Il nostro canto di Natale
A dicembre, le città brillano di luci scintillanti che vibrano, come piccole lucciole, e diffondono bagliori che riempiono di allegria. Luci che si fondono insieme in un unico grande trionfo di colori e di festosità che ci abbaglia illudendoci di essere paghi di una felicità in realtà effimera. La plasticità delle decorazioni e delle immagini inghiotte nella materialità ogni nostro sentire. E noi, condizionati da tutta questa luminosità, ondeggiamo smarriti e dimentichiamo il significato profondo di questi giorni. Così, spinti da un delirio ossessivo, ci affanniamo a comprare decine e decine di regali e ci accalchiamo all’interno di negozi stipati fino allo stremo. Inghiottiti da questo vuoto consumismo non ci accorgiamo che ci rinchiudiamo sempre più nei nostri robusti gusci. Ma forse è proprio per questa nostra sensazione di mancanza che ogni anno, sentiamo il bisogno di rileggere l’intramontabile storia di Charles Dickens “Canto Di Natale” che, ultimamente è stata riproposta da Netflix in un nuovo film animato.
E, come sempre, siamo rimasti affascinati dal vecchio Ebenezer Scrooge, l’avaro banchiere londinese che odia il Natale, perché per lui è solo una pausa dal lavoro in cui non può guadagnare ed è comunque costretto a pagare il suo umile contabile. Scrooge, l’uomo arido che incarna il nostro moderno modo di vivere, la nostra mancanza di empatia nei confronti degli altri perché la nostra spinta altruista si è persa nell’egoismo individualista che contraddistingue la nostra quotidianità.
La sua figura ci attrae, poiché, nonostante la sua vicenda sia ambientata nell’Inghilterra del 1843, questo ricco uomo d’affari, è uno di noi: un uomo dei nostri tempi, chiuso nel proprio egoismo e proteso al raggiungimento dei propri obiettivi senza alcuna preoccupazione per chi viene escluso e schiacciato. Questa sua straordinaria somiglianza, che supera i confini del tempo, ci spinge, anno dopo anno, a rileggere la sua storia, a viverla insieme a lui per sentirci coinvolti nel suo stesso percorso di redenzione con l’illusoria speranza che ci sia una via di salvezza anche per noi. Perché tutti vorremmo essere come Scrooge e avere il coraggio di riscoprire la nostra vera dignità di uomini, di riconoscere i nostri errori e avere la forza di cambiare, in modo radicale, il nostro modo di rapportarci con gli altri.
Tutti vorremmo essere capaci del suo stesso riscatto morale.
Ognuno di noi vorrebbe avere il suo personale canto di Natale.
Così trepidiamo con lui e attendiamo impazienti di incontrare i tre spiriti, quello del Natale passato, del presente e del futuro.
Ci lasciamo catturare dal loro fascino pauroso mentre li osserviamo condurre Scrooge in un immaginario viaggio nelle profondità del suo io.
Lo spirito del Natale passato lo riporta indietro nel tempo e gli permette di rivivere la sua infanzia segnata dalla morte della madre ma anche dal grande affetto della sorella Fanny.
Invece lo spirito del Natale presente lo costringe a rendersi conto della vacuità del denaro. Molte famiglie, compresa quella del suo impiegato Bob, che lui sottopaga, festeggiano in pace e serenità, senza sentire la necessità di possederlo.
Infine l’ultimo spirito, quello del Natale futuro gli spalanca davanti l’abisso di una morte solitaria, senza che nessuno pianga per lui e i suoi beni rubati dai suoi stessi dipendenti per essere venduti.
Leggendo la storia di Scrooge, acquisiamo anche noi consapevolezza dei nostri egoismi, ma se vogliamo che la nostra società riemerga dal fondo in cui è precipitata, non dobbiamo ignorarli, ricacciandoli nei meandri più oscuri della nostra coscienza, nell’esatto momento in cui chiudiamo il libro. Dimenticando così quel palpito di risveglio interiore che ci ha illuminato per il breve tempo di lettura.
Solo quando avremo capito che questo nostro insano attaccamento al denaro, che questa nostra continua brama di potere, sono ossessioni che ci stanno divorando, potremo riscattare la nostra umanità e aprirci agli altri esattamente come Scrooge.
Perché in fin dei conti è proprio questo il messaggio che continua, inalterato negli anni, a scorrere tra le righe di questa stupenda storia: se vogliamo estirpare i mali che affliggono la nostra società, dobbiamo iniziare da noi stessi e redimere la nostra interiorità senza mai dimenticare che tutti indistintamente facciamo parte di un’unica grande consorteria umana all’interno della quale vige una sola regola.
La solidarietà reciproca.
Un messaggio che, se troviamo il tempo di soffermarci a riflettere, ci ha consegnato, duemila e ventidue anni fa, un piccolo bambino, nato in una mangiatoia, in una notte stellata.