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Il caso Pilato: una riflessione sullo sport e la società

Quanto avvenuto alle Olimpiadi di Parigi 2024 in seguito al “mancato podio” della nuotatrice Benedetta Pilato ha lasciato turbati anche gli animi più stoici.

L’inatteso pretesto, che ha generato un acceso scambio di opinioni sul web, proviene dall’intervista svolta dalla giornalista Elisabetta Caporale nei confronti della nuotatrice. Quest’ultima attualmente sulla bocca di tutti, essendosi classificata quarta nella finale dei 100 rana, ha ridotto in cenere le aspettative di molti mostrando la propria contentezza per la posizione ottenuta.

Si direbbe essere l’unica altamente gratificata in quanto la Caporale ha asserito con: “Ci lasci un po’ senza parole, è strano vederti contenta perché tutti si aspettavano di vederti sul podio”. La Pilato dal canto suo ha affermato: “tutti tranne me”.

Viene da chiedersi perché mai una tale reazione, sicuramente intrinseca di maturità, debba essere motivo di turbamento. Uno sbigottimento che privo di decoro non si impreziosisce di tatto ed empatia.

Potremmo addirittura parlare di superbia davanti al bozzetto eretto da Elisa Di Francisca. L’ex schermitrice italiana e campionessa delle Olimpiadi di Londra 2012 ha prontamente fatto noto il suo parere in merito a quanto dichiarato dalla Pilato, concludendo con un “Non so se ci fa o ci è”.

Un indubbio epilogo che porta con sé non poche domande e una lunga sfilza di oggettive considerazioni. Siamo di fronte a un fatto che ha palesato e avvalorato l’ipotesi secondo la quale l’ormai realizzazione personale, più che personale si direbbe collettiva?

Una tale asserzione scaturisce dalle già precedenti citate dichiarazioni della Caporale: “Ci lasci un po’ senza parole, è strano vederti contenta perché tutti si aspettavano di vederti sul podio”. La problematicità della dinamica risiede nell’uso del termine “tutti”.

Non stiamo mettendo in dubbio l’importanza di rappresentare la nazione ad un evento di questa portata, ma citando quanto detto dalla Pellegrini: “le medaglie piacciono a tutti ma a volte conta di più il viaggio” terminando con “le medaglie pesanti arriveranno, Benny ha solo 19 anni. Lasciamole sognare ciò che vuole”.

“La Divina” con un genuino messaggio condiviso sui suoi socialnetwork ha prontamente dato valore a quella che è la giovane età della Pilato e di ciò che essa comporta e non.

“Sono lacrime di gioia ve lo giuro, è stato il giorno più felice della mia vita” continuando con “Un anno fa non ero neanche in grado di farla questa gara”. Lungo le parole della giovane si percepisce la fierezza e la sana emotività che il suo costante percorso di crescita sportivo, e non solo, le offre.

In virtù del fatto che le contestazioni discendono da una generazione più adulta, non potrebbe assalirci il dubbio che il dilemma al quale cerchiamo di trovare risposte risiede nell’immaturità emotiva di atleti superiori alla classe 2005? Una generazione più adulta che dal proprio vissuto non ha fatto i conti con l’interiorizzata “atychifobia”, che ad oggi ha consolidato le proprie fondamenta e messo radici per acquisire le sembianze di un autentico Gap generazionale.

Il sollievo dovrebbe assalirci stando alla prospettiva assunta dalla Pilato che ci inonda di speranza per le sorti delle generazioni odierne. Si direbbe un’utopia considerando le ricerche svolte nel contesto sportivo, le quali dimostrano come gli atleti professionisti rientrano tra i soggetti più predisposti all’insorgere di disturbi mentali.

Il mondo del nuoto non è estraneo a queste problematiche

“Quando combattevo con la depressione, il momento migliore della giornata era quando prendevo le pillole e andavo a letto. Avevo perso la voglia di vivere…continuo ad andare in terapia perché ho bisogno di controllarmi. Sono felice quando gli sportivi e i professionisti parlano di malattie mentali e depressione. Col tempo, la vita ti insegna che la depressione e le malattie mentali possono colpire chiunque”. Quanto riportato è stato dichiarato dall’ ex nuotatore statunitense Michael Phelps, che nel 2016 alla vigilia delle Olimpiadi di Rio ha dichiarato di soffrire di depressione.

Anche Federica Pellegrini, icona del nuoto italiano, ha più volte evidenziato la pressione psicologica che gli atleti devono affrontare, specialmente in giovane età. “È fondamentale creare un ambiente di supporto”, ha dichiarato Pellegrini in una recente intervista. “I giovani atleti devono sentirsi valorizzati per il loro impegno, non solo per le medaglie che vincono.”

L’impatto psicologico dei commenti pubblici

Le parole di figure di spicco come Di Francisca possono avere un impatto significativo sulla psiche dei giovani atleti. La dott.ssa Maria Rossi, psicologa dello sport, spiega: “I commenti negativi da parte di atleti affermati possono minare l’autostima e la motivazione dei giovani. In una fase cruciale del loro sviluppo, questi atleti sono particolarmente vulnerabili alle critiche, soprattutto se provengono da figure che ammirano.”

Studi recenti hanno evidenziato una preoccupante correlazione tra la pressione mediatica e l’incidenza di problemi di salute mentale tra i giovani atleti. Secondo una ricerca pubblicata sul “Journal of Sports Psychology” nel 2023, il 30% degli atleti under 21 ha sperimentato sintomi depressivi dopo aver ricevuto critiche pubbliche da parte di atleti famosi o commentatori sportivi.

Attenzione alle statistiche

Le statistiche sono allarmanti. Secondo un rapporto del Comitato Olimpico Internazionale del 2022:

– Il 45% degli atleti di élite under 23 ha riportato sintomi di ansia o depressione almeno una volta nella carriera.

– Il rischio di sviluppare disturbi dell’umore è del 20% più alto tra gli atleti che hanno ricevuto critiche pubbliche rispetto a quelli che non ne hanno ricevute.

– Il 60% dei giovani atleti che abbandonano lo sport agonistico cita la pressione psicologica come uno dei fattori principali.                   

Il caso Pilato ci ricorda l’importanza di un approccio olistico allo sport, che consideri non solo le prestazioni fisiche, ma anche il benessere psicologico degli atleti. È fondamentale che atleti affermati, commentatori e media siano consapevoli dell’impatto delle loro parole sui giovani talenti.

Tuttavia, se non possiamo contare sulla tutela del benessere mentale, a cosa possiamo aggrapparci? Un auspicio orientato verso una solidarietà femminile che, purtroppo, sembra essere più un’aspettativa che una realtà concreta.

A questo proposito, le successive dichiarazioni di Elisa Di Francisca potrebbero suggerire un tentativo di riconciliazione: «Io le cose che ho detto le ho dette in buona fede. Ho parlato al telefono con Benedetta, le ho spiegato le mie ragioni che possono essere travisate, perché le persone non tutte la pensano allo stesso modo. Le ho detto ‘se ho urtato la tua sensibilità in qualche modo ti chiedo scusa’. Spero di incontrarla».

Ci sorge però il dubbio: l’apprensione dell’ex schermitrice verso l’emotività di una così giovane atleta si è manifestata solo in seguito al diverbio innescato? È possibile che la nostra campionessa del 2012 si sia lasciata intimidire da un potenziale rovesciamento dell’opinione pubblica?

Come società, abbiamo la responsabilità di creare un ambiente sportivo che nutra e sostenga i nostri atleti, celebrando non solo le medaglie, ma anche l’impegno, la resilienza e la crescita personale. Solo così potremo garantire che lo sport rimanga una fonte di gioia, realizzazione e sviluppo positivo per le generazioni future.

Questo episodio ci lascia con una domanda cruciale: come possiamo bilanciare le aspettative di successo con la necessità di proteggere il benessere emotivo dei giovani atleti?

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