Storie Arcane

Giovanna Bonanno: la Vecchia dell’Aceto

Le streghe del nostro passato, non sono personaggi di fantasia, inventati per costruirci attorno storie macabre da raccontare, ma donne in carne e ossa, profonde conoscitrici delle proprietà officinali delle erbe e delle piante che mescolavano con sapienza ancestrale nei loro calderoni di rame. In questo modo creavano le loro pozioni che non erano altro che delle misture complesse che sfruttavano le diverse funzioni curative dei singoli elementi naturali che avevano inserito.

Però sapevano anche che alcune piante e radici, se usate in dosi elevate, perdevano le loro caratteristiche benefiche e diventano tossiche per gli esseri umani, trasformandosi così in potenti intrugli velenosi.

Alcune donne sfruttarono questa loro conoscenza a proprio vantaggio e crearono delle misture velenose da vendere dietro lauto compenso a chi desiderava provocare malattie e addirittura morte al proprio nemico.

Giovanna Bonanno fu una di loro.

Protagonista di una macabra vicenda avvenuta più di 200 anni fa e di cui ancora oggi si parla.

Megera di Palermo, vissuta nel XVIII secolo nel quartiere palermitano della Zisa e passata alla storia come La Vecchia dell’aceto.

La donna viveva in povertà mendicando per le strade, ma un giorno per caso assistette a un avvelenamento di una bambina che aveva bevuto accidentalmente un sorso dell’aceto utilizzato per i pidocchi, un miscuglio di aceto e arsenico, venduto dal droghiere. La bambina fu salvata dallo stesso venditore che le fece bere dell’olio facendole vomitare tutto quello che aveva ingerito.

La Megera, spinta dalla sua innata cattiveria, comprò una bottiglietta di quell’aceto per pidocchi vi inzuppò un pezzo di pane e lo diede da mangiare a un povero cane randagio che aveva catturato e legato a un palo. Il giorno dopo lo trovò morto ed essendo una attenta conoscitrice degli effetti letali delle sostanze sul corpo, prima tirò il pelo dell’animale, poi esaminò le mucose della bocca. Notando con soddisfazione che non erano nere e che il pelo non si era staccato facilmente dalla pelle, si rese conto che quel miscuglio velenoso non lasciava alcuna traccia di avvelenamento. 

A quel tempo, nel 1700, la medicina non possedeva grandi competenze per cui medici non erano sempre in grado di stabilire quale fosse la causa di un decesso con assoluta certezza.

Giovanna, compiaciuta della propria malvagità, organizzò una vera e propria attività di morte. Vendendo quel veleno avrebbe potuto risollevare la sua situazione economica. Così cominciò a spargere la voce che lei era in possesso di un misterioso liquore “Arcano liquore aceto” così come lo definiva, in grado di riportare la pace nelle famiglie e che lo avrebbe concesso, dietro un ovvio compenso, a tutte quelle donne che volevano sbarazzarsi del marito o di un amante indesiderato o ancora di un uomo che non contraccambiava il loro amore.

La voce si diffuse e molte donne chiesero il suo aiuto.

E lei, dopo che il poveretto era morto dopo atroci dolori allo stomaco, si recava a casa della cliente, chiedeva il proprio compenso e poi si faceva il segno della croce dicendo:

U Signuri ci pozza arrifriscari l’armicedda!

Il Signore possa rinfrescargli l’anima!

Però anche se questo intruglio non lasciava tracce, le numerose morti nel quartiere palermitano, senza alcun motivo apparente, cominciarono a insospettire molti, ma non avendo prove, per lungo tempo non riuscirono a fermarla.

Solo quando una madre, dopo la morte improvvisa del figlio e le successive nozze della nuora la denunciò, tutta questa catena di morte si fermò.

Questa donna, che era anche una sua carissima amica, per vendicarsi, finse di voler comprare una bottiglietta del famoso veleno, ma al momento della consegna andò accompagnata da quattro testimoni che confermarono ogni cosa.

La Vecchia dell’Aceto venne arrestata e fu rinchiusa nelle prigioni di Palazzo Steri. Durante il processo, così come risulta dagli atti processuali, ella dichiarò di essere convinta di aver reso un servizio alla comunità. Ma fu accusata da sei dei coniugi superstiti e dallo stesso droghiere che le aveva venduto l’aceto per pidocchi.

Fu processata e condannata a morte per veneficio e stregoneria.

E la mattina del 30 luglio 1789, fu impiccata davanti al popolo e ai nobili della città, sulla forca eretta sul quadrivio di piazza Villena.

La sua storia è stata tramandata oralmente e ha affascinato e impaurito al tempo stesso, intere generazioni e ancora oggi c’è chi giura di averla vista errare certe notti per i quartieri e i vicoli di Palermo come se fosse in cerca di quella pace che la sua anima dannata non è riuscita a trovare nell’aldilà.

Photo by Bartolomeo Pollini – Self-scanned, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=69900869

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