Il delitto di Paderno Dugnano: sull’anestesia affettiva e sul nichilismo
Nel 2007 Umberto Galimberti pubblicava il saggio “L’Ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani”. Partendo da un caso di cronaca (quello di alcune comitive di adolescenti che, per ingannare il tempo, gettavano sassi dai cavalcavia provocando morti e feriti), Galimberti rifletteva su quanto il nichilismo fosse entrato in modo prepotente nella vita dei giovani.
Quando il filosofo era stato interrogato sui motivi che lo avevano portato a scrivere il saggio, Galimberti aveva risposto: “Ho scritto un libro sui giovani, perché i giovani, anche se non lo sanno, stanno male”.
Il saggio ancora oggi risulta essere, purtroppo, estremamente attuale. Perché troppi sono, in questi giorni, i casi di quella che si può tranquillamente chiamare “anestesia affettiva”.
Risale a pochi giorni fa la strage di Paderno Dugnano. Un 17enne di buona famiglia, che andava a scuola, aveva amici e faceva sport, ha ucciso a coltellate il fratellino di 12 anni, la madre e il padre. Dopo aver cercato per breve tempo di sviare le indagini, si è autoaccusato del delitto e dell’uccisione di tutta la sua famiglia. Sin da subito il ragazzo è apparso alla polizia “all’apparenza sereno e lucido”; in caserma, quando forse ha cominciato a rendersi conto del gesto compiuto, ha affermato: “Non pensavo che avrebbero sofferto così tanto”.
Recentissimo è anche l’omicidio di Sharon Verzeni, assassinata, senza un vero perché, da un trentenne che sentiva l’impulso di uccidere e che poi ha conservato il coltello per ricordo.
Su “La Stampa” lo psicologo Matteo Lancini, intervistato a proposito della strage di Paderno, dice: “Sempre più spesso i fatti di cronaca e il lavoro quotidiano che facciamo… ci restituiscono un quadro di ragazzi che faticano enormemente a esprimere gli aspetti emotivi, i conflitti e i sentimenti più disturbanti relativi al proprio contesto familiare e amicale in qualche cosa che diventi simbolo, parola e condivisione. La relazione viene annullata e si ricorre al gesto disperato”. Sempre più spesso i giovani appaiono anaffettivi, privi di valori e insofferenti verso la scuola e la famiglia.
Ma i disagi familiari, i problemi scolastici (il diciassettenne di Paderno doveva colmare un debito a settembre) o di integrazione, non bastano da soli a spiegare delitti così atroci, privi di movente e compiuti senza una vera e propria consapevolezza.
Forse fare qualche passo indietro e fare un’analisi più approfondita del contesto in cui giovani (e meno giovani) si trovano a vivere, in questo nostro tempo, può aiutare a gettare un po’ di luce su questi episodi così inquietanti.
Fino alla nota rivoluzione del 1968, almeno in Europa, la vita sembrava scandita da regole ben precise. I giovani facevano il lavoro del padre oppure prendevano, con gran fatica, una laurea che garantiva successo e benessere economico. I figli “ben riusciti” si sposavano e regalavano ai nonni due o più nipotini. Il lavoro si trovava nella propria città o comunque vicino casa. La famiglia era patriarcale e i ruoli al suo interno erano chiari e definiti.
Insomma per un ragazzo che si affacciava alla vita, la via di solito era già tracciata. Certo i costi erano alti, la libertà era poca e la paura di deludere i genitori o la società era grande. Ma il binario era dritto: bastava solo non deragliare.
A partire dagli anni ’70, con le contestazioni universitarie e la guerra del Vietnam, questo sistema, asfissiante ma ordinato, viene messo in discussione e radicalmente stravolto. La libertà di scelta in qualsiasi ambito (lavorativo, relazionale, di costume…) diventa la parola d’ordine che cambia un modus vivendi fino a quel momento considerato inalterabile.
I valori tradizionali crollano come un castello di carte e con loro ogni certezza precostituita. Il relativismo etico e la crisi di ogni significato entrano prepotentemente nella mentalità collettiva. La vita appare, come afferma il famoso youtuber Rick DuFer, “una giostra vuota”.
Poi arriva internet con la rivoluzione informatica, i social e tiktok. I ragazzi smettono di incontrarsi dal vivo, di giocare a calcio in cortile e di sbucciarsi le ginocchia cadendo dalla bicicletta. Si incontrano on line, comunicano con i messaggi vocali, non leggono più e non suonano più la chitarra, ma ammazzano la noia guardando video in modo passivo. La psicoterapeuta Maria Rita Parsi intervistata sul massacro di Paderno Dugnano ha risposto che in primo luogo bisognava sapere quante ore il ragazzo passasse sui social.
Anche lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet ha sottolineato i rischi del web e la necessità di una riforma della scuola: “Il web isola ancora di più. Bisogna cambiare la scuola. Usciamo dal solito stereotipo della famiglia del mulino bianco: non se ne può più… Cos’è una buona famiglia? Questa dicitura, questa retorica, andrebbe abolita. Come se fatti simili ce li dovessimo aspettare di più da famiglie disagiate che dai figli degli avvocati. Non è proprio così … Adesso ci si sono messi anche i social, la gente è ancora più isolata. Si è frantumata la famiglia e pure la comunità… si dice che il ragazzo fosse molto poco social. Faceva sport, era impegnato nel sociale… Bene, però li avranno usati i suoi amici, la sua famiglia. C’è un uso eccessivo evidente dei social, si creano vite parallele e non si parla più”.
I giovani di oggi seguono gli influencer e altrettanto rapidamente li abbandonano quando questi cadono. E in questo nuovo mondo digitale diventano ogni giorno sempre più soli.
Scomparsa la figura del padre come colui che dà le regole e insegna ad entrare nel mondo degli adulti, i ragazzi si trovano in una realtà dove tutto è possibile e tutto, in fondo, indifferente. Si può essere impegnati sui social o nullafacenti, studiare o fare scommesse on line, impegnarsi per diventare medico o fare i soldipubblicando video in cui si sfreccia su una Lamborghini a tutta velocità. Si parla di famiglia tradizionale, ma chi ne parla ha uno o più divorzi alle spalle. Si è perso ogni senso del pudore: politici indagati o incriminati si ripresentano alle elezioni con il sorriso più smagliante.
In questo contesto in cui sembra che apparire sia tutto e che la ricchezza sia sinonimo di felicità, gli adolescenti avvertono un senso di straniamento. Poiché dare regole è diventato poco trendy, i ragazzi pensano di poter fare tutto.
I giornali sono pieni in questi giorni dei “piagnistei” della famiglia Costacurta, il cui figlio ventenne combina un guaio dopo l’altro, insultando i genitori via social, facendosi fotografare in possesso di droga e mostrandosi in giro con una discutibile dentiera di diamanti. Il padre Billy, famoso calciatore, di fronte all’indomabile figlio ha affermato: “Non potrà dire che non sono stato presente. Sono sempre stato con lui, gli ho fatto anche da autista. In questo momento ammira molto la mia pazienza”.
Di fronte ad un futuro così pieno di incognite, in cui studio e onestà non sono più considerati valori, il futuro può apparire ai più giovani come una grande nube oscura dalla quale temono di essere inghiottiti.
E allora il bisogno di sfogare la propria paura trasformandola in aggressività: “…credevo che uccidendoli avrei potuto vivere in un mondo libero” ha affermato il ragazzo di Paderno, interrogato dopo la strage dei suoi familiari; Moussa Sangare ha affermato di aver ucciso Sharon perché dentro di sé ha sentito un «feeling», una «sensazione» e le ha pure chiesto “Scusa per quello che sta per succedere”; Turetta racconta a proposito del femminicidio della Cecchettin: “ Io le avevo detto che se non avessi superato l’esame mi sarei suicidato.Mi è scappato anche qualche insulto perché non riuscivo a controllarmi per la rabbia, le ho detto “maledetta stronza, idiota” e anche “guarda che non ce la faccio, mi faccio del male”.
Il mondo poi manda segnali inquietanti: la crisi climatica e le guerre che assomigliano così tanto ai videogiochi. Si bombarda un ospedale o una centrale del gas perché dentro potrebbe esserci il nemico. E se i grandi capi di stato non esitano a massacrare intere popolazioni, perché un ragazzo dovrebbe comprendere che uccidere è sbagliato? Che non è e non può mai essere una soluzione? Quali sono gli esempi ai quali deve guardare per capire come affrontare la vita e diventare adulto?
Si aggredisce per rimuovere la paura di non farcela, cercando fuori un capro espiatorio, senza capire che il vero ostacolo alla propria crescita sta quasi sempre dentro di sé.
In queste famiglie, più o meno perfette, il dialogo rimane superficiale. I segnali di disagio troppo spesso non vengono colti da genitori narcisisti, che vedono nella riuscita e nel benessere dei figli lo specchio del loro successo. E i giovani, in tutto questo rumoroso silenzio, restano soli.
Quali possono allora essere gli elementi utili per tornare a dare alla vita reale un nuovo significato? Per trovare le coordinate di questo mondo così complesso e stratificato dovremo forse tornare a considerare il passato, il mito, la letteratura e la filosofia come strumenti; guardare al passato in modo critico per trovare nuove chiavi di lettura del presente e nuovi punti fermi da cui ripartire.