Il Family Day di Orofino tra Jung e la Misericordia al Piccolo di Catania
C’era una volta la fantasia e c’era una volta la realtà. Le due cose sono antitetiche, inconciliabili. L’una esclude l’altra. Accade talvolta che la fantasia si realizzi, diventi Res (cosa), aggredibile dai cinque sensi e allora essa muore; non può accadere il contrario, cioè che la realtà diventi fantasia … tranne nell’arte!
Questa operazione inversa, questa realtà che si fa fantasia, inventata da Nicola Alberto Orofino, ha letteralmente mandato in visibilio il numeroso pubblico che ha sfidato la fredda serata di antivigilia della “Merla” di fine gennaio, per assistere alla prima di “Family Day 2” al Piccolo Teatro di Catania, il quale non contentandosi di applaudire, s’è alzato in piedi, ha cantato, ha recitato e alla fine s’è fatto attore invadendo in gioiosa letizia il palcoscenico: una specie di rivoluzione, una catarsi dello spirito da fare invidia al Pirandello di “Questa sera si recita a soggetto”!
Giuro! L’ho sentita con le mie orecchie … un’anziana signora rivolgendosi alla vicina di posto le ha detto: ”Non m’era successo mai, è stato meglio di un orgasmo”!
Questo monstrum, questo spettacolo extra classum è il frutto di un progetto teatrale partorito qualche anno addietro con l’intento di demolire le retorica dei Family Day di origine sanfedista che tanto clamore e tanto insuccesso hanno avuto a suo tempo. E’ un progetto che si articola in vari step, 7 per l’esattezza; quello di ieri sera era il secondo dal sottotitolo “Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati” che è la parte finale di un versetto (Cap.7, v. 19) del Libro di Michea, un profeta minore del popolo ebraico: uno che vissuto circa 700 anni prima di Cristo, ne profetizzava la venuta, sintetizzandone la funzione: “Egli tornerà ad aver pietà di noi”.
Un Dio cioè anni luce lontano da quelli che difendono i principi e mandano a morte le persone, dal Family Day appunto, e così vicino al Padre Misericordioso del figliol prodigo.
Lo spettacolo si svolge sulla spiaggia di un lido balneare dove una intera famiglia, quasi di Nazareth, trascorre una giornata d’ordinaria vacanza.
Lui (Francesco Bernava), Lei (Alice Ferlito), l’amante di lui (Egle Doria), la figlia (Lucia Portale), il cane (Rita Fusco Salonia) e il bagnino (Daniele Bruno), tutti con ruoli ben definiti e delineati socialmente; alla fine dello spettacolo li avranno sovvertiti integralmente per colpa, a causa, per merito, per grazia ricevuta dal sovvertitore principe di ogni ordinamento sociale, di ogni Potere: l’Amore; o meglio la sua fase rivoluzionaria, l’innamoramento.
Tutti i protagonisti, cane compreso, vivono quel “movimento rivoluzionario a due” codificato da Alberoni, che si annida nella parte inconscia della nostra psiche e che quando trova la sua epifania realizza la parte essenziale del processo di individuazione fissato da Jung, che induce al Nosce te ipsum dell’Oracolo di Delfi e poi alla felicità della Speranza cristiana.
Uno spettacolo serio, da mal di testa assicurato; eppure la gente ride dalla prima scena fino all’ultima, all’inizio quasi turbata dal silenzio rotto solo dal rumore degli oggetti di scena: nessuno parla, gli attori parlano col corpo, con i costumi, muovendosi sul palcoscenico, fanno finta di cantare, ma non proferiscono parola, sembra quasi uno spettacolo di mimo.
Tutto comunque è chiaro, la trama si snoda evidente, sottolineata dalla attenta e “furbesca” scelta delle musiche che accompagnano il dipanarsi di amori strani che, per il solo fatto di esistere, sono naturali e che solo la struttura di potere patriarcale qualifica come contra naturam.
Più si snoda la storia, gli amori che nascono, si dissolvono e si ricompongono, più il pubblico si fa entusiasta come se, davvero, un dio li spingesse a partecipare all’azione.
Mai visto niente di simile!
E gli attori e le attrici! Felici di recitare, a dispetto del fiatone necessitato dai movimenti scenici; così dentro la parte che sembrava non recitassero, fino alla scena finale travolgente che li ha frammisti al pubblico in “una corrispondenza d’amorosi sensi” che come tutti i piaceri, così come la vita, sono ingordi di se stessi aspirano a non finire mai.
… qualcuno all’uscita diceva: “domani ci torno, lo voglio rivedere”.
Come dargli torto!
A completare il quadro dei collaboratori: Vincenzo La Mendola alle scene e ai costumi, Simone Raimondo alle luci e Gabriella Caltabiano assistente alla regia.
Lo spettacolo è prodotto da Associazione Città Teatro.