Draghi ce la potrebbe fare: ma tutti facciano la loro parte
Non è soltanto avvilente assistere al litigio per stabilire chi ha vinto e chi ha perso nelle vicende che hanno condotto alla crisi del governo Conte 2 e all’incarico conferito a Mario Draghi. E’ soprattutto inutile. Perché il governo dimissionario non è caduto a causa dei colpi di Italia Viva. Matteo Renzi è stato colui che ha accelerato (o preteso) la constatazione di morte di un esecutivo già privo di vita. Un governo che stava in piedi a condizione di restare fermo. Perché ogni volta che si azzardava a compiere un passo in qualsiasi direzione, giustizia, scuola, recovery fund, sanità, rischiava il classico ruzzolone.
Poiché in Parlamento è in discussione la nuova legge elettorale, indispensabile dopo il taglio dei deputati e dei senatori, e poiché tale legge prevede il metodo proporzionale e, di conseguenza porterà a governi che saranno di coalizione, sarà bene che le forze politiche, fino da ora riflettano bene su cosa ciò significhi. I governi di coalizione non sono sottoposti alla regola che si deve fare come decide la maggioranza dei soci del governo. E nemmeno dalla regola opposta che il possessore di una piccola quota può trascinare dalla sua parte tutti gli altri solo perché i suoi pochi voti sono indispensabili a fare maggioranza in parlamento. Era, appunto, la pretesa di 5Stelle, PD e LeU da un lato e Italia Viva dall’altro, in occasione della crisi che ha portato alla caduta del Conte 2. I governi di coalizione hanno tanta maggiore durata quanto più sono chiari i programmi concordati e quanto più c’è disponibilità al dialogo, a pari dignità, nell’affrontare emergenze e argomenti che nel programma concordato non sono contenuti. Sono cose scontate e risapute? Non sembrerebbe se si tiene conto che da un lato si è voluto fare passare Renzi come una sorta di ricattatore, e dall’altro i rimanenti soci di governo sono stati messi da Renzi di fronte ad una serie di ultimatum “prendere o lasciare”.
Draghi, se farà il governo e otterrà la fiducia, avrà un compito chiaro e molto difficile. E lo ha subito dichiarato appena uscito dal Quirinale alla fine del colloquio con Mattarella per il conferimento dell’incarico. E’ un compito che si chiama emergenza economica e sanitaria. E ci si attende che, visti i suoi trascorsi, sappia affrontarli con efficacia: per quanto riguarda l’economia spendendo bene i soldi che in gran parte sono piovuti per essere restituiti, ma anche tagliando le spese meno necessarie in modo da potere quanto meno avviare una diminuzione del carico fiscale; per l’emergenza sanitaria contrastando la pandemia e conducendo una campagna dei vaccini che possa essere portata a termine rapidamente e senza altri intoppi.
Questi gli impegni annunciati da Draghi e le cose che ci si attendono da parte di un Paese che ha bisogno di ritrovare fiducia e slancio. Ma ci sono altri due adempimenti che dovrebbero completare le condizioni indispensabili per aprire una stagione veramente nuova e che riguardano le forze politiche. Il primo è la nuova legge elettorale. E’ già all’esame alla Camera, ma si è incagliata per i disaccordi fra gli stessi partiti della ex maggioranza. Il secondo, forse ancora più importante, la riforma dei partiti: per farli diventare trasparenti e dotati democrazia interna. Sono requisiti ad oggi del tutto assenti. E si vede dalla qualità dei rappresentanti mandati nelle assemblee elettive di ogni grado, e dal generale stato di degrado delle istituzioni democratiche. E non potrà mai essere diversamente fino a quando i partiti saranno quelle camere oscure che sono attualmente.
Tratto dal giornale online Pensa Libero (www.pensalibero.it) per gentile concessione.