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Il grande flop dell’operazione albanese, Meloni: “Andremo fino in fondo”

“Mi sento una pedina, ci hanno fatti salire sulla nave militare senza darci spiegazioni. La vita in Bangladesh è una lotta per la sopravvivenza; vogliamo restare in Italia”. Sono le parole pronunciate da uno dei dodici migranti – cinque di nazionalità egiziana e sette bengalesi – che sono rientrati a bordo di una nave della Marina militare per essere trasferiti al Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari, a seguito della decisione del tribunale di Roma, che non ha convalidato il trattenimento nel centro italiano di permanenza per il rimpatrio in Albania.
Mercoledì 17, infatti, i dodici migranti sono sbarcati in Albania per poi salire a bordo di una nave della Marina Militare e intraprendere la rotta inversa, stavolta diretti a Bari, in un centro per richiedenti asilo. Ma da cosa dipenderebbe questo cambio di rotta? La sezione immigrazione del tribunale di Roma non ha convalidato il loro trattenimento, nonostante le richieste di asilo siano state respinte dalle Commissioni territoriali. Un’apparente contraddizione, sebbene si tratti di due materie di diversa competenza, che accende lo scontro politico tra governo e opposizioni, scatenando l’ira della maggioranza contro le autorità che hanno osato ostacolare i loro piani applicando il diritto europeo.
Ma cosa avrebbe spinto i magistrati a bloccare il trasferimento dei dodici richiedenti asilo provenienti da Egitto e Bangladesh, soccorsi nella notte del 13 ottobre dalla Guardia di Finanza nelle acque internazionali della zona SAR italiana, presso il centro di detenzione di Gjader? La risposta è semplice ed è contenuta nella sentenza della Corte di giustizia europea emessa il 4 ottobre, cioè prima che i centri per i migranti aperti in Albania sotto la giurisdizione italiana fossero attivati. La sentenza sostiene che un Paese deve essere considerato sicuro in ogni sua parte e per ogni persona: non possono esserci persecuzioni, discriminazioni o torture nei confronti di nessuno in nessuna zona di territorio. E l’Egitto, il Bangladesh, e la Tunisia, secondo i criteri della sentenza, non possono essere considerati paesi sicuri.
La presidente della sezione immigrazione del tribunale di Roma, Luciana Sangiovanni, in una nota stampa, ha dichiarato: “I trattenimenti non sono stati convalidati in applicazione dei principi vincolanti per i giudici nazionali e per la stessa amministrazione, enunciati dalla recente pronuncia della Corte europea a seguito del rinvio pregiudiziale proposto dal giudice della Repubblica ceca. Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture e nelle aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come “paesi sicuri” gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia”.
Eppure, sebbene il tribunale romano sia stato irremovibile nella sua decisione di ostacolare, fin dai suoi esordi, l’operazione albanese, il governo non è disposto a cedere. Come ha dichiarato il ministro dell’Interno Piantedosi: “Andremo avanti anche con queste iniziative perché dal 2026 quelle che l’Italia sta realizzando in Albania, e non solo, diventeranno diritto europeo”. Mentre la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha aggiunto: “Troverò una soluzione anche a questo problema. Ho già convocato un Consiglio dei ministri per approvare delle norme che servano a superare questo ostacolo. Non credo sia competenza della magistratura definire quali siano i Paesi sicuri e quali no. È competenza del governo, quindi credo che il governo debba chiarire meglio cosa si intenda per Paese sicuro”.
Nel suo discorso, Giorgia Meloni indubbiamente richiama l’attenzione sull’aspetto cruciale dell’operazione albanese. Per questo motivo, è opportuno chiarire cosa intenda per “Paesi sicuri” e quali siano, secondo i criteri del diritto europeo, i Paesi considerati sicuri e quali non lo siano. Capo Verde, Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Kosovo, Bosnia e la stessa Albania sono i Paesi che il diritto europeo considera sicuri. Dal momento che il diritto europeo prevale su quello nazionale, Giuseppe Conte definisce l’impresa albanese “Un gioco dell’oca”. Mentre Carlo Calenda la definisce “Una costosissima presa in giro”. Ma è la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, a pronunciare le parole più dure: “Si potrebbe profilare un danno erariale”, dice, riferendosi allo spreco di denaro per un’iniziativa risultata poi fallimentare.
La maggioranza si difende attribuendo alla magistratura il peso delle responsabilità: “Assurdo! In aiuto della sinistra parlamentare arriva quella giudiziaria”, scrivono i Fratelli d’Italia sulle loro piattaforme social, accompagnando il messaggio con una grafica raffigurante una toga di colore rosso. Anche il partito della premier Giorgia Meloni ha rilasciato un messaggio sulle sue piattaforme social: “Alcuni magistrati politicizzati hanno deciso che non esistono Paesi sicuri di provenienza; è impossibile trattenere chi entra illegalmente e vietato rimpatriare i clandestini. Vorrebbero abolire i confini dell’Italia; non lo permetteremo”. In merito alla questione si esprime anche la Lega: “L’ordinanza che non convalida il trattenimento degli immigrati in Albania è particolarmente inaccettabile e grave. I giudici pro-immigrati si candidino alle elezioni, ma sappiano che non ci faremo intimidire”. Hanno da ridire anche le più alte cariche dello Stato, come il presidente del Senato Ignazio La Russa: “Sono rimasto molto, molto stupito. Ma non voglio commentare la decisione dei giudici, perché lo stupore supera ogni commento”.
Tuttavia, per chiarire la questione giuridica, interviene il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia: “Ci sono giudici che applicano le norme volute dal nostro ordinamento e dall’ordinamento europeo di cui siamo parte integrante”, e “l’ordinamento sovranazionale che considera l’Egitto e il Bangladesh tra i Paesi non sicuri prevale”. In aggiunta, il responsabile del Viminale che ha annunciato il ricorso dichiara: “Rispetto i giudici, ma qui si nega il diritto del governo di attivare procedure accelerate: realizzare in un mese ciò che altrimenti avverrebbe in tre anni”.
Infine, riguardo all’intero protocollo, Pd, M5s e Avs hanno chiesto all’Unione Europea di aprire una procedura di infrazione, giudicando “illegali” le misure previste dall’accordo Italia-Albania. Una proposta che, secondo il principio di causa-effetto, non poteva che suscitare la reazione immediata della premier, la quale, sui suoi profili social, pronuncia parole roventi: “Avete capito bene, alcuni partiti italiani stanno di fatto sollecitando l’Europa a sanzionare la propria nazione e i propri cittadini, con il solo obiettivo di colpire politicamente questo governo. È una vergogna che non può passare inosservata”.
Tuttavia, in questo panorama di accuse, che quasi ricorda un tavolo da ping pong per la capacità di esimersi da ogni responsabilità scaricandola sul candidato migliore, non bisogna mai perdere di vista che i protagonisti della questione sono esseri umani, non beni materiali come una penna stilografica o un carico di gioielli. Pertanto, l’unico principio al quale la legge dovrebbe sottomettersi è quello della tutela dei diritti umani. Trasferire i migranti da un centro a un altro, sulla base di questi elementi, non sembrerebbe essere la soluzione giusta al problema della crisi migratoria che ha colpito l’Europa negli ultimi tempi.

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