L'Intervista

Giovanna Mancuso: comunicare coi segni

Nata a Catania nel 1962, Giovanna Mancuso si è diplomata all’istituto d’Arte di Catania, collaborando con Nino Mustica. Dal 1986 approfondisce i suoi studi al D.A.M.S di Bologna e nel 1988 partecipa alla Biennale giovani Bologna e da allora propone attivamente le sue opere presenziando in mostre in tutto il paese, ma anche all’estero. Si ricordano: Japanese Garden a Catania, Biennale MarteLive a Roma, International Mail art projects tra Brasile, Italia, Spagna e Portogallo, e Verba Volant, Arte Manent alla Giornata delle arti FAI, così come al Art Takes Times Square e Creative Rising Exhibition di New York. Realizza un videoclip su una canzone di Cesare Malfatti “Cantare” e di qualche anno fa sono la partecipazione alla Biennale off di Venezia e la mostra sul tema dei migranti a Siviglia. La pittura di Giovanna è da considerarsi ricerca. Si viaggia attraverso differenti linguaggi espressivi, da quello musicale, (con lo studio del pentagramma e delle sinestesie in cui confronta, tono cromatico e tono musicale), al “modo” infantile, per approdare allo studio delle calligrafie orientali Zen e Shodo, da cui l’ultima produzione attinge. La calligrafia orientale, intimamente legata alla pittura, è una vera e propria Arte e pratica di vita, che necessita di esercizio costante e non permette imperfezioni. Nei suoi acquerelli, larghe campiture acquose lasciano spazio ai segni. Nelle tele il segno si ingrossa, linee nere, morbide, aspre, energiche, diventano poesia visiva, secondo un ordine di composizione da dove emergono rapporti di pieni e di vuoti. Si percepisce un ritmo, un fluire dei gesti, una variabilità della forza. Un libero alfabeto, privato del significato, che campeggia sulla tela a supporto di una musicalità transitoria che diviene lirismo.

Ciao Giovanna, i tuoi quadri spesso mi riportano ad una metafora musicale. In musica le note, per assumere corpo e valore, hanno bisogno delle pause e degli spazi. Nella tua pittura, similmente, le pennellate lasciano spazi vuoti sulla tela, come ad esaltare la loro connotazione simbolica. Da dove nasce questa tua esigenza allo studio del tratto e del segno?

Io penso che la pittura sia un linguaggio e quindi la mia esigenza nasce dal voler tradurre in segno e colore la mia espressione e dunque tramutare in segno il linguaggio della pittura. Nel mio periodo musicale il linguaggio era la comparazione di tono e timbro musicale con quello cromatico. Con la nascita dei figli le mie tele si riempiono di figure infantili, vengono fuori spontanee, frutto di quel momento magico che appartiene solo all’infanzia.

Non pensi che nel mondo contemporaneo, in cui si ha la tendenza a voler tutto e subito, e a riempire tutti gli spazi, stia mancando proprio quello che rappresenti? Il vuoto che si alterna alla materia, la presenza valorizzata dall’assenza

Nella società odierna si sente l’esigenza a colmare tutti gli spazi, e non si apprezza uno spazio sospeso, un silenzio; dunque, penso che la pittura sia un tempo sospeso. Un tempo e uno spazio in cui faccio il vuoto intorno a me e lo riempio con la pittura stessa. Nei miei ultimi lavori, che ho intitolato Variazioni sul tema, (ecco che torna la musica), segno e colore si riducono all’essenziale, pochi segni e pochissimi colori compongono opere che comprendono un’altra dimensione, la terza e assumono una spazialità mai avuta prima. Come ha scritto di me Orazio Crispo, studioso e critico d’Arte: “In queste nuove e grandi tele, la funzionalità dell’angolo, viene superata o trascesa dalla espressività della curva che apre, dilata, crea rapporti dinamici tra forma e colore, inserisce una nuova tensione emotiva tra spazio, forma e ambiente. La pittura diventa un ampliamento del piano, conquista superficie e acquisisce nuova forza concettuale. In queste opere l’unità del quadro si scinde e nella dialettica compositiva si inserisce anche lo spazio vuoto, formando così un polittico dinamico che aprendosi dialoga con il piano verticale della parete. L’opera così progettata si presenta innanzitutto come una proiezione mentale e spaziale, prima di essere frammentazione geometrica della tela grezza, intesa come luogo materiale dove si compie l’azione figurativa… Per accostarsi a queste opere dal grande formato e dal concept indubbiamente minimalista, occorre fare spazio nella mente e lasciare fluire ogni attrito emotivo.”

Nella filosofia Zen l’atto ripetitivo è esso stesso atto di meditazione, astrazione, comunicazione col proprio sé.  La tua pittura, nel momento in cui viene realizzata, ha per te la stessa funzione?

Certo, questo è quello che cerco quando mi siedo a lavorare. Il mio intento è quello di ricongiungermi al mio io profondo, avviene di rado, ma quelle volte che  è successo mi ha dato una sensazione di estrema felicità, di completezza, ecco. Il concetto di io profondo è difficile da spiegare: è quella sensazione di sintonia assoluta tra il cuore e la mente. Tra quello che senti, quello che fai e quello che sei. L’atto pittorico è quella magia che fa avvenire tutto questo, quel processo che permette questa sintonia tra cuore e mente. Ogni volta mi che succede mi sorprende. Mi è successo alla nascita dei miei figli certo, ma in quel momento ero troppo presa dall’esigenza di dover fare qualcosa, obbedire a degli obblighi, la responsabilità e tutto il resto. Invece la pittura mi consente di esprimermi, posso dire che essa è la traduzione di me che rendo al mondo.

A proposito di ciò che rendi al mondo: quanto conta per te la conferma del pubblico?

Se per conferma intendi cercare di essere accondiscendente alle oscillazioni del gusto comune, ecco no, non mi condiziona. Se invece intendi una corrispondenza tra il mio sentire, quindi la mia opera, e la sua comunicabilità o l’ottenimento di una reazione, questo sì che mi interessa. Alcune soddisfazioni inaspettate le ho avute dai bambini. Quando i miei figli erano piccoli e arrivavano gli amichetti a casa questi, (ingenui e scevri da sovrastrutture di pensiero), dicevano: “che bei quadri.!” Dunque, c’era un canale comunicativo aperto. In conclusione, nel mio percorso artistico il segno e il colore hanno sempre avuto un valore linguistico e anche emotivo.

Progetti importanti in cantiere?

In cantiere ho un progetto molto importante a cui lavoro da un po’ di tempo e quindi lo custodisco gelosamente. Posso solo dire che mi porterà lontano e vedrà la sua realizzazione fra almeno un anno. Allora in bocca al lupo, ti aspetto al ritorno dalle tue avventure artistiche!

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