Cultura

Il caso della “Madonna con bambino e san Luigi re di Francia”

La Madonna con bambino e san Luigi re di Francia attribuita al pittore siciliano Pietro Novelli, detto anche “Il Monrealese”, è presente oggi all’interno del Museo civico di Castello Ursino di Catania.

Il pittore monrealese è stato uno dei principali pittori della prima metà del Seicento. Tutta la sua formazione racchiude la cultura di quegli anni: l’arte fiamminga, il caravaggismo, l’arte vandychiana con la predilezione verso le tonalità brillanti, l’arte di Annibale Carracci, dal quale apprese il plasticismo dei corpi e l’arte classicistica di Raffaello e Domenichino.[1] Ciò che attira maggiormente il pubblico è l’intensità psicologica di ogni personaggio che viene presa anche dalle motivazioni o spinte retorico-persuasive della committenza, sia nelle espressioni candide ed estatiche sia in quelle eroiche e combattenti, sia in quelle penitenti o addirittura macerate, invocanti ed ispirate. È una pittura capace di esprimere, con toni forti e accesi, i volti segnati da rughe, sguardi febbrili. Il suddetto dipinto fu dimenticato per anni, in quanto non gli fu riconosciuto il giusto valore. Apparteneva alla collezione di Giovan Battista Finocchiaro, grande appassionato di opere d’arte del Seicento siciliano.[2] Ancora oggi non si conoscono le modalità d’acquisizione di tali opere. La maggior parte proveniva sicuramente dal mercato palermitano e possiamo dedurlo dalla presenza di molti dipinti di artisti e scuole che provenivano da collezioni dell’area della Sicilia occidentale: sia dalle ricche famiglie nobiliari sia dalla nuova classe della borghesia a cui apparteneva lo stesso Finocchiaro. Dalla collezione del “dotto giureconsulto” si deduce che gli orientamenti del collezionista spaziavano da un gusto classicista a un apprezzamento per la scuola caravaggesca. Ciò nonostante, Finocchiaro sembra prediligere maggiormente le opere del XVI e XVII secolo: dalla scuola napoletana ai dipinti fiamminghi e olandesi. Il “dotto giureconsulto” conteneva la collezione all’interno della sua dimora e alla sua morte nel 1826 decise di lasciare alla città di Catania 123 dipinti di varie epoche ed artisti come: Mattia Preti, Simone de Wobreck e Pietro Novelli, come segno di senso civico nei confronti della sua città nativa.

Oltre alle opere autografe, furono inventariate diverse copie di grandi maestri come La Danae di Tiziano, La bella giardiniera di Raffaello, una Pietà di Annibale Carracci, una Crocifissione di Rubens e La Sacra Famiglia di Giulio Romano.[3] Quando questi quadri dovevano essere trasferiti da Palermo a Catania, nacquero alcuni problemi causati dai palermitani che cercarono in tutti i modi di ostacolarne le pratiche di trasferimento. Fu Carlo Pio Zappalà, nipote di Giovan Battista Finocchiaro, a risolvere il problema pagando una cauzione di L. 5100 per far sì che i dipinti arrivassero via mare nella città di Catania nel 1826. Una volta arrivati, i quadri vennero analizzati e catalogati da esperti collezionisti e studiosi di storia dell’arte come Giuseppe Alessi ed Alessandro Recupero. Dapprima fu fatta un’errata identificazione del quadro Madonna con bambino e San Luigi re di Francia, nel quale il santo raffigurato venne scambiato per san Casimiro e infatti, questo viene confermato nel contributo I quadri in pittura donati da G. B. Finocchiaro al Comune di Catania, esistenti nel Museo civico ai Benedettini di Carlo Ardizzone. L’errata identificazione avvenne poiché i due santi, senza un’analisi approfondita, sembrano molto simili, ma analizzando la loro vita e il modo in cui spesso vengono rappresentati nei dipinti del pittore monrealese, affiorano molte differenze e quindi è impossibile confonderli. L’esatta identificazione di san Luigi venne successivamente confermata da studiosi, come ad esempio Agostino Gallo, Guido Libertini e infine Luisa Paladino. L’opera d’arte subì vari trasferimenti dal momento in cui arrivò nella città di Catania: dal palazzo comunale, dove rimase esposta fino al 1874, fu trasferita al Museo benedettino del Monastero di San Nicolò l’Arena, fino ad arrivare al Museo civico di Castello Ursino, dimora definitiva dal 1934. Al giorno d’oggi, non si conosce ancora la data certa della creazione del dipinto. Dall’impostazione orizzontale si deduce che il quadro fosse sicuramente uno delle tante commissioni nobiliari fatte al pittore monrealese durante la seconda metà degli anni trenta del Seicento, momento maturo della sua attività artistica. Il dipinto raffigura san Luigi re dei francesi prostrato ai piedi della Madonna e del figlio dal quale riceve la corona di gigli e due putti che guardano la scena. Nel quadro è presente anche l’angelo che fa da intermediario tra il bambino e il santo re. [4]

È un’opera di chiara evocazione vandychiana, espressa nel materno volto della Vergine, nella gestualità del bambino e anche nella cromia elegante e piena di riflessi tipiche del pittore fiammingo. Il Monrealese sa coniugare in questo dipinto l’esperienza caravaggesca, l’eleganza coloristico-luministica vandychiana e il realismo riberesco. Per tale ragione ho analizzato il quadro cercando di risalire, attraverso lo stile del pittore monrealese, alla collocazione temporale del dipinto, facendo i relativi confronti con altri dipinti famosi di Pietro Novelli, come ad esempio: San Pietro liberato dal carcere, La Consegna del cordiglio francescano a San Luigi IX re di Francia, Madonna con il bambino e San Bernardo. Studiando accuratamente ogni dettaglio, sono arrivata alla conclusione che si tratti di un dipinto creato sicuramente dopo il ritorno dal viaggio a Roma ed a Napoli, dove l’artista studiò le opere di pittori più importanti del periodo, come Antoon Van Dyck, Jusepe de Ribera, Domenichino e Caravaggio. Si tratta, dunque, di un dipinto dell’ultimo stile vigoroso del pittore monrealese, risalente tra il 1633-1634.


[1] Cfr. V. Abbate, Esperienze di Pietro Novelli, in Pietro Novelli e il suo ambiente, catalogo della mostra (Palermo, reale Albergaria dei poveri, 12 giugno-23 novembre 2018), Flaccovio, Palermo 1990, pp. 67-69.

[2] Cfr. L. Paladino, Le raccolte del Museo civico di Castello Ursino, in Catania, la città, la provincia, le culture, I, a cura di N. Muzzio, Dafne, Catania 2005, p. 177.

[3] Cfr. G. Libertini, Il castello Ursino e le raccolte artistiche comunali di Catania, Tip. Zuccarello & Izzi, Catania 1937, pp. 1-7.

[4] Cfr. B. Mancuso, La fortuna della pittura nelle collezioni catanesi: un recupero, in Pitture e collezione, a cura di B. Mancuso e V. Pinto, Magika, Messina 2018, pp. 15-16.

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