È uscito il nuovo libro di Laura Silvia Battaglia “Asseta la distanza”, edito da Algra
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In tutte le librerie, il nuovo libro di Laura Silvia Battaglia “Asseta la distanza”, edito da Algra. «È un canzoniere d’amore, ma di un amore impossibile e forse scandaloso […] Nella sua calibrata struttura di romanzo in versi, Asseta la distanza è un «forziere» di felici soluzioni stilistiche che spesso sconfinano nel virtuosismo, con il gioco delle rime che lascia presagire l’esattezza di una forma chiusa sempre rinviata e, da ultimo, denegata. Il racconto segue la sua trama, che però non si conclude se non al di fuori del resoconto di un amor fou perseguito con implacabile determinazione», scrive Alessandro Zaccuri nella prefazione.
Laura Silvia Battaglia (nella foto di Giuseppe Biancofiore) è una reporter italiana, specializzata in aree di crisi e conflitti dal 2007. Con un particolare focus su Yemen e Iraq, si è occupata negli anni di minoranze etniche, religiose e di genere, migrazione, terrorismo e traffico di esseri umani e di armi. È autrice e conduttrice per Radio3, documentarista. Collabora, tra gli altri media internazionali, con il Washington Post. Ha pubblicato il libro-inchiesta Lettere da Guantanamo (Castelvecchi, 2021) e la graphic novel La sposa yemenita (Beccogiallo, 2017). Ha debuttato in poesia nel 2003 con Per favore non ditelo ai poeti (Ibiskos editore) e, per Medusa editore, ha curato nel 2008 il saggio Mario Luzi e Luciano Sampaoli: le arti amanti.
Quali i temi “urgenti” che emergono da questa sua proposta, in questo ‘scavo’ che è lo scrivere e cosa accomuna, in termini di senso, passato e presente, immaginazione e realtà?
Il tema di questo romanzo in versi è la presa di coscienza, in letteratura e nella realtà, dell’indipendenza del personaggio femminile dal suo creatore e decisore. Un uomo, ovviamente, dal quale ella dipende ma che, al tempo stesso, ne limita le potenzialità, giocando sulle sue aspirazioni. E’ una relazione in cui c’è passione vivida, erotismo, reale sentimento ma, al tempo stesso, è una relazione che costringe il personaggio femminile a costruire un castello di infingimenti esteriori per non essere giudicato, per non essere definito un’estensione, una creazione del Maestro. Per questo, letterariamente, il soggetto che dice “io” parte dallo specchiarsi nella Margherita di Bulgakov e riflette la relazione di Margherita con il Maestro continuamente in altre celebri dualità della letteratura, dell’opera lirica o della realtà (Angelica e Orlando, Carmen ed Escamillo, Marta Abba e Luigi Pirandello), valutando quali azioni siano state risolutive, e in che modo (violento oppure no) lo siano state, in quelle narrazioni. In questo percorso, Margherita giunge alla consapevolezza che il possesso dell’amato, obiettivo primario della sua prospettiva iniziale, potrebbe equivalere all’annientamento di se stessa; così, attraverso continui e frastagliati ripensamenti, arriverà a capire che la soluzione da prendere per ottenere la sua liberazione è acquisire distanza da lui. Questa distanza, quest’ammanco di valore amoroso che le procurerà sete e sofferenza, è, alla fine, l’unica e la migliore via possibile per lei, per vivere in serenità e in pienezza.
Perché questo libro, perché leggerlo, quale il messaggio “cardine” per i lettori?
Perché la poesia è il territorio in cui si può dire l’indicibile, non rivelandolo completamente, e oggi è ancora più necessaria, in un momento storico in cui ciascuno si scopre platealmente al mondo, cavalcando il narcisismo dei social. Va letto da chiunque abbia avuto un amore segreto e abbia sofferto nel non poterlo rendere pubblico; da chiunque abbia amato un uomo o una donna affrontando il giudizio sociale o dovendo difendersi da esso; va letto da chiunque abbia peccato della ubris di amare un uomo o una donna con una grande differenza di età; va letto da chi si sia sempre chiesto perché le grandi donne della letteratura siano state sempre e solo classificate come “le amanti di” o “le donne di”. Va letto da chi non ha paura di riconoscere in sé un pozzo di contraddizioni e di percorrere una scala di grigi così lunga da sprofondare.
Asseta la distanza è un «forziere» di felici soluzioni stilistiche che spesso sconfinano nel virtuosismo, scrive Alessandro Zaccuri nella prefazione, questa premessa per chiedere: la forma quanto incide sulla sostanza della poesia?
La forma qui ha la stessa stanza della sostanza. Ho sempre pensato che la vera sfida per la poesia attuale sia ritornare a incarcerarsi nella metrica per sfidare gli obblighi della forma chiusa e della rima. Il verso libero è diventato l’autostrada preferenziale per scrivere quel che si voglia senza faticare e senza interrogarsi sulle potenzialità della metrica. Per questo ho lavorato molto sul modello della terzina, delle quartine, della ballata e del madrigale, porgendo un orecchio alla musica che è l’arte che ho praticato nei primi 25 anni della mia vita. I modelli poetici, per questo lavoro, dal punto di vista formale, sono Giovanni Raboni ma, soprattutto, Patrizia Valduga.
Riporterebbe una poesia per salutare i nostri lettori?
Asseta la distanza,
asseta questa stanza tutta pareti,
oasi deserta di te
dove ho fatto mattanza dei ricordi,
dei pensieri che come lumache lente
lasciano bave di ripensamento al cuore.
E non c’è acqua, non ho acqua
per spegnere l’incendio della gola,
per alleviare il parto plurimo
della parola gravida e sola,
non ho acqua e non ho nemmeno vino
per ubriacare in seconde nozze
questo futuro,
questa Cana senza miraggio,
senza un miracolo divino.