Cavalleria Rusticana palcoscenico di vita
Musica e letteratura, da sempre un binomio attraente. E alla base del nostro melodramma, una creazione tutta italiana, poi diffusasi nel mondo ad ampio raggio, dove il testo di un’opera può rifulgere attraverso il canto e la musica, nei cromatismi dell’amore in chiave romantica o nei bagliori delle passioni che talora avvinghiano e travolgono l’essere umano, accendendo riflettori su dilemmi e problematiche odierne. Ce lo insegnano i grandi operisti dell’Ottocento, quali Giuseppe Verdi e Vincenzo Bellini, e Gaetano Donizetti, accanto a Gioachino Rossini. La storia della musica è costellata da memorabili personaggi che attingono a fonti letterarie, a partire dalla Norma di Bellini, ispirata, nel libretto di Felice Romani, all’omonima figura di Alexandre Soumet, dalla cui ferocia della protagonista la figura belliniana si depura assurgendo a livelli magnanimi. Quest’ultima a sua volta si richiama alla Medea di Euripide, divenuta la base per la Medea di Corinto di Giovanni Pacini; percorrendo l’asse compositivo, l’Otello e il Falstaff, invece, partiture del musicista di Busseto, derivano entrambe dal teatro di Shakespeare, la seconda in particolare da Le allegre comari di Windsor; e così via per numerose altre opere, come Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, che nel libretto di Cesare Sterbini scaturisce dalla omonima commedia francese di Pierre Beaumarchais.
L’ampia rassegna portata avanti dalla quarta edizione del Festival lirico dei Teatri di Pietra promosso dal Coro Lirico Siciliano (diretto da Francesco Costa e presieduto da Alberto Munafò) in collaborazione con l’Orchestra Filarmonica della Calabria e l’Alto Patrocinio del Parlamento Europeo, del Ministero e dell’Assessorato Regionale alla Cultura, ha ben accolto, nella storica cornice del Castello Ursino di Catania, l’opera “Cavalleria Rusticana” del musicista livornese Pietro Mascagni, dall’omonima novella di Giovanni Verga, di cui si celebra quest’anno il centenario della morte.
Quando l’editore Sonzogno bandì nel lontano 1888 un concorso per giovani compositori italiani, Mascagni apprese la notizia solo due mesi prima che si chiudessero le iscrizioni, quindi contattò l’amico Giovanni Targioni-Tozzetti affinché scrivesse un libretto base per l’opera: la scelta si orientò sulla novella “Cavalleria Rusticana” dello scrittore catanese, sulla quale il poeta dell’accademia navale livornese lavorò insieme al collega Menasci ed entrambi si rapportarono con Mascagni per corrispondenza. L’opera, selezionata (insieme ad altre due) fra 73 produzioni, venne rappresentata con successo al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio del 1890 e di lì a poco si diffuse largamente con esiti strepitosi.
La versione in forma di concerto realizzata tra le mura del maniero, ha posto in rilievo i caratteri del melodramma verista grazie alla maestrìa dei suoi interpreti: il soprano Marianna Cappellani, nelle vesti di Santuzza, ne coglieva le screziature di rabbia e dolore scandite da una raffinata emissione vocale, con accenti risoluti contro un Turiddu traditore, più che mai sanguigno nella corposità tenorile di Antonino Intelisano (Duetto Tu qui, Santuzza e siciliana O Lola, ch’ai di latti la cammisa), che non ha lesinato momenti toccanti nel brano di addio alla madre Lucia, interpretata da Antonella Arena . Di contro i vezzi di una Lola ammiccante, come in Fior di giaggiolo, cantato dal soprano Susanna La Fiura, sposa fedifraga nei confronti del carrettiere Alfio. Figura quest’ultima altrettanto incisiva nella vocalità imperiosa del basso Alberto Munafò, distintosi nell’aria Il cavallo scalpita. A supportare i bravi interpreti, l’oculato accompagnamento pianistico di Francesco Allegra, che ha calibrato le dinamiche sonore (non certo favorite dall’ambiente) eseguendo con toni avvolgenti due rinomati brani dell’opera, ovvero il Preludio e l’Intermezzo, nelle relative trascrizioni pianistiche. A completare l’efficacia scenica dei cantanti, gli interventi narrati dell’attore Bruno Torrisi, che estrapolava brani dalla novella di Verga inframezzandoli al canto lirico con dizione precisa e competenza gestuale che accrescevano l’attesa degli eventi.
Un palcoscenico di vita, dunque, col duello finale tra Alfio e Turiddu (come nel testo originario, visibile sulla scena) che invece non compare nell’opera lirica, cui segue l’eclatante grido “Hanno ammazzato cumpare Turiddu”. Encomiabile la partitura di Pietro Mascagni, che ha saputo esprimere l’irruenza delle passioni col variare dell’agogica strumentale nell’immediatezza dell’atto unico, per la messa in scena della vicenda, tutta siciliana. Ben venga, dunque, la letteratura che sale sul palco per dare cornice alla musica, nell’opera in veste di concerto: una soluzione che può affiancarsi a quella tradizionale (con scenari, orchestra e cori) senza defraudarla. Il pubblico ha espresso un ampio consenso al validissimo cast, prodigandosi in calorosi applausi.
Fotografia di Donatella Turillo