerose fenditure si aprirono nel terreno in tutta l’area dei massimi effetti: profonde spaccature nel suolo furono osservate anche a Catania. In seguito alla scossa del 20 febbraio 1818, effetti di maremoto si verificarono a Messina, dove l mare entrò nelle strade cittadine; a Brucoli una barca ferma nel porto toccò tre volte il fondo. Secondo osservatori diretti, per tutta la giornata del 20 febbraio le acque del golfo e nel porto di Catania subirono oscillazioni di modesta entità, accompagnate da un “ribollimento” della superficie e, secondo alcuni, da un aumento della temperatura. (1) Presso l’Archivio di Stato di Catania abbiamo cercato e reperito la documentazione che riguarda il terremoto del 1818, di cui illustriamo alcuni dati. Dall’esame della tabella n. 116 si evince che i 36 comuni del Distretto di Catania, che più avanti si elencheranno, furono suddivisi in quattro tipologie classificatorie a seconda del danno subito e cioè:
Prima classe che ha sofferto le massime rovine.
Seconda classe che ha subito danni generali.
Terza classe che ha subito danni medi.
Quarta classe che ha subito danni lievi.
Nella prima classe, che subì le massime rovine, rientrarono i comuni di: Aci Sant’Antonio – Aci San Filippo- Aci Bonaccorso- Mascalcia- Maletto- Piedimonte- Tremestieri- Zafferana- Viagrande- Trecastagni.
Nella seconda classe, che subì danni generali, rientrarono i comuni di: Catania, Aci Reale, San Gregorio, San Giovanni di Galermo, Nicolosi, Randazzo, Trecastagni, Viagrande.
Nella terza classe, che subì danni medi, rientrano i comuni di: Sant’Agata li Battiati, Belpasso, Bronte, Castiglione, Calatabiano, Camporotondo, Fiumefreddo, Gravina Plachi, Linguaglossa, Massa Annunziata, Mascali, Giarre, Motta Santa Anastasia, San Pietro Clarenza, Pedara.
Nella quarta classe, che subì danni lievi, rientrarono i comuni di: Adornò, Aci Castello, Biancavilla, Misterbianco, San Giovanni La Punta, Paternò, Trappeto.
Dai dati contenuti nella tabella 11, di cui al numero d’ordine 20, si rileva che per i danni della chiesa Madre sono stati stanziati 38 tarì, 16 grani e 15 piccioli. Per le case private (nel contesto delle “case che compongono interi quartieri, o che sono sparse nei comuni restaurati coi risparmi”), 38 tarì, 16 grani e 15 piccioli. Sempre nella busta n. 4209, nella tabella n. 50, leggiamo al quadro primo e secondo, ovvero: “Restaurazioni, puntellature ed altro delle fabbriche danneggiate in Catania e nei paesi affidati alla Commissione per i Tremuoti”. “Casa della Bara: Per riparare la casa della Bara scelta per locale del SS. Sacramento, stante opere di molto danneggiate quella Madre Chiesa giusta la deliberazione fatta dell’appalto in persona di monsignor Santo Platania, per onze 29, grani 7 e 10 piccioli”. Sempre nella busta n. 4209, nella tabella n. 17, rileviamo le: “Osservazioni dell’Intendente”: La Chiesa Madre più di ogni altra fabbrica fu in tale modo danneggiata, che fui nella necessità di far costruire una baracca per l’esercizio delle funzioni ecclesiastiche: questo temporaneo provvedimento fa conoscere l’urgenza che la Chiesa venisse riparata prestamente: che perciò riguardarsi indispensabile un soccorso per la chiesa non meno che per la classe degli inabili. I fondi del comune presentano poche risorse. Non si è calcolata nella rubrica de’ soccorsi la spesa della baracca ed il numero de’ legni perché non si è ricevuto dalla Commissione il risultato che riserva rimetterlo allorché terminerà le incombenze alla stessa affidate per tanti comuni, nel conto generale di tutte le erogazioni. Osservazioni dell’Intendente sul resto delle indicazioni degli edifici danneggiati e divisi in
Chiesa Madre
Opere senza rendite sostenute da limosine.
Chiesa Madre: Valore approssimativo del danno: onze 250.
Natura del danno nell’intero comune:
Caduto – % (0,0 %)
Cadente – 2/16 (12,5 %)
Lesionato – 14/16 (87,5 %).
Complessivamente i danni avvennero:
In case e corpi di proprietari abili: in 5 case di diversi proprietari- valore approvato del danno secondo le relazioni- onze 42- non soggette a dazio giacchè il comune è sotto i 2.000 abitanti.
In case e corpi di proprietari inabili: in 70 corpi di case in piano terreno- valore approvato del danno secondo le relazioni – onze 469. (3)
Bibliografia:
Enzo Boschi – Graziano Ferrari – Paolo Gasperini – Emanuela Guidaboni – Giuseppe Suriglio – Gianluca Valensise – Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461 a. C. AL 1980- Istituto Nazionale di Geofisica.
Archivio di Stato di Catania – Intendenza Borbonica- Busta n. 4209 – Tabella con numero esterno 116.
Archivio di Stato di Catania – Intendenza Borbonica- Busta n. 4209- tabella n. 11 riferita a Motta Santa Anastasia.