Spettacoli

Grande successo al Brancati di “Piccolo grande varietà”: non solo Revival

In scena al Teatro della Città “Vitaliano Brancati”, “Piccolo grande varietà”. Regia di Marot’s. Con Tuccio Musumeci insieme a Cosetta Gigli, Massimiliano Costantino, Alessia Moio, Emanuele Puglia, Vincenzo Volo, Claudio Musumeci, Enrico Manna e con Alberto Abbadessa, Alessandro Caramma, Lorenza Denaro, Andrea Grasso, Barbara Gutkowski, Fausto Monteforte, Lara Marta Russo.
Il balletto: Cecilia Blanciforti, Alessandra Cardello, Alessandro Caruso, Martina Luca, Rosy Magrì, Mario Mannino, Gaetano Messana, Finuccia Pistorio, Giorgia Terrasi. Accompagna l’orchestra dal vivo dei maestri: Domenico Longo, Diego Cristofaro, Vincenzo Adorna, Franco Costanzo, Orazio Pulvirenti. Scene di Carmelo Miano, costumi delle Sorelle Rinaldi. Produzione: Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale.

“Vuole essere un omaggio al maestro Tuccio Musumeci, alla sua splendida carriera e al mondo dove essa ebbe inizio” dichiara al nostro giornale Mario Sangani. Coregista e direttore di scena Sangani si congratula con il teatro ‘Brancati’ che ha voluto recuperare un pezzo di storia dello spettacolo che, specie tra le due guerre, ha riscosso enorme successo dovuto anche ad artisti di grande spessore del calibro di Totò, Nino Taranto o Rosalia Maggio (per citarne alcuni).
La decisione di riproporre il varietà sul palcoscenico dove è nato -continua- è di Tuccio Musumeci che si è chiesto il perché di questa sparizione dal teatro di questo tipo di ‘divertimento’ che avrebbe subito la concorrenza prima, dagli anni ’30, del cinema e della radio, per rifugiarsi poi, negli anni ’50, nel piccolo schermo, per venire in seguito definitivamente archiviato.
Certamente il varietà, che nasce dallo spettacolo popolare, ha una genesi molto lontana.
Secondo la Treccani bisognerebbe cercarne le radici addirittura nella Londra nel XVII secolo, dove si mettevano in scena in teatro -cito- “a scopo pubblicitario spettacoli, di canto, musica e ballo improvvisati, allestiti su pedane di fortuna. In seguito la voga si diffuse in Francia e soprattutto a Parigi, dove vennero costruiti molti locali con attrezzature teatrali stabili”.
Altre radici sono da cercare nel vaudeville e nella sua filiazione come opera buffa e operetta.
Si iniziò con numeri fra la canzonetta e il monologo, per passare poi alla macchietta (Nicola Maldacea fu l’inventore della macchietta del Viveur, il bello senza nulla nel cervello), per poi ampliarsi con altri quadri.
Ma in ogni caso, Parigi con i suoi Tabarin e i Café chantant, tra ballerine e sciantose, sketch, macchiette e canzoni, avrebbe decretato il successo di questo genere di spettacolo.
Era il periodo dorato della Belle époque, una pausa di serenità, tra donnine e champagne, per sedare le angosce che i venti di guerra da lì a poco avrebbero sussurrato.
Si inneggiava al nuovo XX secolo brindando al suono del Can Can con gli occhi fissi sulle lunghe gambe femminili, finalmente ‘svelate’.
In Italia intanto Marinetti pubblicava, nel 1913, sul giornale ‘Lacerba’ il Manifesto del teatro di varietà, esaltando la novità di un tipo di rappresentazione che privilegiava il paradosso spettacolare.
Nonostante tutto ciò il varietà, a differenza del teatro “alto”, non essendo considerato ‘vera arte’ era disprezzato dalla critica e, specie durante il fascismo, penalizzato, in termini di fisco, sovvenzioni, incentivi e previdenza, dallo Stato italiano.

Ed eccoci al nostro spettacolo guidati da Emanuele Puglia, “il poeta e fine dicitore” che nell’intervista concessaci, insieme a Lorenza Denaro, Vincenzo Volo e Massimiliano Costantino, ribadisce in maniera corale il piacere e l’emozione di lavorare con il maestro Musumeci ripercorrendo un itinerario storico che quasi da un secolo vede Tuccio come protagonista assoluto, nato con l’avanspettacolo nel 1953 (la sua spalla era Pippo Baudo) e fortemente presente fino ad oggi (“il teatro stanca…a 91 anni”).
E sulla cui scia sono cresciuti tutti loro… “poi tutto è stato molto semplice”.
È per lui il coronamento di un piccolo sogno!
Accompagnati da un’orchestra dal vivo (i maestri: Domenico Longo, Diego Cristofaro, Vincenzo Adorna, Franco Costanzo, Orazio Pulvirenti) il pubblico si immerge in questa atmosfera nel momento in cui la gioia e il divertimento finiscono con la Grande Guerra (O surdatu ‘nnamuratu).
Il Primo dopoguerra sarà animato di ‘assenzio e di piacer’, da melodie nostalgiche (Nel 1919, Come pioveva…) e dall’operetta come retaggio della Bell’époque (Luna tu, Oh Cincillà…) nata nel 1856 con ‘La Rose de Saint-Flour’ di Offenbach.
Negli anni ’30 trionferà il cinema e l’avanspettacolo che con il cabaret era considerato il “fratello povero” del varietà, e poi ancora la Rivista (Wanda Osiris) mentre oltreoceano si affermava il Musical.
Comincia, si è detto, la lenta, inarrestabile decadenza del varietà e di quel mondo di suoni, danze e risate che aveva fatto sognare tante generazioni.
Ma lo spettacolo di questa sera segna emblematicamente una “Pasqua di Resurrezione” di questo piacevolissimo intrattenimento che torna, in un momento in cui nuovamente sussurrano venti di guerra, a farci gioire e sperare.
E la risposta del pubblico davanti a questa ‘resurrezione’, a questo “segno necessario” è stata assolutamente positiva.
Grazie Tuccio, grande maestro!
Lunga vita al Varietà!

Foto e video di Lorenzo Davide Sgroi

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