Gli Stati Uniti d’Europa secondo Ernesto Rossi
“Clemenceau diceva che la guerra è una cosa troppo seria per essere lasciata ai generali. Noi dobbiamo dire che la pace è una cosa troppo seria per essere lasciata ai diplomatici”.
“Le guerre fra popoli europei appaiono ormai a tutti gli uomini di pensiero come guerre civili. Sono guerre tra fratelli nemici: fratelli che coltivano lo stesso campo, e che finora si sono odiati, dilaniati fra loro perché la casa in cui abitavano impediva una pacifica convivenza. Alla fine della guerra la casa sarà quasi completamente crollata. Ci dobbiamo proporre di ricostruirla in modo che tutti possano abitarvi in pace, con eguali diritti ed eguali doveri…”.
E. Rossi, Gli Stati Uniti d’Europa.
Ernesto Rossi (1897-1967) è stato uno dei principali leader del movimento antifascista Giustizia e Libertà. nel 1930 fu condannato a vent’anni di carcere dal Tribunale Speciale. Passò nove anni in carcere e per quattro fu confinato sull’isola di Ventotene dove insieme ad Altiero Spinelli (1907-1986) e Eugenio Colorni (1909-1944) scrisse il Manifesto di Ventotene, uno dei principali testi del federalismo europeo del XX secolo.
Uno dei suoi contributi principali alla costruzione teorica della futura federazione europea è il saggio intitolato Stati Uniti d’Europa pubblicato nel 1944 in Svizzera attraverso il Movimento Federalista Europeo.
In questo saggio Rossi sostiene che alla fine della guerra era necessario ricostruire un nuovo ordine internazionale in grado di impedire le guerre ed in particolare una nuova guerra mondiale. Sostiene in modo esplicito che la guerra – ed in particolare – una guerra mondiale sono la distruzione della civiltà
“La guerra non più un urto fra eserciti. È una conflagrazione fra popoli che nella lotta impegnano tutti i loro beni, tutte le loro vite. È la guerra totale, in cui ciascuna delle parti cerca, con i più efficienti strumenti forniti dalla scienza moderna, di distruggere il potenziale bellico e di abbattere il morale del nemico, come mezzo indiretto per annientare il nemico. È la negazione di ogni sentimento umano, il definitivo ripudio del diritto come regola di vita: nei casi si ribellione collettiva, “per dare esempio”, si decimano reparti scegliendo a sorte i soldati che devon morire; i tribunali militari condannano alla pena capitale innocenti e colpevoli con processi che sembrano tragiche parodie della giustizia; i prigionieri di guerra, i sospetti, gli indesiderabili – uomini, donne, vecchi, bambini – vengono ammassati entro il filo spinato dei campi di concentramento ed eliminati senza pietà come bocche inutili se non possono servire nei lavori forzati; nei paesi occupati i Supremi comandi , per ogni soldato ucciso ordinano di assassinare tanti ostaggi quanti reputano siano necessari per seminare un sufficiente terrore e rispondono alle imboscate facendo incenerire interi villaggi con tutti i loro abitanti. È un turbine che sradica intere popolazioni dalle terre sulle quali risiedevano da secoli, per sbatterli senza più case, senza mezzi per vivere a migliaia di chilometri di distanza; che non rispetta né ospedali, né cattedrali, né asili di infanzia…”.
Anche con la cessazione della guerra totale le ferite rimangono aperte e gli stati si trovano ad affrontare gravissime tensioni sociali.
Alla luce di quanto detto, secondo Rossi, è necessario risolvere il problema dell’ordine internazionale per realizzare una vera pace e non una pace armata fondata sull’aumento delle spese militari, la compressione dei diritti civili e sociali o – peggio ancora – una pace cartaginese. Bisogna rigettare l’anarchia internazionale e creare un ordine giuridico internazionale. In particolare, il leader di Giustizia e Libertà insiste sulla creazione di un sistema sanzionatorio efficace sia nei confronti degli individui che nei confronti degli stati, che sono gelosissimi depositari di una sovranità assoluta. Ritiene che il Patto Kellogg-Briand che vieta la guerra d’aggressione sia importantissimo, ma assolutamente inefficace proprio perché a livello internazionale manca un efficace applicazione delle sanzioni.
Inoltre, è molto diffidente nei confronti di coloro che ritengono il commercio internazionale come la principale leva per evitare le guerre. Al contrario, l’assenza di una robusta e forte struttura giuridica internazionale facilita comportamenti scorretti nel mondo del commercio e l’aumento di tensioni, quindi, potenzialmente nuove guerre.
Passa poi ad esaminare le ragioni del fallimento della Società delle Nazioni:
- la sovranità assoluta degli Stati nonostante la presenza di un’organizzazione internazionale;
- l’assenza di una forza armata internazionale in grado di far rispettare le decisioni della Società delle Nazioni;
- l’azione dei governi volta a paralizzare il funzionamento dell’organizzazione;
- alcuni difetti di regolamentazione (es. la regola dell’unanimità).
In altri termini, una delle ragioni del fallimento della Società delle Nazioni è la sua natura confederale. Nelle confederazioni, gli stati mantengono intatta la loro sovranità e le strutture dell’organizzazione dialogano e interagiscono solo con gli stati e non con i cittadini. L’esperienza ha mostrato che le confederazioni sono molto utili ed efficaci per realizzare obiettivi specifici di carattere economico o tecnico, mentre quasi sempre. falliscono quando gli stati membri si pongono obiettivi di natura politica (es. le confederazioni in Sud-America durante il XIX secolo). Al contrario, le federazioni hanno mostrato una maggiore stabilità perché il governo centrale è emanazione della volontà dei cittadini e la sovranità dei singoli stati è assolutamente annullata. La federazione ha un perfetto controllo del territorio, il monopolio della giurisdizione ed un’unica personalità giuridica.
La federazione nasce per assolvere tre compiti: 1) le relazioni con l’estero, 2) la difesa del territorio; 3) la tutela della pace all’interno della federazione. Deve quindi avere: 1) un governo al quale sia riservata la politica estera; 2) un esercito agli ordini di tale governo, in sostituzione degli eserciti nazionali; 3) un tribunale supremo per l’interpretazione della Costituzione, e che risolva tutte le controversie nascenti tra gli stati membri, fra i cittadini e la federazione fra gli Stati e la federazione.
Rossi ritiene che sia necessario realizzare in breve tempo una Federazione in Europa. Solo in tale modo è possibile realizzare una vera pace ed evitare una pace cartaginese. È evidente che l’Europa ha una sua unità economica e un’unica Weltanschauung tali da potersi considerarsi quasi un unico popolo: “Le guerre fra popoli europei appaiono ormai a tutti gli uomini di pensiero come guerre civili. Sono guerre tra fratelli nemici: fratelli che coltivano lo stesso campo, e che finora si sono odiati, dilaniati fra loro perché la casa in cui abitavano impediva una pacifica convivenza. Alla fine della guerra la casa sarà quasi completamente crollata. Ci dobbiamo proporre di ricostruirla in modo che tutti possano abitarvi in pace, con eguali diritti ed eguali doveri…”.
Il saggio citato nell’articolo è reperibile in AA.VV., Federazione europea, La Nuova Italia, Firenze, 1948, pag. 51-116.