L'Opinione

Gli animali non sono “oggetti”

Che cosa si può dire di fronte al video del ragazzo che ha lanciato un gattino dal ponte? Niente.
Non ci sono parole per poter tradurre quella immediata sensazione di vuoto che assale e che lascia attoniti.
Perché non si tratta di una bravata, una di quelle giornate in cui ci si vuole divertire condividendo un momento di spensieratezza con i propri amici.
Ma di un giorno di noia, uno dei tanti che i nostri giovani vivono come normalità, un giorno intriso della insulsa materialità propinata costantemente da una società che spinge a un narcisismo a ogni costo, in spregio dei sentimenti e dei valori.
La vita ha perso ogni significato, è stata svuotata e ridotta a un involucro da mostrare agli altri, sempre e comunque perfetto e luccicante. In questa impietosa caduta verso il fondo della nostra umanità, è stato trascinata giù ogni emozione, ogni empatia in onore di un vacuo culto della propria persona che porta solo ad una sterile esaltazione di se stessi e a considerare i più deboli e gli indifesi come esseri non meritevoli di attenzione e pertanto sacrificabili ai nostri istinti più bassi.
Il gattino lanciato dal ponte, non è un caso isolato, è solo l’ennesimo di una serie di abusi nei confronti degli animali.
Non c’è bisogno di guardare questo video per rendersi conto di quanta crudeltà e indifferenza ci sia, non solo da parte dei giovani, loro sono solo il vergognoso prodotto di una società di adulti che ha perso ogni senso di rispetto.
Gatti e cani abbandonati lungo e strade a scorrimento veloce in vista delle vacanze estive. Legati ai pali sotto il sole cocente, chiusi dentro a dei sacchetti di plastica, gettati nei fiumi e nelle discariche.
Queste sono le azioni che contraddistinguono gli uomini di questa nostra evoluta società digitale, che definiscono la nostra umanità.
Si lotta “a parole” per i diritti di tutti, anche degli animali, e poi nella quotidianità li abbandoniamo, li seviziamo per piacere puro, li sfruttiamo finché ci fa comodo.
Il progresso morale di una nazione si giudica dal modo in cui si trattano gli animali, diceva Gandhi, ma noi abbiamo confuso la moralità con un ossessivo compiacimento di noi stessi.
E’ morale solo quello che riteniamo giusto per noi.
In questa involuzione interiore abbiamo finito con il diventare molto più irrazionali degli stessi animali che maltrattiamo.
Si parla e si straparla di educare al rispetto e all’empatia per gli animali, senza considerare che questo rispetto, questa empatia non sono per nulla una conquista della nostra modernità.
Se, abbandonassimo la presunzione di considerarci la migliore società di tutti i tempi, scopriremmo che nella nostra storia passata sono stati tanti e tanti gli uomini che hanno compreso che gli animali hanno e meritano la nostra stessa dignità.
Primo fra tutti Pitagora, considerato il primo vegetariano della storia, seguito da molti altri filosofi come il greco Porfirio, che pochi di noi ricordano, ma che tutti dovremmo rileggere.
Scrisse un trattato in difesa degli animali e opponendosi al sentire comune del suo tempo, non solo affermò che gli animali sono esseri razionali con propri sentimenti ma che era assurdo portare rispetto a uomini poco intelligenti solo perché erano uomini e non farlo nei confronti di animali che si mostravano di gran lunga superiori.
Oggi numerosi studi scientifici confermano le sue intuizioni, gli animali sono spesso più intelligenti di quanto crediamo.
L’uomo moderno deve smettere di porsi immeritatamente sul primo gradino di una scala che ha inventato solo per puro compiacimento personale.
Gli animali meritano di essere amati, non abusati.
Questa sensibilità dovrebbe caratterizzare l’intera società che, sin dai primi anni di scuola, dovrebbe educare a una cultura del rispetto e non rimanere inerte per poi gridare all’orrore ogni qualvolta si trova di fronte ad atti di pura crudeltà.
L’amore verso questi compagni a quattro zampe, ha sempre contraddistinto le società umane, persino nell’antica Roma, dove nonostante non ci fosse una predisposizione generale verso gli animali, c’erano molti romani che invece li amavano come testimoniano i numerosi monumenti funerari, che riportano incise delle iscrizioni che attestano i profondi legami affettivi.
Gli animali non sono oggetti con cui trastullarsi e poi gettare come un rifiuto, gli animali non sono corpi su cui scaricare le frustrazioni e la rabbia quotidiana.
Non sono “macchine prive di coscienza e di sentimento” come ha scritto Voltaire che è stato uno dei primi ad opporsi con decisione alla vivisezione.
Nel suo “Dialogo del cappone e della pollastra” diede voce agli animali tramite un genere letterario risalente all’antichità greca e romana in cui le voci umanizzate degli animali impartivano una lezione agli esseri umani.
E noi oggi, abbiamo un urgente bisogno di questa lezione, di un dialogo universale con i nostri amici a quattro zampe per capire che non siamo i padroni della terra che abitiamo ma che la condividiamo con tutti loro e a cui dobbiamo tutto il nostro rispetto perché nessun dio o divinità ci ha conferito lo stupido primato che ci siamo arrogati con la nostra ingiustificata superbia.

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