Il luogo di morte e di mummificazione di Federico III
I Cavalieri Templari, o i Gerosolimitani, mummificarono il corpo del re di Sicilia Federico III (1296-1337) prima che venisse sepolto nella cattedrale di Catania e ne seppellirono il cuore e gli altri organi in un convento di San Giovanni Gerosolimitano in territorio di Misterbianco in contrada Mezzocampo?
La notizia della attività di espianto degli organi interni, propedeutica all’imbalsamazione del corpo del re di Sicilia Federico III, che alcuni storici indicano come Federico II, ci viene fornita da Guglielmo Policastro, che cita quale fonte Pietro Speciale, il quale avrebbe riportato la stessa in un suo manoscritto che, dice il Policastro dovrebbe trovarsi nella biblioteca comunale di Catania. Così scrive Policastro: “Narra Pietro Speciale (manoscritto il Bibl. Comunale Catania) che l’astrologo Donato da Brindisi aveva predetto al Re Federico II che sarebbe morto “ nelle parti gerosolimitane”; predizione che pareva incredibile, ma essa si avverò. Federico si trovava nel castello di Enna, in procinto di trascorrervi l’estate, allorchè fu colto da un malore e decise di far ritorno nella sua capitale, in Catania. Ma giunto che fù a Paternò, aggravatosi dovette riparare nel’ospedale dei gerosolimitani, ove morì sullo spirar di quel mese di giugno del 1337. La notte istessa del trapasso, ne fu imbalsamata la salma e lasciatone il cuore, sepolto in quella chiesa, sotto la guardia dei cavalieri crociati, la regale spoglia fu trasportata con ogni pompa nella sua Catania, che non cessava di piangere l’eroico re.”. (1) Pietro Speciale, apprendiamo da Giuseppe Maria Mira che, fu un: “ Cavaliere palermitano. Si distinse nelle armi, nelle lettere e nella poesia. […] scrisse altre opere latine e italiane che andarono perdute”. (2) I manoscritti che si trovavano nella Biblioteca Comunale di Catania, in data anteriore al 1875 (anno di pubblicazione del testo del Mira) sono passati in parte alle attuali Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero di Catania dove, però, non è stato, ancora, possibile rintracciare il testo citato dal Policastro; i manoscritti della Biblioteca Ventimiliana, invece, sono passati all’attuale Biblioteca Regionale Universitaria di Catania, nella quale ad oggi non è stato possibile rintracciare tale manoscritto. Federico III D’Aragona fu certamente il più grande, amato e lungimirante Re che ebbe la Sicilia, dopo Ruggero II (così indicato in quanto succedeva al padre Ruggero I il quale, però, non venne mai insignito del titolo di Re, ma solamente del titolo di Granduca); il suo regno fu il più lungo che la storia siciliana ricordi, oltre 40 anni, nonché quello che assicurò al Regnum Siciliae il più proficuo periodo di pace, stabilità e prosperità.
La verificabilità e la credibilità della notizia riportata da Guglielmo Policastro
La verifica della notizia fornita dal Policastro, anche in assenza del riscontro diretto che proverrebbe dalla lettura del testo manoscritto di Pietro Speciale, può essere attuata sia attraverso l’indagine sugli usi e costumi dell’epoca con riferimento alle pratiche imbalsamatorie dei più importanti personaggi di Sicilia, di prassi in quell’epoca, ed anche attraverso l’esame delle cronache coeve di Nicola Speciale e Michele da Piazza. Le cronache dei due succitati autori ci hanno fornito solo un parziale riscontro sulla procedura di imbalsamazione seguita dai Cavalieri Templari sul corpo del Re di Sicilia Federico III; dovendo, però, evidenziare come lo specifico evento, nelle trascrizioni operate nei secoli successivi al XIV, l’evento sia riferito con alcune differenti formulazioni. Riscontri specifici sulle prassi imbalsamatorie utilizzate nei secoli che vanno dal XII al XVI, comunque, li abbiamo potuti trarre dai contenuti di testi di altri autori. Così nel testo trascritto dal Gregorio del racconto fatto da Nicola Speciale: “Tunc vero terribilis visu, atque humana corda metu concutiens, ea ratione vide licet, quia vel pestilentiam, vel famem, vel bella, vel mutationem regum innuit, inter australes occidentale sue partes, crinitum sycius, quod a greco idiomate nomen ducit, cometes apparvit, qui regis obitum nuntiavit.”. (3) Diverso il racconto dell’evento nel manoscritto che trascrive la cronaca di Michele da Piazza: “[…] terribilj visu, atque humana corda metu conentieny cavatione vide licet q vel pesti lentia, vel fame, vel bella, vel mutatione regis annui inter australes occidentalesque party crinitu tyocy, quod a greco idiomate nome ducit cometas apparvit, qui regis obitu.”. (4) Un riscontro alla notizia l’abbiamo da Giuseppe Buonfiglio Costanzo che, scrivendo nel 1738, così racconta le vicende successive alla morte di Re Federico III: “Fu il corpo del Re sparato [separato ?], & imbalsamato riposto in una cassa coperta di ricchissimo panno d’oro, & di notte portaro nella Rocca di Cattania, dove si fecero realmente l’essequie con la frequenza de’ signori, & della nobiltà del Regno, […].”. (5) La notizia è comunque credibile atteso che in quell’epoca era una consolidata prassi, non solo aragonese, mummificare i corpi non solo dei Re ma anche dei più importanti personaggi della Real Casa Aragonese e delle altre Reali Case, come, per altro, sostenuto dal Prof. Gino Fornaciari. La conferma di questa pratica imbalsamatoria ci proviene specificatamente dai lavori di Silvia Marinozzi e Gino Fornaciari che tra il 1983 ed il 1987 hanno realizzato, tra l’altro, uno specifico progetto che appurasse le tecniche di imbalsamazione nelle mummie dell’Italia centro meridionale, intitolato specificatamente “Progetto Aragonese”. Nella realizzazione di tale progetto, scrive il Fornaciari, sono stati condotti: “ […] esami antropologici e paleopatologici sulle salme custodite nei 44 sarcofagi conservati nella sacrestia monumentale della Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli.”. (6) Specificatamente le prassi di imbalsamazione aragonesi prevedevano, dice ancora il Fornaciari: “ […] un sistema d’imbalsamazione “ufficiale”, che prevede essenzialmente le seguenti fasi: lunga incisione longitudinale dal collo al pube per l’eviscerazione della cavità toraco-addominale; craniotomia; scarnificazione del corpo; reiterati lavaggi delle cavità eviscerate con acqua salata o aceto o acquavite; aspersioni esterne ed interne di polveri e ceneri, calce o gesso; riempimento delle cavità cranica, toracica ed addominale; bendaggio del corpo. Le mummie artificiali rinvenute nell’Italia centro meridionale rappresentano un esempio tangibile dell’applicazione di tali procedure,[…].”. (7) Anche le salme dei Monarchi svevi ed aragonesi conservate a Palermo testimoniano le pratiche di imbalsamazione dell’epoca riservate ai personaggi importanti; nella foto sottostante il disegno della salma dell’imperatore Federico II che così viene descritto in un atto rogatorio del Senato di Palermo: “ Fu apertu unu di li supra ditti monumenti di porfidu, lu quali è a manu sinistra, comu si trasi pri la porta di ferru; in lu quali chi fu truvatu un corpu mortu […] tuttu interu […].”. (8)
Una ulteriore testimonianza, fra le tante, delle procedure di imbalsamazione dei personaggi di rilievo nella Sicilia, anche del XVI secolo, la possiamo trarre dalla cosiddetta “Cronaca del Merlino”, allorché descrive l’imbalsamazione del corpo del viceré di Sicilia, Don Ettore Pignatello, contenuta in una lettera di Pietro di Vivicito, maggiorente catanese, imbalsamazione realizzata nel 1535: “Ogi ad hura di vinti huri cum suntuusi exequii fu sepellutu lu signuri vicerre don Hettore Pignatello, non sencsa lacrimi di chi lo mirava, et per li signorie vostre intendiri lu modu di lo exequio lo scrivo. Morto chi fu apersero il corpo et livarochi li interiura tutti e lo cori; lo implero di cauchi et certi altri pulviri et cuserolo. Per supra la testa chi levaro la medulla, como si soli fari a soi pari, misirolo intro la sala di lo castello […].”. (9)
Quale fu il convento dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni Gerosolimitano in cui morì Federico III?
Nel 1331 Re Federico associa al Trono il figlio Pietro, che diverrà Re di Sicilia il 29 giugno 1337, dopo la morte del padre Federico avvenuta il 25 giugno dello stesso anno. Alcuni storici sostengono che Re Federico morì nella casa-ospedale gerosolimitana intitolata a San Giovanni Battista, esistente allora a Paternò: ipotesi che non trova, però, conferma nei racconti di molti, importanti, storici; tale notizia non trova riscontro nelle cronache di Jeronimo Curita Olivan De Castro, storiografo ufficiale della Real Casa d’Aragona, che narra una diversa storia legata a tale vicenda. Rispetto alle affermazioni di alcuni storici che indicano Paternò come il luogo in cui morì Re Federico, registriamo che il racconto che il Curita fa di tale vicenda non sembra autorizzare la conferma di Paternò come luogo della morte di Re Federico nel 1337. Il Curita afferma, infatti, che Re Federico morì mentre da Paternò andava verso Catania: «Viuio el rey don Fadrique despues muy pocos dias: el qual siendo muy viejo, e enfermo de gota, passando de Paterno a Catania, murio en el camino en una iglesia de la Orden de S. Iuan de Ierusalem Miercoles a veynte y cinco del mes de Iunio deste anno, aviendo recipido los sacramentos de la Iglesia come muy catolico Principe». (10) Il Curita, quindi, dice chiaramente che la morte del Re Federico avvenne mentre lo stesso si stava spostando da Paternò a Catania, «passando de Paterno a Catania, murio en el camino», nella Chiesa di San Giovanni dell’Ordine gerosolimitano: in quella stessa chiesa, probabilmente, che si trovava all’epoca tra la “Terra della Mota di Santa Anastasia” e Catania, come riferito nelle cronache dell’epoca, nella contrada detta di Mezzocampo, ancora oggi così chiamata e, attualmente, appartenente al territorio del comune di Misterbianco; in epoca successiva la chiesa di San Giovanni Gerosolimitano prende il nome di chiesa di “Santa Maria della Nunciata”. In quella stessa contrada di Mezzocampo, nel XVII secolo venne ritrovata una stele (cippo di confine romano) che, secondo alcuni storici, segnava i confini tra Catania e l’antica città di Etna-Inessa ( l’odierna Motta Santa Anastasia) (11), o, nel dubbio sollevato dallo stesso Carrera, tra il territorio di Catina e la parte del territorio di Catina annesso all’Ager Publicus romano e la cui pietra di confine si trova, oggi, nel Castello Ursino di Catania. (12)
Della stessa opinione, rispetto al sito in cui morì re Federico III, è Giovan Battista Caruso, il quale sostiene che la struttura in cui morì Re Federico III si trovasse tra Paternò e Catania: “ Entrata però l’està del nuovo anno 1336, cadde egli infermo, mentre viaggiando trovavasi per istrada alloggiato in una chiesa dell’Ordine degli Ospedalieri, posta tra Paternò e Catania; e peggiorando a momenti, perduta ogni speranza di vita, dichiarò nel suo testamento, che, […].”. (13) Anche Antonino De Stefano indica una località tra Paternò e Catania quella in cui il Re Federico III morì: “Il suo animo era colmo di ansie, di preoccupazioni, di timore, quando nel maggio del 1337, egli aveva voluto recarsi a Castrogiovanni per passarvi l’estate. Per via, a Resuttana un grave malore lo colse improvvisamente. Presago della sua fine imminente , volle essere trasportato a Catania, presso le reliquie di Sant’Agata, a cui egli era particolarmente devoto. Ma tra Paternò e Catania, in un convento dei Cavalieri di S. Giovanni, il 25 di giugno 1337, moriva. […] Nicolò Speciale, che andava narrando la storia del suo regno, spezzò alla sua morte la penna.”. (14) Anche Salvatore Fodale sostiene che Federico III non morì a Paternò, ma in un sito vicino Catania: “Da tempo soffriva di gotta. Decise di mutare la destinazione, per farsi trasportare in lettiga alla più lontana Catania, forse anche per ottenervi l’intercessione di S. Agata. Morì lungo il tragitto, passata Paternò, non lontano da Catania, il 25 giugno 1337, in un ospedale dei cavalieri di S. Giovanni Gerosolimitano.” . (15) Corrado Mirto, ugualmente, citando quali fonti Nicolò Speciale, l’Anonimo ed il Curita, indica un luogo tra Paternò e Catania quello in cui morì Re Federico III: “Federico III voleva morire a Catania, vicino alle reliquie di S. Agata, alla quale era particolarmente devoto, e perciò fu messo in una lettiga portata a spalla a turno dagli abitanti dei luoghi che si attraversavano, i quali accorrevano silenziosi al passaggio del triste corteo. Tra Paternò e Catania, però, egli si aggravò e fu costretto a fermarsi in un convento dei Cavalieri di San Giovanni dove, munito di conforti religiosi ed abbracciando la Croce, spirò il 25 giugno 1337 all’età di quasi sessantaquattro anni, dopo quarantuno anni di regno.”. (16) Della stessa opinione è Antonino Marrone che sostiene come: “ […] Federico III muore nella chiesa di San Giovanni Gerosolimitano tra Paternò e Catania.”. (17) Più ricco di dettagli il racconto che della morte di Federico III e delle settimane precedenti ne fa Stefano Vittorio Bozzo: “Il ventotto aprile 1337 re Federico si recava in Palermo; dopo due giorni dall’arrivo, il trenta, l’università [ di Palermo]che pativa tanto difetto di mezzi per sopperire alle proprie bisogne, e che non trovava denaro per pagare i propri creditori, […]. Il diciannove di maggio il re lasciava la capitale del regno, e prendeva la via ti Termini, avviandosi con tutta la sua corte per Castrogiovanni, dove di consueto passava la state,[…]. Già da un pezzo il travagliava la gotta, ed avea fornito meglio che due terzi del cammino, quando, oltrepassata appena Polizzi, a Resuttana d’improvviso ammalava gravemente.”(18) Ed ancora: “ Ma questa dolorosa continuazione del viaggio di Federico era funestata anche più dall’apparire d’una terribile cometa, foriera del disastro che piombava sulla Sicilia; infatti il sofferente sovrano giunto ad un Ospizio di Cavalieri di San Giovanni Gerosolimitano tra Paternò e Catania, incapace a sopportare altrimenti il disagio della via, dovea fermarvisi, comprendendo ch’era per lui pensiero inattuabile quello di procedere ancora più oltre.”. (19) E nell’Ospizio dei Cavalieri Gerosolimitani tra Paternò e Catania: “ Il mercoledì venticinque giugno, dopo aver in tal modo provvisto alle bisogne del regno, dopo aver con ogni fervore munita l’anima dei conforti religiosi per l’estremo passaggio, benché sempre scomunicato e si alieno anche in quel punto dal chiedere l’assoluzione dell’interdetto, […] Federico moriva, moriva in quell’Ospizio di Cavalieri Gerosolimitani.”. (20)
L’individuazione del sito della chiesa/convento di San Giovanni Gerosolimitano tra Paternò e Catania.
Chi giunge in auto dalla tangenziale, provenendo dall’autostrada che da Siracusa porta a Catania, e si immette nello svincolo che conduce sia Catania che nell’area commerciale di Mezzo Campo, in territorio di Misterbianco, appena superata la curva e prima di imboccare il nuovo svincolo che immette direttamente nella predetta area commerciale, può chiaramente notare, sulla destra ai piedi della collina in direzione est ed a poca distanza dal cosiddetto “Monte Cardillo” (trattasi di una collina di circa 300 metri sul livello del mare), il frontespizio di una struttura muraria costituita da una serie di archi antichi, osservabili nella sottostante foto, contornati all’interno del sito da resti murari di vaste proporzioni. Passando in velocità con la macchina, la prima impressione che scaturisce dalla visione di tali archi induce, solitamente, chi guarda a ritenere che possa trattarsi dei resti di un antico acquedotto, atteso che i resti dell’acquedotto che da S.M. di Licodia portava l’acqua nella Catania romana si trovano a circa 100 metri di distanza dalla struttura in questione.
La curiosità di osservare con più calma tale struttura mi ha indotto a fermarmi sul bordo della strada, ad osservare con più calma i particolari della struttura ed a scattare alcune foto, utilizzando lo zoom. Dopo aver esaminato le foto, alcuni particolari della struttura indicavano con chiarezza che gli archi frontalmente visibili erano parte di una struttura più complessa che si sviluppava in profondità, come si può rilevare dalla sottostante foto, e contornati da resti di strutture murarie emergenti dal terreno che sembrano indicare ciò che rimane del perimetro di un recinto difensivo.
Dall’esame delle due precedenti foto e di altre scattate nel corso della prima ricognizione, gli elementi architettonici rilevabili sembravano, sorprendentemente, compatibili con alcuni elementi caratteristici delle Chiese Paleocristiane di Sicilia del quarto, quinto e sesto secolo; ovvero muri perimetrali “A portico esterno” e le cosiddette “Volte a botte”(21), come quelle visibili nella precedente foto. Dopo aver operato una ricerca storica relativamente alla presenza di questa o di altre chiese nella zona, o di altri elementi che potessero dare indicazioni sulla storia della struttura in questione, o indicazioni su collegamenti topo-geografici con il predetto sito, ritenevo di aver acquisito elementi estremamente probanti in ordine alla possibilità di poter individuare di quale chiesa si trattasse e di alcuni eventi storici importanti ad essa collegati: ovvero la chiesa che, almeno dal XIII secolo, viene chiamata di San Giovanni Gerosolimitano, detta di Mezzo Campo e successivamente di Santa Maria della Nunciata, detta altresì, successivamente, dell’Annunciatella o della Nunziatella. Dopo aver esaminato il testo di Guido Libertini sulla “Basilichetta Bizantina” di Monte Po, pubblicato nel 1928, e le foto degli scavi ivi pubblicate, potevo escludere con assoluta certezza che si trattasse dello stesso sito. Il dubbio che vi fosse la possibilità che nel sito in questione fosse presente, precedentemente, una chiesa paleocristiana rimane, atteso quanto scritto da Vittorio Giovanni Rizzone in merito alla mancata individuazione del sito della chiesa fatta costruire dal vescovo siracusano Stefano, dedicata a San Giovanni nel territorio di Catania. Cosi il testo di Rizzone: “L’affidabilità delle notizie sull’attività del vescovo siracusano Stefano viene confermata anche dal fatto che la chiesa da lui fondata al di fuori del territorio della propria diocesi, la Chiesa dell’Ospedale di San Giovanni a Catania, viene menzionata nell’epistola di Pelagio I al defensor Opilione del 559.”. (22) Medesimo riferimento alla chiesa fatta costruire dal vescovo Stefano ci proviene da uno scritto di Mariarita Sgarlata: “Il vescovo Stefano avrebbe costruito una chiesa dedicata a Sant’Arcangelo in Motokis, dove sarebbe stato poi sepolto, forzatamente ricondotta ai pochi e quasi illeggibili resti di un edificio di culto localizzato sul Cozzo Sant’Angelo presso Modica; a questa prima informazione si aggiunge i riferimento, di cui non si è trovato alcun riscontro archeologico, alla chiesa da lui fondata al di fuori del territorio della propria diocesi, la chiesa dell’ospedale di San Giovanni a Catania, contenuto nell’epistola di Pelagio I al defensor Opilione del 559.”. (23) Non è da escludere che le chiese della Nunziatella assieme alla chiesa di Monte Po, relazionata dal Libertini nel 1928, facciano parte del consueto trittico di chiese che venivano erette contestualmente nei primi secoli del cristianesimo per santificare un territorio; i resti della terza chiesa potrebbero trovarsi nelle immediate vicinanze di Monte Cardillo, come sembrerebbero testimoniare un disegni di Houel. Dopo aver predisposto una relazione storica, decidevo di utilizzarla quale segnalazione da inviare alla Sovrintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Catania. La predetta relazione-segnalazione veniva depositata in data 16 dicembre 2015 ed acquisita al protocollo della Sovrintendenza in data 22 dicembre 2015, al n. 22883. In data 1 marzo 2016 la Sovrintendenza decideva di effettuare un sopralluogo nel sito segnalato, a cui lo scrivente veniva, gentilmente, invitato a partecipare . (24)
Elementi storico-contestuali relativi alla contrada Mezzo Campo e Nunziatella.
Per poter correlare le notizie storiche più antiche riferite al sito di contrada Nunziatella bisogna partire dalle notizie fornite da Georg Walter nel 1625 (25) e da Pietro Carrera nel 1639 in ordine al ritrovamento di un cippo di confine che ambedue collocano all’ingresso della chiesa in contrada Nunziatella, in funzione nel 1624; il predetto cippo di confine è oggi allocato nel cortile del Castello Ursino e ritratto nella sottostante foto. Ecco come il Carrera descrive il ritrovamento del cippo di confine nei pressi della chiesa della Nunziatella(26): “Tre miglia lontano dalla Città per ponente nella contrada, che dicon Mezzo Campo, dirimpetto alla chiesa dell’Annunciatella si ritrova una Pietra di Mongibello alta di terra quattro palmi, e tre sottoterra, la cui maggior larghezza ha due palmi e mezzo. In quella faccia si legge a grandi lettere CONS, dall’altra parte in una riga a piccioli caratteri FINES, e in un’altra riga UR/, cioè, URBIS. Di sotto segue una linea, e appresso un’altra parola, che non si può leggere per esser disfatta la scrittura. Questa pietra, quasi diece anni sono, fu qui piantata dal Ministro di essa chiesa, ma ritrovata nell’entrata di quella, a pena per tre canne di distanza dal luogo, dove hora sta. Si dimostra esser posta nel tempo de’ Consoli Romani per terminare qualche gran differenza di confini, che all’hora fosse tra la città di Catania e altra (Etna); o più tosto tra la medesima, el publico del dominio romano [ager publicus; sc.].”
Il cippo di confine predetto, un Consularis, secondo il Carrera delimitava i territori di dell’odierna Catania e della città di Etna-Inessa ( l’odierna Motta Santa Anastasia). (27) La presenza nel sito del predetto cippo “Consularis”, normalmente collocato lungo le strade romane, è fortemente indicativo della possibile presenza nelle immediate vicinanze della struttura del percorso del primo tratto della strada romana “A termis – Catina”; il primo tratto collegava l’odierna Catania con l’antica città di Etna-Inessa, l’odierna Motta Santa Anastasia. (28) Anche Guido Libertini ( che probabilmente indicò erroneamente la chiesa esplorata nel 1925 a Monte Po come la chiesa della Nunziatella, da cui dista circa 500 metri, trovandosi la chiesa della Nunziatella in territorio di Misterbianco e non di Catania) ritenne che la via a Termis-Catina passasse da quella zona, tra Monte Po e contrada Nunziatella: “ […] dalla lussureggiante vegetazione si estendono verso est, lungo l’erboso sentiero, fiancheggiato da olivi secolari, indicante l’antica strada che andava da Catania a Palermo [ a Termis-Catina]. (29) Essendo posto sul confine tra le due città, non è aprioristicamente escludibile che il cippo fosse posto nelle immediate vicinanze di una Mansiones Romana. Che nel sito di cui trattasi vi potesse essere un qualche insediamento in epoca romana ( non necessariamente una Mansiones ), possiamo desumerlo dalla testimonianza storica di Francesco Ferrara. Il Ferrara scrive della chiesa della Nunziatella, indicandola come la Chiesa di San Giovanni di Mezzocampo, riferendo di alcuni ritrovamenti archeologici:(30) “ […] sopra ben conservati sugelli di terracotta […] la 3. Anche sopra sugello rotondo in creta con due giri di lettere, e nel centro NES. Fu trovata nella chiesa della Nunziatella a poche miglia da Catania fra rovine di nobili edificij, ed acquistata dal canonico Roccaforte”.(31) La presenza del cippo, inoltre, collega il sito a Gaio Gracco ed alla commissione triunvirale “Tresviri Agris Dandis Adsignadis” , che: “ [… ]venne composta da Gaio Gracco, Appio Claudio e Licinio Crasso Muciano, e più tardi dopo la morte di Appio Claudio e di Licinio nel 130 a.C., da Gaio Gracco, Fulvio Gracco e Papirio Carbone, tutti e tre appartenenti al partito popolare di Roma. Essa potò a termine un enorme lavoro, attestato ancor oggi da cippi di confine che si ritrovano da un capo all’altro d’Italia”. (32) La chiesa della Nunziatella potrebbe essere stata inglobata all’interno di un Pagus, già esistente nel III secolo d.C., così come affermato da Carmelo Sciuto Patti. (33) Lo Sciuto Patti, infatti, ci fornisce l’elencazione e la descrizione di alcuni dei più importanti Paghi esistenti, a suo avviso, sul territorio dell’antica Katana, ovvero i Paghi del Monte Cardillo, di Monte Po, di Nesima, delle Terre Forti, delle Erbe Bianche (o Bazzano), di Tiritì ecc.; queste due ultime contrade, Bazzano e Tiritì, rientrano infatti in toto o in parte nel territorio dell’odierna Motta Santa Anastasia. Circa l’epoca nella quale possiamo datare l’esistenza del “ Pago di Monte Cardillo”, ovvero il III secolo d.C., è ancora lo Sciuto Patti che la indica: “Or da questo documento risulta evidente la esistenza nel terzo secolo, di diversi Paghi nelle vicinanze di Catania, e precisamente sulla falda meridionale dell’Etna, che sovrasta a quella città; come altresì che questi paghi si erano in molti e popolari, e tali d’arricchire una moltitudine di villici, come il sacro testo riferisce [Acta Mart. S. Agatae apud Bolland.]; come infine risulta indubitato l’essersi avverata in quel secolo, e precisamente intorno all’anno di grazia 253, una grande eruzione dell’Etna, che minacciò Catania e che invase e distrusse, al certo, taluno dei paghi allora esistenti nelle vicinanze di essa.” (34) La zona sottostante Monte Cardillo faceva parte delle cosiddette “Terre Forti di Catina”, zona a fortissima vocazione vinicola, la cui coltivazione è perdurata fino all’inizio del XX secolo. Per le dinamiche storiche che hanno caratterizzato l’organizzazione socio-economica ed il culto delle divinità protettrici di coloro che abitavano i “Paghi”, lo Sciuto Patti ritiene che nel Pago di Monte Cardillo si celebrasse il culto di Bacco, quale divinità protettrice.(35) La quasi certa presenza di un Pago Romano nel sito della chiesa di Santa Maria della Nunciata (Maria SS. Annunziata), presenza documentata dai ritrovamenti archeologici documentati da Francesco Ferrara, non ci permette di escludere aprioristicamente che nel medesimo sito possa esservi stato un “Pakis” ellenico; atteso che non è raro il caso che sul sito di un’antico “Pakis“ ellenico, si sia, nel tempo, sovrapposto un qualche insediamento romano. Così Lucio Sciacca: “Quarantanni fa ( 1939 ), la piccola borgata di San Giorgio era tutta concentrata nella parte alta dello stradale omonimo, nelle cosiddette “Botteghelle“, come veniva allora indicato quel rione di casette, in gran parte rurali. Non molto distante dalla città ) dal Fortino, si e no, quattro chilometri ), vi si giungeva attraverso via Palermo e via Fossa della Creta, poi si tirava a mancina e qui, in direzione di ponente, s’incontrava questo stradale di terra battuta e brecciolone che, incassato nelle prime colline delle Terreforti, menava al centro della borgata, esaurendosi quindi in un bivio, un braccio del quale, quello meridionale in forte pendenza, portava alle contrade di Cardinale e Cuba, l’altro a Nunziatella, in territorio di Misterbianco. Nell’area compresa in quella.”. (36) Ugualmente esistono riscontri che collegano il territorio di contrada Nunziatella ai Templari: “[…] il Papa confermò a Guglielmo, Maestro dell’Ordine del Tempio in Sicilia, il possesso del tenimento chiamato Pantano Salso vicino Lentini ed una barca da pesca. Nella donazione del conte Rinaldo erano compresi terreni nella piana di Lentini, nonché diritti di pesca sul fiume omonimo. Il Papa concesse, inoltre, il privilegio di incanalare l’acqua del fiume per alimentare il “vivarium” ( la peschiera) della Magione di S. Leonardo. […] Da S. Leonardo dipendevano le terre, i beni, i diritti di pesca e possesso di acque situati tra il mar Ionio, il fiume grande Lentini, le terre appartenenti alla città di Catania, fino a Montealbo [l’antica Misterbianco]. Nel 1312 non tutti i beni templari siciliani passarono ai Giovanniti [ Ordine Gerosolimitano], molti laici, ecclesiastici ed altri ordini religiosi se ne impadronirono. E’ certo, invece, che S. Leonardo del Tempio di Lentini passò ai Giovanniti.”. (37)
Alcune foto realizzate durante il sopralluogo dell’1 marzo 2016.
Nel corso del sopralluogo effettuato dalle Unità Operative 6 e 4 della Sovrintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali, cui, gentilmente, siamo stati invitati a partecipare, abbiamo realizzato 118 foto; alcune di tali foto, a noi apparse come le più interessanti e significative sono di seguito riportate. In questa sede ci asteniamo dal fare ulteriori commenti, che spettano agli esperti di storia dell’architettura; ci permettiamo solamente di sottolineare, oltre le facciate a portico esterno e le volte a botte correlabili agli elementi architettonici tipici delle chiese paleocristiane di Sicilia, il sovrapporsi di tre tipologie di archi, come si può chiaramente rilevare da due delle foto allegate, che può correlare il sito sia a interventi da parte dei Templari (il secondo arco), sia a interventi successivi a quelli dei Templari.
Eventi storici accaduti attorno o nella chiesa di San Giovanni Gerosolimitano/Santa Maria della Nunciata in contrada Mezzocampo
Uno dei primi episodi storici che sono collocati nella chiesa di S. Giovanni a mezzo campo è legato alla figura di Macalda Scaletta, moglie di Alaimo da Lentini (altrimenti citata come Mafalda e Matilde); costei viene descritta dagli storici come una donna estremamente ambiziosa e senza scrupoli che, provenendo da una modestissima famiglia, seppe arrivare ai livelli più alti della società siciliana tra il XIII ed il XIV secolo grazie ai suoi due matrimoni. La sua ambizione smisurata e l’influenza che esercitava sul secondo marito, Alaimo da Lentini, la indusse irresponsabilmente a cercare di competere con la stessa regina di Sicilia e, sostengono molti storici, a tentare di sedurre lo stesso re di Sicilia. Qualche storico sostiene che re Pietro non si fece adescare dalla spavalda Macalda, altri hanno sostenuto che divenne l’amante del re Pietro. E’ di tale opinione Giuseppe Leanti che così scrive: “ [ il ] Monastero di Santa Maria della Scala o della Valle, verso il colle S. Rizzo […] noto perché le pie monachelle che vi albergavano, non avean avuto ritegno, secondo la tradizione di farne l’asilo degli amori di Pietro d’Aragona con Matilde di Alaimo Scaletta.”. (38) Una delle forme della competizione che Macalda alimentava nei confronti della regina Costanza viene sinteticamente evidenziata dal Ferrara: “ Mafalda Scaletta viaggiava in una lettiga guarnita di panno rosso troppo più pomposa di quella della regina Costanza aragonese.”. (39) L’episodio che collega Macalda Scaletta alla chiesa di San Giovanni di Mezzocampo viene così riferito dal Policastro, che cita Michele da Piazza, il Ferrara e l’abate Amico: “ […] il Monte Cardillo che sovrasta la pianura di Mezzocampo e dista da Catania appena tre miglia;[…]. La contrada di Mezzocampo, ove trovasi una chiesa di S. Giovanni, è ricordata dagli storiografi, discorrendo delle guerre civili tra i Palizzi ed i Chiaramontani. Fu a Mezzocampo che Macalda Scaletta, moglie di Alaimo da Lentini, fermossi durante il viaggio da Nicosia a Catania perché sorpresa da un violentissimo temporale.”. (40) Un altro episodio che collega Mezzocampo alle vicende siciliane del XIV secolo avviene durante le guerre baronali per cui, trovatosi inizialmente un fronte di nobili contrari, tra cui lo stesso Enrico Rosso, la Vicaria Eufemia e Francesco Ventimiglia, Artale Alagona si presentò in forze a Randazzo e, preso in consegna il Re, si trasferì prima a Mascali, in seguito ad Aci e, dopo alcuni mesi a Catania. L’azione di forza di Artale Alagona cementò una nuova alleanza contro di lui da parte della Vicaria Eufemia, di Enrico Rosso e di Francesco Ventimiglia che misero in campo un esercito con cui procedettero a occupare parte dell’isola che rientrava nella sfera d’influenza di Artale Alagona; i Chiaromonte, approfittando dell’occasione occuparono Cassibile e marciarono contro Siracusa. Dopo questi avvenimenti la Vicaria Eufemia: “inviò ambasciatori ad Artale che si trovava a Paternò, intimandogli di lasciare libero il Re o di prepararsi ad una cruenta guerra. [Enrico; sc.] Russo, senza attendere risposta, la stessa notte proseguì la marcia e si portò con la sua milizia a Motta Santa Anastasia, che era di sua appartenenza. E lì, preparando con acume militare la strategia da attuare, si appostò in agguato vicino alla chiesa di San Giovanni, detta di medio campo. Vi incapparono, infatti, i cavalieri catanesi, che Artale aveva chiamati in aiuto, i quali furono costretti a darsi alla fuga, inseguiti dai nemici fino alla chiesa di San Cristoforo, che distava da Catania circa mille passi. Parecchi cavalieri catanesi catturati furono chiusi prigionieri nella rocca della Motta. Fra essi vi erano Giacomo e Giovanni Lauria, scudieri del Re, che il Russo rilasciò, ma trattenne in carcere Ruggero Mostaccio ed altri.” (41) Lo stesso epsodio avvenuto nei contorni della chiesa di San Giovanni a Mezzocampo viene riferito dal Fazello. (42) Un altro episodio che, con estrema probabilità, ha come sito di riferimento la chiesa di Santa Maria della Nunciata avviene il 23 marzo 1535, in occasione di una eruzione dell’Etna nel corso della quale si avverti la seria minaccia che la lava potesse arrivare a Catania. Così la narrazione della vicenda: “Di uno orribili spaventusissimo foco nexio di la muntagna nostra di Mungibello dicta Hedna. Die iovis de sero ad hura mencsa di notti vel circa […]. Et in dicto loco [ cattedrale di Catania] vinniro li signuri iurati et li reverendi monachi di dicta mayuri ecclesia et li casi di confratria cum soli crucifixi et ordinatamenti si ordinao si fachissi una processioni et nixissi lo stindardo di la Grinpa [ Velo di Sant’Agata ] per opteniri la gracia di lo omnipotenti Dio chi tali loco non passassi innanti, et cussì fu fattu. Andaro cum ditta processioni et stendardo di la Grinpa a lu convento di la Nunciata extra muros dicte civitatis Cathanie cum dicta Grinpa, […]. (43) In occasione di altre processioni organizzate per contrastare eventi calamitosi il luogo di arrivo fu ancora il convento della Nunciata; così come in occasione del Grande Terremoto del 30 novembre 1542 e di altri eventi ancora.
La chiesa di Maria SS. Annunziata: la prima chiesa di Misterbianco dopo L’eruzione dell’Etna del 1669, distrutta nel 1853 nel corso di scontri tra catanesi e misterbianchesi.
Senza qui riportare tutti coloro che hanno scritto sulla chiesa in contrada Nunziatella, riportiamo la testimonianza più importante; quella del sacerdote Antonino Bruno Licciardello che nel 1868 così descrisse le peregrinazioni dei Misterbianchesi fuggiti davanti alla furia devastatrice della lava dell’Etna. Così scriveva Bruno Licciardello nel 1868 gli eventi successivi all’eruzione del 1669: “La più parte [ delle famiglie dei Misterbianchesi] si posero alle falde del Monte Cardillo, avendo Mezzo Campo dalla parte del Nord, e tutti erano spettatori infelici di quella, che a guisa dell’onde di un mar tempestoso rotolando per quelle contrade proseguiva a distruggere le loro ubertose possessioni. Intanto eglino divisi in tre colonie, vedendo interamente distrutta la loro patria con alquante terre intorno, e che il fuoco non cessava dal devastare i loro terreni; siccome nei flagelli di Dio è unico conforto la Religione, per Organo del Clero e dei Magistrati dirigono preghiere all’illustrissimo Monsignor Michelangelo Bonadies vescovo allora di catania, affinchè accordi loro di potere amministrare i SS. Sacramenti in una piccola Cappella della SS. Annunziata sin dall’ora forse nel territorio di Misterbianco all’Est di Mezzo Campo. Il vescovo accordò questa grazia, ed il 29 aprile di detto anno 1669 fra gli altri Sagramenti che si amministrarono si celebrò uno sponsalizio dal che si vede quanto fosse pura la loro fede, e rilievasi anche la sollecitudine con cui conservarono il sacro deposito dei vari oggetti, che portarono dalle fiamme sottratte, e la gelosa cura con cui li custodirono.” .(44) Bruno Licciardello riferisce ancora che: “Questa Cappella fu rizzata pria del fuoco sotto il titolo di Maria SS. Annunziata, che dicevano con termine diminuitivo Nunziatella, il quale tutt’ora si conserva e quella contrada dicesi Nunziatella. Oggi [ 1868] è demolita e ciò da 15 anni in qua. [ dal 1853] I nostri antichi vi solennizzavano la festività di Maria, ma nato un disgusto coi Catanesi sospesero i Misterbianchesi detta solennità dietro un grosso attacco co’ medesimi.” (45) Quindi, dopo l’eruzione dell’Etna del 1669, la prima chiesa di cui poterono usufruire gli abitanti dell’antico “ Monastrium Album” ( che fondarono l’odierna Misterbianco), fu proprio la Chiesa della Nunziatella ( Maria SS. Annunziata), vicino “ Monte Cardillo” in contrada Mezzocampo.
Il primo matrimonio della nuova Misterbianco viene celebrato nella chiesa di Maria SS. Annunziata, detta Nunziatella.
Quasi a consacrare la nuova e prima chiesa di cui poterono disporre i Misterbianchesi, dopo l’eruzione del 1669, la chiesa di Maria SS. Annunziata detta Nunziatella, una novella coppia di sposi volle li celebrare il loro matrimonio; che fu il primo della nuova Misterbianco. Celebrò quel matrimonio il Cappellano, Sacerdote Domenico Scordo. Gli sposi furono: “lo sposo Francesco Santagati figlio di Andrea, e di Maria Santonocito vedova di Matteo Scuderi, la sposa Vincenza Surito figlia di Erasimo, e di Agata Leucata. Ciò si rilevadal libro de’ matrimonj dell’anno 1669.” (46) La “Chiesa della Nunziatella”, come riferisce Alfio Longo, viene citata dettagliatamente nelle disposizioni dettate da Don Pietro Marchese, eletto visitatore dal vescovo Mons. Corrado Deodato nel 1780, che così prescriveva per la Chiesa della Nunziatella: “Si pulisce il piede del calice e si faccia che il detto piede sta fermo con la sua coppa. Resti sospesa la pianeta di color violaceo. Si tragga tre dita innanzi il prospetto la marmo retta dell’altare. Il pallio dell’altare si risarcisca con nuove pitture. Si lavi l’amitto e il corporale. Si ristori il tetto della chiesa. Si risarcisca la tela della finestra, al prospetto della Chiesa. Si copri la cerata da porsi sopra la marmo retta.”(47)
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