Femminicidi, nella nostra società non c’è più sensibilità emotiva
A Nuoro un uomo ha sparato alla moglie, ai due figli, a un vicino e alla madre e poi si è tolto la vita. A Carignano un uomo ha aggredito la moglie a martellate mentre dormiva e poi, credendola morta si è lanciato dal balcone.
Una lista di femminicidi e di omicidi che ogni giorno di più si ingrossa senza mai fermarsi, una escalation di violenza e di brutalità che lascia attoniti e che cancella ogni speranza che questa mattanza si possa fermare.
Essa è purtroppo l’impietoso specchio di una società che ha sbarrato la porta dei sentimenti e l’ha serrata con una doppia anzi una tripla mandata per essere sicura che nessuno possa più spalancarla.
Non basta più, parlare di rapporti tossici e di maschi possessivi, questa è una narrazione troppo semplicistica.
Questi femminicidi e conseguenti omicidi degli altri membri della famiglia, evidenziano in modo drammatico una preoccupante assenza di affettività nei confronti di chi sta accanto.
Ma soprattutto mettono in luce le gravi carenze di una società che ha posto sul podio la superficiale affermazione di sé a ogni costo, in un imperante materialismo che ha fagocitato qualunque forma di sentimento o emozione.
Le necessità individuali, ridotte a un bisogno istintivo, devono essere soddisfatte improrogabilmente, inesorabilmente, anche a costo di sacrificare vite innocenti.
Una totale mancanza di empatia che, come un velo invisibile, ha circondato l’intera comunità e, lentamente, ha avvolto in modo sempre più fitto, ogni singolo individuo fino a stritolarlo nella sua asfissiante indifferenza in un torpore asettico dal quale nessuno è più in grado di uscire.
Ed è inutile, ogni volta che una donna muore, che un figlio viene brutalmente ucciso, puntare il dito contro l’uomo, tacciarlo di maschilismo e accusare il patriarcato come unico responsabile.
Colpevolizzare il “bruto” di turno è solo il modo più veloce e indolore per scaricare le colpe di tutta un’intera società su un capro espiatorio. Il modo per ripulirsi la coscienza e per non dover ammettere che, ogni volta che si verifica un femminicidio o una strage familiare, la colpa è di tutti, di un’intera società che ha perso di vista la propria sensibilità emotiva.
Una società che non sa più gestire le sconfitte e i fallimenti, che ha reso la vulnerabilità un’infamia da nascondere, un marchio insostenibile in confronto agli sfavillanti luccichii di coloro i quali sono osannati come vincenti. E non ci si accorge più che sono solo bagliori che celano la vacuità dell’esistenza stessa.
Non serve accusarsi a vicenda, uomini contro donne e donne contro uomini.
E’ solo un’inutile contesa che non conduce a una reale apertura delle porte dei nostri sentimenti. Esse rimangono ostinatamente chiuse.
Ma, se non vogliamo più assistere al funerale di una donna o di un figlio, dobbiamo riaprirle tutti, uomini e donne.
Dobbiamo liberare dalla ingiusta prigionia le nostre emozioni, il nostro senso del rispetto verso l’altro e, soprattutto, dobbiamo lasciar volare alto la nostra partecipazione emotiva per lo stato d’animo di chi ci sta al fianco.
Instaurare una relazione sana, significa impegnarsi emotivamente e non pretendere a senso unico.
Valori che la società ha vergognosamente degradati e sottomessi all’impellenza dei superficiali desideri imposti come prioritari, salvo poi invocarli a gran voce ogni volta che una vita viene spezzata in modo efferato.
Bisognerebbe impegnarsi tutti, famiglie, scuole e istituzioni, per risvegliare in ognuno di noi questa sopita sensibilità emotiva in modo da raggiungere una vera e sana coscienza dei nostri sentimenti, per imparare a gestirli in modo responsabile e per essere capaci di preservare il nostro inestimabile patrimonio emotivo.
“L’amore è l’alimento naturale” ha scritto Gustave Flaubert nel suo romanzo: L’Educazione sentimentale.
E a noi , uomini e donne di oggi, non resta che continuare ad alimentarlo con la nostra volontà e consapevolezza, perché solo quando si raggiunge una piena consapevolezza di se stessi e delle proprie emozioni si è in grado di porsi in modo equilibrato nel rapporto-confronto con l’altro.
Le relazioni si costruiscono solo e unicamente su queste premesse ed è compito nostro, uomini e donne insieme, trasmetterle non solo ai nostri figli ma a un’intera comunità, smarrita nei pericolosi meandri della propria autoglorificazione.
Un’illusione che, però, si infrange ferocemente sui brandelli di troppe vite massacrate.