Gammazita: la forza di ogni donna
I racconti popolari, come perle preziose, adornano la storia arricchendola e, tramandandosi di generazione in generazione, si trasformano in leggende in cui i valori propri della tradizione divengono le radici profonde che identificano ogni uomo. E a Catania, i quattro candelabri che ornano piazza Università, cuore pulsante della città, rappresentando alla propria base antichi miti, si tramutano in testimoni perenni della memoria collettiva. Con la loro bronzea presenza, sotto il blu intenso del cielo terso catanese, sembrano dominare lo spazio intorno con la forza dirompente delle loro immagini, ponendosi come esempi da emulare.
Come la commovente storia della giovane Gammazita, una bellissima fanciulla catanese, vissuta al tempo della dominazione angioina in Sicilia, che era solita andare a prendere l’acqua nel pozzo che ancora oggi si trova in pieno centro storico, adiacente alla cinta muraria a due passi dal Castello Ursino. Di lei si invaghì un soldato francese, Droetto, che però lei rifiutò perchè promessa sposa ad un altro. Ma proprio il giorno del suo matrimonio, mentre si recava a prendere l’acqua, fu aggredita brutalmente dal soldato. Vistasi preclusa ogni via di scampo, si buttò nel pozzo preferendo la morte al disonore. Sconvolti, i catanesi iniziarono una caccia all’uomo e per scovarlo venne chiesto a tutti i passanti di pronunciare la parola dialettale “Ciciri” in italiano Ceci, così lo straniero, non essendo in grado di farlo correttamente, fu individuato.
Connubio perfetto tra mito e storia, questa leggenda fonde la realtà storica con il sentimento patriottico fortemente radicato nella nostra Isola. Essa trae spunto dai contrasti sorti tra i dominatori francesi e i siciliani durante il periodo della dominazione angioina iniziata nel 1266 con Carlo d’Angiò, che dopo aver sconfitto Manfredi nella battaglia di Benevento, dominò la Sicilia fino al 1282 quando la rivolta dei Vespri Siciliani pose fine al suo governo.
Gammazita si trasforma così in un modello di straordinario coraggio e di determinazione nella lotta contro l’oppressore e la sua storia, raccontata nel corso del tempo, scorre lungo i secoli arricchita di dettagli e nuovi personaggi mantenendo però inalterato il suo messaggio più profondo: il viscerale desiderio di libertà che caratterizza e che arde incessantemente nell’animo di ogni donna siciliana.
Ardore che ha animato semplici donne del popolo la quali hanno partecipato attivamente alle rivoluzioni guidate dagli uomini, come Dina e Clarenza eroine dei Vespri o come, secoli dopo, Rosa Rosso Donato, moglie di uno stalliere, e tosatrice di cani, la quale durante la rivoluzione del 1848, a Messina porta il fazzoletto tricolore al collo e combatte col grado di caporale, riconoscimento conquistato sul campo per essersi posta a scudo umano, e lotta sparando con un vecchio cannone tolto ai borbonici. Stesso ardimento lo si ritrova nella postina catanese Giuseppa Bolognani, ancora oggi ricordata come Peppa a Cannunera, che a Catania, mentre le camicie rosse di Garibaldi avanzano a Palermo, conquista un cannone e lei stessa accende la miccia per scompaginare le fila dei nemici e poi lo piazza alla Marina e attacca la nave da guerra che sta cannoneggiando la città. E ancora sono sempre le donne siciliane che hanno iniziato la resistenza italiana nei primi di agosto del 1943.
Il loro valore di donne coraggiose ha attraversato i secoli ed è esploso in tutta la sua potenza di fronte a ogni brutale oppressione, ma la loro intraprendenza, fiamma interiore mai spenta, ma sempre alimentata dalla passione ha dato loro la forza di lottare, non solo per la libertà della propria terra ma anche per i propri diritti e la propria dignità, compresse da secoli di ottusità maschilista. Come la baronessa catanese Maria Paternò che nel 1808 fu la prima donna a ottenere il divorzio in Italia o ancora la nostra concittadina Carmelina Naselli che nel 1949 fu la prima docente universitaria in Italia, insegnando nella nostra facoltà di lettere.
La loro caparbia tenacia, le ha portate a conquistare posti di rilievo in campi prettamente maschili, come la politica, per dimostrare tutto il loro spessore culturale e umano e nel 1946 la siciliana Ottavia Penna Buscemi fu la prima donna italiana a essere votata come Presidente della Repubblica.
Eredi di Gammazita hanno sempre posto in primo piano la propria integrità morale, la propria onestà di donne e hanno combattuto con fermezza la Mafia, un cancro che tormenta la nostra terra da tempo immemore e come tale lo hanno affrontato tentando di estirparlo alla radice, come Felicia Impastato, Rita Borsellino e Maria Falcone.
E oggi non si può non ricordare l’impegno costante di tutte le altre donne che operano nell’anonimato, che studiano, lavorano, ed educano i propri figli nella cultura dell’uguaglianza, del rispetto e della reciprocità, e che, con la loro determinazione, dimostrano l’incredibile forza caratteriale della donna siciliana, quella forza che ha reso affascinante questa leggenda e che è stata catturata nell’immagine disegnata nel 2019 da Simone Bianchi nel manifesto della rassegna Etna Comics in cui la giovane, dall’aspetto prominente e dallo sguardo penetrante sembra voler affermare la propria dignità di donna e gridare a gran voce di non cedere mai alla violenza e alla becera follia di uomini frustrati e deboli.
In questo modo Gammazita, riemerge dal nostro passato e insegna alle donne siciliane di ogni tempo a sublimare la propria sofferenza, e a risorgere poiché ognuna porta dentro di se una scintilla del fuoco dell’Etna, “A muntagna”, così come la chiamano i catanesi, che infiamma con superbo orgoglio, l’anima segreta della nostra Sicilia.