Gogol interpretato dal poliedrico Rocco Papaleo

È in scena alla Sala Verga: “L’Ispettore generale” di Nikolaj Gogol. Adattamento e regia Leo Muscato, scene Andrea Belli, costumi Margherita Baldoni, luci Alessandro Verazzi, Musiche originali Andrea Chenna. cCon Rocco Papaleo e con Elena Aimone, Giulio Baraldi, Letizia Bravi, Marco Brinzi, Michele Cipriani, Salvatore Cutrì, Marta Dalla Via, Marco Gobetti, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Michele Schiano di Cola e Marco Vergani. Produzione Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e TSV – Teatro Nazionale.
Quando Nikolaj Vasil’evič Gogol’ (1809-1852) iniziava a scrivere, nel 1825, saliva sul trono dell’impero russo lo zar Nicola I, passato alla storia come “il gendarme d’Europa”.
Profondamente colpito dalla rivoluzione decabrista di ispirazione liberale, scoppiata nello stesso anno e crudamente repressa, il nuovo zar, incolto e rigido, cominciò a nutrire una feroce avversione contro qualunque sentore di ‘liberalismo’, portando alle estreme conseguenze il suo programma (Ortodossia, Autocrazia, Nazionalismo) basato sull’ assolutismo autocratico appoggiato dalla Chiesa Ortodossa. Attuava pertanto un capillare controllo sulla popolazione attraverso un fitto sistema burocratico, occhiuto ma …corrotto e corruttibile.
Tempi difficili per i sudditi, soprattutto se intellettuali. Se gli ‘Slavisti’, legati alla tradizione autoctona russa (potere + Chiesa) e culturale slava, potevano apparire meno pericolosi, da avversare decisamente erano gli ‘Occidentalisti’ ammiratori dei modelli sociali e politici europei.
Di lui si disse: “il più grande fallimento del regno di Nicola Pavlovich fu che fu tutto un disastro”.
All’interno di un vero e proprio corpo di polizia segreta, in particolare, fondò nel 1836 la “Terza sezione”, con il compito di controllare e intervenire su ogni manifestazione di pensiero specie se occidentalizzante, ostacolando, tra gli altri, personaggi come Dostoevskij, Puškin e il nostro Gogol che proprio nel 1825 aveva già iniziato la sua carriera di scrittore adottando a volte lo pseudonimo di V. Alov e che proprio in quell’anno 1836 metteva in scena ‘L’ispettore generale’. L’iniziale fiasco (subito recuperato) lo spinse ad evadere. Tra viaggi in Europa (visse per qualche tempo anche a Roma) e amicizie importanti raggiungeva il successo, specie con il romanzo ‘Le anime morte’.
Le sempre più gravi nevrosi a sfondo mistico, combattuto tra il desiderio di comprensione e fratellanza cristiana e la pulsione alla dura satira della società russa e del malcostume delle classi dirigenti, e non solo, lo portarono tuttavia a digiuni e penitenze cui si sottoponeva, fino a condurlo alla morte per inedia, a Mosca, il 4 marzo 1852, a soli 42 anni.
Le sue opere sono state oggetto di dibattito dividendo la critica russa tra la corrente ‘classica’ – che sottolinea il realismo filantropico dell’autore – e quella ‘formalista’ che punta l’attenzione su un’esagerata iperbole del ‘paradosso’ e del grottesco. Fondamentale resta comunque la sua influenza su tutta la letteratura russa successiva.
Come si è detto il nostro autore metteva in scena nel 1836 ‘L’ispettore generale’, uno dei più grandi capolavori della drammaturgia russa, la pièce che torna sul palcoscenico dello Stabile con l’adattamento e la regia di Leo Moscato (classe 1973), formatosi nella compagnia di Luigi De Filippo e, per la regia, presso la ‘Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi’ nonché vincitore di numerosi premi a livello nazionale e internazionale.
All’interno di una cornice semplice, questa commedia degli equivoci si sviluppa giungendo all’acme della critica sociale, della satira e del grottesco, mettendo sotto accusa, ma sempre con il sorriso in bocca, se non con una dirompente ilarità, il potere, chi con albagia lo detiene o finge di possederlo e quanti, fra imbrogli, truffe, tangenti, collusioni e concussioni cercano di tenersi stretto il proprio ‘piccolo orticello’ restando invece beffati.
E così lo squattrinato studente Chlestakov viene scambiato per il misterioso controllore di cui si aspettava l’arrivo in un piccolo centro dell’immenso impero russo. La paura che vengano a galla le loro magagne spinge i notabili del paese a conquistare con il denaro la benevolenza di Chlestakov, il sedicente Ispettore, che sfrutta l’equivoco incassando il lauto bottino e fuggendo giusto prima che si scopra l’inghippo e venga annunciato l’arrivo del ‘vero’ ispettore.
La situazione dà il via a innumerevoli gag, battute e colloqui deliranti portati in scena da un ottimo cast condotto dal bravo e imprevedibile Rocco Papaleo nei panni del Podestà.
È proprio il basilisco Papaleo a dominare la scena, questo caleidoscopico artista che riesce a dare il meglio di sé in molteplici ruoli: musicista, doppiatore, sceneggiatore, regista, attore di cinema e teatro.
Abituati a vederlo come attore comico Rocco Papaleo (classe 1958), nella brevissima intervista che ci ha voluto concedere nonostante la stanchezza del viaggio e la fatica della scena, ha voluto puntare l’attenzione sulla sua grande capacità di passare agilmente dal difficile ruolo di comico a quello di tragico spostandosi con grande equilibrio dall’uno all’altro e traendone soddisfazione da entrambi.
Insieme al suo cast ci ha regalato questo quadro di una desolante mediocrità umana popolata da mascalzoni, imbroglioni, corrotti, approfittatori, affaristi, sfruttatori con grande capacità satirica tra il grottesco e il patetico e…tragicamente ed estremamente e attuale.
Foto e video di Lorenzo Davide Sgroi