Corpi senza nome
Corpi senza nome galleggiano in mare in balia delle onde, vite spezzate, sogni infranti che gridano tutto il dolore e la sofferenza di esseri umani schiacciati dalla povertà e dalla guerra. Occhi vuoti come l’abisso in cui sono sprofondati e membra martoriate e gonfie da giorni di immersione in acqua fredda.
E noi guardiamo le immagini che ci vengono mostrate sui telegiornali, settimana dopo settimana oramai assuefatti a questo scempio umano, senza renderci conto che siamo tutti complici di questa assurda brutalità.
Come sempre, la sinistra e la destra si azzuffano nel loro consueto gioco del rimbalzo della palla, dimenticando volutamente il loro ruolo di cooperazione e alimentando sterili polemiche di ipotetici ritardi e di mancanze da parte delle istituzioni. Illazioni e accuse non dimostrate ma valide lo stesso per instaurare un clima di tensione e che, se ci si sofferma a riflettere, sembrano essere costruite ad arte da un’opposizione che cerca in ogni modo di mettere in mostra qualità ed efficienza che non ha mai dimostrato durante i suoi 11 anni di governo di fronte a aventi simili.
Perché la tragedia di Cutro non è la prima, ma una delle tante che hanno segnato in modo drammatico questi nostri ultimi anni.
E tutto questo baraccone produce una sola conseguenza, si continua a perdere tempo, perché mentre i nostri eccelsi politici si fronteggiano e si scontrano per abbagliare noi cittadini con capacità che non possiedono, altri esseri umani continuano a morire senza un perché, annegati nel grande mare dell’indifferenza.
Però questo inconcludente scontro politico ci risucchia tutti e si trasforma in un dibattito pubblico in cui tutti noi, infervorati contro gli errori tanto declamati sulle testate giornalistiche e sui social, protestiamo senza uno straccio di prova, organizziamo manifestazioni, eventi per far sentire la nostra voce indignata, ma poi, puntualmente, la nostra indignazione si spegne insieme ai riflettori e ritorniamo a stare comodamente seduti sui nostri morbidi divani dimenticandoci che in tempi non molto lontani, anche noi siamo stati migranti in terra straniera e invece di essere solidali, l’unica soluzione che siamo bravi a proporre è che è meglio che rimangano a casa loro. Perché questa è la soluzione più giusta!
Ma più giusta per chi?
Per loro che continuerebbero a subire umiliazioni e vessazioni nei loro paesi d’origine o per noi che tenendoli lontani dalla nostra terra, continuiamo con le nostre vite come se la loro sofferenza, fosse magicamente sparita e non fosse più un nostro problema?
Essi, però, non sono volti anonimi ma esseri umani nelle mani di trafficanti senza scrupoli che lucrano sulle loro vite. Uomini, donne e, purtroppo, bambini che, ammassati gli uni sugli altri in scafi angusti e precari, immaginano un’esistenza migliore, che sperano di essere accolti in una società che restituisca loro la dignità perduta.
E noi siciliani, emigranti nel mondo, così tanto fieri della nostra sicilianità, non ricordiamo che anche la nostra storia come popolo trae la sua origine da preistorici spostamenti migratori testimoniati dai numerosi ritrovamenti archeologici.
I nostri antichi progenitori, i Sicani e i Siculi, erano popolazioni indoeuropee di origine italica e gli Elimi, secondo molti studiosi, di origine ligure invece per lo storico Tucidite, erano un gruppo fuggito da Troia dopo la sua distruzione e che, per non essere catturato dagli Achei, dopo un lungo viaggio nel Mediterraneo era approdato in Sicilia nei pressi di Trapani.
Un viaggio lungo e pericoloso che, come un antico presagio, sembra rievocare i disperati viaggi di questi anni, su barconi arrugginiti e poco affidabili, che trasportano oggi come allora esseri umani alla ricerca di una rivalsa di vita.
Un viaggio che oggi come quel tempo lontano, porta sulle nostre coste uomini, donne e bambini da inserire nella nostra comunità in quanto non sono i diversi, gli emarginati ma fanno parte della consorteria umana tanto quanto noi siciliani, italiani e soprattutto cittadini europei.
Tutti insieme dobbiamo affrontare la situazione che stiamo vivendo, mettendo in campo le risorse di tutti i paesi dell’Unione Europea così come ha sostenuto la ministra svedese Maria Malmer Stenergard al termine della conferenza stampa del Consiglio Affari Interni dell’Ue.
“Il naufragio di Cutro ci ricorda che dobbiamo fare di più per combattere il traffico di migranti e i gruppi di criminali e che la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea”.
Però adesso servono, con immediata urgenza, non parole, ma atti concreti per non vedere più corpi senza nome che giacciono esanimi sulla sabbia, corpi distesi sotto teli scuri che, con la loro feroce immobilità, ci rinfacciano la nostra fredda e insensibile colpevolezza. Di tutti, cittadini e istituzioni.