Spettacoli

Eva Peron al Piccolo Teatro della Città: la demolizione di un mito

La Stagione Teatrale del Piccolo Teatro della Città si apre con lo spettacolo: “Eva Peron” di Copi (pseudonimo di Raùl Damonte Botana). Interpreti: Guia Jelo, Rossana Bonafede, Filippo Brazzaventre, Marco Sambasile. Aadattamento e regia: Camillo Sanguedolce; scene e costumi: Vincenzo La Mendola; aiuto regia: Marco Sambasile; assistente alla regia: Sebastian Beverie; produzione: Associazione Città Teatro.

Di non facile realizzazione questa audace (è vietata ai minori di 16 anni!) grottesca commedia piena di echi ‘forti’ che nel 1969 scrisse il disegnatore, fumettista e drammaturgo francese, ma di origini complesse (argentine, indie, ebraiche, europee e italiane per via del bisnonno ligure) Copì.
Raúl Damonte Botana (1939- 1987) nasce a Buenos Aires e cresce in una famiglia multietnica che in seguito alle violente persecuzioni del regime peronista è costretta a spostarsi in Uruguay e poi a Parigi – dove nel 1964 farà la sua prima apparizione sul ‘Nouvel Observateur’, dal 1962, il celebre, caustico personaggio de ‘La donna seduta’ – in cui Copì (è il suo pseudonimo) decide di stabilirsi frequentando i circoli della cultura più d’avanguardia post surrealista.
In Italia lo avrebbe lanciato Giovanni Gandini (1929-2006), storico fondatore di “Linus”.
Sovvertendo le logiche di scrittura e sintassi ‘borghesi’ Copì affronta, in tutte le forme della sua arte, tematiche tabù in maniera spiazzante e volutamente offensiva nei confronti della morale corrente: la Morale, il Sesso, l’Omosessualità e anche l’AIDS che lo avrebbe colpito, la Morte.
Con la sua graffiante ironia, prima di morire scrisse ‘Una visita inopportuna’: la Morte che gli tolse la possibilità di vedere in scena la pièce come protagonista.
Omosessuale dichiarato, nel ’70 aveva presentato “Eva Peron” con attore principale Facundo Bo, en travesti e il gruppo Tse; spettacolo che sarebbe stato interdetto in Argentina.
Troppo noto il mito di Eva Duarte Peron, seconda moglie del ‘generalissimo’, che con il suo fascino intelligente e le sue capacità socio/politiche aveva incantato i ‘descamisados’ argentini costruendo, di fatto, la carriera e il successo del marito.
In un clima caratterizzato da una certa ambiguità politica Evita era intervenuta positivamente nell’istruzione e nella sanità dando dignità ai lavoratori e facendo emergere le potenzialità, anche politiche e sindacali, delle donne.
Di certo l’onda favorevole al peronismo era dovuta anche alla ricchezza, in quel momento storico, del Paese che si era dichiarato neutrale nella II guerra mondiale senza poi schierarsi nella guerra fredda (…ma dando però anche ricovero ai fuggitivi capi nazisti…). Eva, nella sua breve vita (morirà di cancro appena trentenne), seppe cavalcare con successo quel determinato momento.
Aiutata dal suo carisma diventò un’icona internazionale!
Copì in questa commedia, scagliandosi contro il peronismo che aveva causato l’esilio della sua famiglia, voleva ribaltare il mito ‘santificato’ di Evita cogliendola negli ultimi, ironicamente devastanti momenti della sua vita.
E qui la colloca l’adattatore e regista dello spettacolo, Camillo Sanguedolce.
«Nella commedia del 1970 Eva Peron, da lui stesso interpretata – spiega Sanguedolce- Copì prende finalmente di mira coloro che hanno causato alla sua famiglia il disagio dell’esilio, e ribalta con la sua graffiante ironia l’immagine santificata di Evita facendone un essere abietto, una drag queen manipolatrice e sboccata in cui identifica frammenti della sua stessa vita di omosessuale spudorato, e la mette a confronto con un doppio immaginando in scena la figura di una Madre altrettanto indecente con la quale Eva si confronta e si scontra in cerca di una impossibile catarsi: a vicenda vogliono annientarsi ma continuano ad esistere così come sono perché sono l’una lo specchio – già deformato – dell’altra. Del generalissimo Juan Domingo Peron fa una figura imbelle, una nota a margine in quest’ultima ora della vita di Eva che mette in scena in questa esilarante commedia dai risvolti macabri e spiazzanti».
Guia Jelo (“sono una drag queen. Come gli uomini, ma non sono maschile”) interpreta magistralmente il ruolo di avida ‘Madre’ alla quale il regista vuole regalare, nel finale, un momento di consapevole riflessione: “Camillo – chiarisce la Jelo – ha scritto un monologo che proietta il mio personaggio in un’altra dimensione: drammaticamente vera, quasi autobiografica, di madre egocentrica, in eterno conflitto con la figura della figlia…, in un cortocircuito che mi fa spogliare del personaggio per mostrarmi come madre e come donna, provando un languore che mi strugge e mi inquieta, facendomi paura!”.
La Jelo e Rossana Buonafede, la figlia con cui si confronta e scontra, portano l’azione all’estremo, tra piume, trasparenze, lustrini, sboccate battute, linguaggio scurrile ed esasperata gestualità. Ottimi sulla scena anche l’ambiguo ruolo di Brazzaventre e quello del ‘catatonico’ Peron, insieme allo svolazzante ‘nudo’, il bel tenebroso Sebastian Beverie, “in questa divertente e accattivante, bizzarrissima ed esagerata commedia”.

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