Commozione per il profetico “Vangelo secondo Giuda” di Giuseppe Fava, messo in scena dal figlio Claudio
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Nel nostro presente di mancate buone novelle, “signori dietro la luce rossa” e “cose sporchissime”, la chiave del paradosso per leggere questa storia umanissima e quanto mai attuale, nonostante sia stata scritta nel 1981 e mai rappresentata prima. Nella Sala Futura dello Stabile, una perfetta macchina per far pensare, concepita dal regista e realizzata grazie a un cast d’eccezione, tra “apostoli improbabili, maestri supponenti, tentatori e tentati dalla vita”. Le scene, le musiche e la drammaturgia parallela del light design
Eccolo, il Maestro.
Che sia una divinità lo indica la maglia che indossa, dell’Argentina, con sulle spalle il numero dieci e un nome: Maradona.
Si presentano sulla scena anche gli apostoli: il gobbo Tommaso con gli occhialetti, probabilmente un accademico, Matteo, giornalista british style con tanto di bombetta, Giovanni, dal lungo sigaro e una curiosa somiglianza con Freddie Mercury, e il più banale di tutti, Pietro, pescatore e traditore: un politico, indubitabilmente.
Ecco lì la Donna: moglie e puttana.
E infine c’è lui, Giuda Iscariota fu Lucifero, poeta considerato pazzo, venuto nella Milano del Sud per narrare alla gente storie antiche. Ma quando persino i bambini non credono più a certe favole…
Porco Giuda!
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Paradossale, direte. Ma è proprio questa la chiave per leggere “Il Vangelo secondo Giuda”, commovente e profetico testo scritto da Giuseppe Fava nel 1981 e che, mai rappresentato prima, ha debuttato nella Sala Futura dello Stabile di Catania per la regia di Claudio Fava.
Vangelo, discende dal greco εὐαγγέλιον, annunzio del bene, buona novella.
DEVE essere buona, la novella. Ma è proprio questo il problema.
Cosa occorre fare quando quel che dovremmo raccontare, raccontarci, non è bello per nulla?
Porco Giuda!
Oggi, esplicitamente, qualcuno dice a noi “signori dietro la luce rossa” che è meglio voltarci dall’altra parte davanti a certe “cose sporchissime”, perché tanto… Che colossale differenza con quel che avvenne, sempre in tv, quarantadue anni fa.
Era la fine del dicembre del 1983, e, durante la trasmissione di Enzo Biagi Film Story – Mafia e Camorra, dov’era ospite con Nando Dalla Chiesa, Giuseppe Fava dichiarò: “Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che ti impone la taglia sulla tua attività commerciale… I mafiosi stanno in Parlamento, a volte sono ministri. I mafiosi sono banchieri. I mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della Nazione”.
Venne ucciso qualche giorno dopo, il 5 gennaio del 1984, vicino a quel Teatro Stabile di Catania in cui, l’anno prima, era stata rappresentata la sua “Ultima violenza”. Egli stesso aveva definito quello spettacolo come la descrizione del “disperato tentativo di una nazione di scampare al trionfante furore degli assassini, mafia, camorra, terrorismo, l’uno all’altro legato da una sorta di infame disegno criminale, dietro il quale stanno le ombre dei grandi padrini”.
Porco Giuda!
Ne “Il Vangelo secondo Giuda”, gli apostoli si raccontano sulla scena – di Riccardo Cappello, che firma anche i costumi – tra le infinite scale e saliscendi della vita, carrettini e tavolacci da bettola da mutare in catafalchi.
Giovanni si vanta di aver costruito il Ponte sullo Stretto, poi crollato, Matteo di aver stampato soldi falsi (“Ma solo per far l’elemosina”) e Tommaso mostra a tutti le proprie armi – pistole, mitra, veleni – che Pietro vorrebbe “fuori dal tempio” fin quando non gli viene ricordato che, quella, è una bettola.
È proprio Giuda l’unico che sembra credere nel Figlio dell’Uomo, fino al punto da offrirgli Maddalena, di cui è innamorato. Il desiderio sessuale è infatti quel tributo d’umanità che il Maestro deve pagare alla sua parte non divina.
È felice, però, Giuda, d’aver trovato uno scopo nella vita: “Cambiare il mondo”. Anche se Tommaso lo mette in guardia dal “popolo cornuto” che “batte le mani e poi se ne fotte!”. Proprio Tommaso intravede in Giuda un potenziale simbolo per far emozionare quel popolo ed esortarlo a combattere. Ipotizza “Una strage per commuoverlo. Anzi, meglio, un martire!”.
Tragicamente profetico.
Porco Giuda!
È in quel momento, davanti a quell’intuizione miracolosa e terribile di 44 anni addietro, che scatta tra gli spettatori l’irrefrenabile voglia di indagare, sapere. E dunque di capire. Quella stessa che pervade Giuda.
Comprendere tutto. Sì, anche i miracoli. E magari spiegarli agli altri.
In questo lavoro teatrale il pubblico, in sala, viene spesso guardato negli occhi dagli attori: il regista dà atto della presenza degli spettatori a essi stessi. E pretende risposta anche a una domanda mai pronunciata: “A che serve essere vivi, se non si ha il coraggio di lottare?”.
Porco Giuda!
Ha colto nel segno, Claudio Fava, quando ha deciso di “restituire al testo la freschezza di un’intuizione: immaginarci noi, su questo palcoscenico, noi apostoli improbabili, noi maestri supponenti, tutti tentatori e tentati dalla vita terrena, quella cioè che si attraversa e si consuma qui e ora”.
Ha colto nel segno affidandosi ai meravigliosi attori che danno vita alla rappresentazione, a cominciare da David Coco, irresistibile nei panni di Giuda, così come Maurizio Marchetti in quelli del Maestro. E poi alla straordinaria Manuela Ventura (Maddalena), e ad Antonio Alveario (Pietro), Liborio Natali (Tommaso), Alessandro Romano (Matteo) e Matteo Ciccioli (Giovanni).
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E ha colto nel segno, Claudio Fava, riuscendo a costruire – grazie a due doti tipiche della maturità, pazienza e ironia -, una perfetta macchina teatrale capace di compiere la più rivoluzionaria delle missioni: far pensare.
A cominciare dalla riflessione sulla battuta che Giuseppe Fava fa pronunciare al Maestro: “L’amore è solo un sogno. Ma i sogni devono essere brevi, lampi di felicità, pensieri”.
Il regista costringe gli spettatori a mettersi nei panni di Giuda, uomo libero e dunque peccatore: “Volete insegnarmi a vivere come se fossi un pupazzo: questo si fa, questo non lo devi fare”. Fino a giungere – con il protagonista -, alla consapevolezza che tutti cercano soltanto “Un nome da odiare per le promesse che non verranno mantenute. Per le rivoluzioni che falliranno”.
Una croce pesantissima.
Porco Giuda!
Uno spettacolo da vedere e rivedere, insomma, perché il non detto è ancor più importante del detto, quando ci si vuole avvicinare alla verità.
“In verità, in verità vi dico”.
Il problema è come riconoscerla, questa verità, tra il silenzioso ma insostenibile brusio di voci mormoranti in quell’enorme condominio proiettato sul velario protagonista della scena de “Il Vangelo secondo Giuda”.
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Un velario-televisione, o comunque schermo da pc o telefonino, finestra su un mondo sempre più difficile da interpretare, in cui l’unica soluzione appare lo scontro. Totale, assoluto. Guerre da combattere, anche se soltanto sui Social.
È quel velario a sorprenderci, materializzando un’anima pronta a manifestarsi come luce – un’emozionante drammaturgia parallela si coglie in tutto il lavoro di light design di Gaetano La Mela -, e cieli stellati e luci da bettola, temporali e lune alla Méliès, per non parlare dell’Ultima cena di Leonardo.
Anche sul fronte sonoro lo spettacolo è tutta una sorpresa: pernacchie, I feel love di Donna Summer per Maddalena (il testo, tradotto in italiano, suonerebbe “È così buono… Il Cielo lo sa… Io sento amore”), la celebrazione al ritmo di Disco Inferno dei The Trammps nientemeno che del mistero della rivoluzione, Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano, con un testo incomprensibile ma ricco di rassicuranti ol rait, e l’immancabile Dies irae dal requiem di Giuseppe Verdi.
Porco Giuda!
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Muove i sentimenti il finale caravaggesco, con il protagonista seminudo e illuminato… dall’Alto.
Per l’ultima volta ha colto nel segno, il regista.
Ci ha fatto ancora riflettere.
E quando il pensiero parte è difficile fermarlo.
Smettere di porsi domande.
Così mi chiedo quanto sia costato a Claudio Fava, dal punto di vista emotivo, immergersi, nuotare tra le parole scritte da quel padre tanto amato, tra i turbamenti di un testo così carico di umanità da risultare commovente.
E la mia stima per lui cresce.