Da “Un anno di dominazione fascista” al discorso del 30 maggio 1924 di Matteotti alla Camera.
Com’è noto, già nel marzo del 1922 Matteotti aveva dato alle stampe la famosa “Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia”, in cui denunciava le violenze perpetrate dallo squadrismo fascista ai danni di militanti e istituzioni socialiste nel periodo compreso tra i primi mesi del 1919 e il giugno del 1921.
Sulla stessa tematica, ma in maniera più circostanziata, nel 1924 pubblica il suo volume “Un anno di dominazione fascista”. Si tratta di una specie di libro bianco che Matteotti comincia a compilare dopo la marcia su Roma e la conquista del potere da parte di Mussolini. Dati alla mano, Giacomo Matteotti dimostra, oltre al dilettantismo e all’incompetenza politica, le numerose violenze commesse dal partito fascista, gli atti di intimidazione, gli abusi squadristi. Uscito quasi clandestino all’inizio del 1924, il volume raccoglie gli scritti di Matteotti, i discorsi del Duce e, soprattutto, un lunghissimo e dettagliato elenco di violenze – giorno per giorno e paese per paese – di tutte le azioni squadristiche compiute dalle camicie nere durante il primo anno del governo Mussolini, dal novembre 1922 all’ottobre 1923. “Un anno di dominazione fascista” non solo contiene la denuncia della violenza fascista ma anche la lungimirante previsione della dittatura che avrebbe governato l’Italia per vent’anni. Il documento di Matteotti costituisce, infatti, ancora oggi una sconvolgente denuncia della deriva autoritaria dell’Italia trascinata verso la catastrofe da un regime dittatoriale. Con cognizione di causa e con dati certi, Giacomo Matteotti dimostra che i provvedimenti economici, varati dal nuovo governo, se da un canto sono iniqui, dall’altro rivelano un’incompetenza assoluta. A fare da corollario sono l’abuso dei decreti legge e la catena infinita delle brutalità. Come scrive Walter Veltroni, Matteotti “vede prima di altri la natura violenta e l’intenzione totalitaria del fascismo” e con questo libro segnala, “in modo tanto puntiglioso e circostanziato quanto coraggioso, le violenze fasciste che si stanno intensificando in ogni parte d’Italia” e mette in evidenza le contraddizioni stridenti tra le politiche annunciate e quelle attuate.
Per denunciare la natura violenta del fascismo, nello stesso anno, nonostante il ritiro del passaporto, Matteotti si reca ugualmente a Londra. Qui incontra numerosi dirigenti del Partito laburista, delle Trade Unions e dell’Independent Labour Party e il 24 aprile, e nel corso di una riunione del Tuc Congress, allargata all’esecutivo del partito laburista, riferisce sulla situazione italiana e sulla minaccia del totalitarismo fascista.
Rientrato in Italia, il 30 maggio interviene alla Camera con un discorso che costituisce ancora oggi un inno alla libertà e alla democrazia:
“L’elezione, secondo noi – afferma – è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente dal governo, ripetuta da tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioni non avevano che un valore assai relativo, in quanto che il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso – come ha dichiarato replicatamente – avrebbe mantenuto il potere con la forza. Per vostra stessa conferma dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà… Nessun elettore si è trovato libero di fronte a questo quesito… se cioè egli approvava o non approvava la politica o, per meglio dire, il regime del Governo fascista. Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva a priori che, se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c’era una forza a disposizione del Governo che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso e mantenuto il potere con la forza,”
Molto forte anche il passaggio sulla milizia armata con il compito dichiarato di sostenere con la forza un determinato Capo del Governo bene indicato e nominato nel Capo del fascismo e non, a differenza dell’Esercito, il Capo dello Stato:
“Esiste una milizia armata… la quale ha questo fondamentale e dichiarato scopo: di sostenere un determinato Capo del Governo bene indicato e nominato nel Capo del fascismo e non, a differenza dell’Esercito, il Capo dello Stato….. Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse. In aggiunta e in particolare… mentre per la legge elettorale la milizia avrebbe dovuto astenersi, essendo in funzione o quando era in funzione, e mentre di fatto in tutta l’Italia specialmente rurale abbiamo constatato in quei giorni… Dicevo dunque che, mentre abbiamo visto numerosi di questi militi in ogni città e più ancora nelle campagne, gli elenchi degli obbligati alla astensione, depositati presso i Comuni, erano ridicolmente ridotti a tre o quattro persone per ogni città, per dare l’illusione dell’osservanza di una legge apertamente violata, conforme lo stesso pensiero espresso dal presidente del Consiglio che affidava al militi fascisti la custodia delle cabine. A parte questo argomento del proposito del Governo di reggersi anche con la forza contro il consenso e del fatto di una milizia a disposizione di un partito che impedisce all’inizio e fondamentalmente la libera espressione della sovranità popolare ed elettorale e che invalida in blocco l’ultima elezione in Italia, c’è poi una serie di fatti che successivamente ha viziate e annullate tutte le singole manifestazioni elettorali… La presentazione delle liste – dicevo – deve avvenire in ogni circoscrizione mediante un documento notarile a cui vanno apposte dalle trecento alle cinquecento firme. Ebbene, onorevoli colleghi, in sei circoscrizioni su quindici le operazioni notarili che si compiono privatamente nello studio di un notaio, fuori della vista pubblica e di quelle che voi chiamate “provocazioni”, sono state impedite con la violenza… Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l’oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento”.
All’insegna della richiesta della libertà e del ripristino della legalità è l’ultima parte del discorso di Matteotti tutto incentrato sulla dura condanna della condotta dei suoi avversari politici e sulla considerazione che non vi fosse alcun bisogno di attuare una linea di governo fondata sulla forza dal momento che il popolo italiano sapeva da solo correggersi e rialzarsi:
“Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni… Voi che oggi avete in mano il potere e la forza – dirà – voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di far osservare la legge da parte di tutti inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni”.
Com’è noto, la proposta socialista di rinvio della convalida degli atti alla Giunta delle elezioni, messa ai voti, otterrà 57 sì e 42 astenuti su 384 presenti e votanti.
E Matteotti concluderà il suo discorso dicendo:
“Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me“.
Sarà l’ultimo discorso pubblico di “Tempesta”, come veniva chiamato dai compagni di partito per il carattere battagliero.
In tanti hanno pensato che Matteotti fosse stato ucciso per questo discorso. Lo stesso Matteotti, alla fine della sua denuncia, l’avrebbe involontariamente avvalorato.
Una tesi, quella dell’eliminazione per quel discorso, che dopo i primi tentativi – anche maldestri – di scrollarsi di dosso ogni responsabilità, Mussolini stesso avrebbe accreditato per evitare che lo scandalo lo travolgesse a livello internazionale. Come viene dimostrato, nel libro “Tempesta. Storia di Giacomo Matteotti” di Pino Casamassica, l’on. Matteotti viene ucciso il giorno prima dell’11 giugno, in cui era previsto il suo intervento destinato a smascherare un giro di tangenti petrolifere provenienti dalla compagnia americana Sinclair Oil, che coinvolgevano perfino il duce e lo stesso re, Vittorio Emanuele III. Nel suo discorso Matteotti avrebbe svelato gli atti criminali sotto il profilo finanziario ed economico ed avrebbe compromesso la reputazione del duce proprio quando Mussolini aveva bisogno di prestiti internazionali.