Brazil: una tragedia grottesca in un mondo autoritario
«La verità vi rende liberi».
Sebbene siamo lontani, temporalmente e spazialmente, dagli stati autoritari del nostro passato e presente, ciò non significa che dobbiamo ignorarli. Questo perché alcuni dei “problemi interni” dei totalitarismi non sono specifici, anzi, spesso e volentieri varcano il confine e li ritroviamo tranquillamente nella nostra quotidianità.
È proprio per questo che Brazil di Terry Gilliam è considerato uno dei migliori film di fantascienza (secondo Empire, l’83esimo migliore di tutti i tempi) e seppur “vecchio” di quarant’anni e ambientato in un mondo che non ci appartiene, riesce ancora oggi a raccontare perfettamente le storture del nostro presente.
In una delle prime scene del film, una mosca invadente viene schiacciata dalla rivista di un tecnico. Dal soffitto, il corpo esanime dell’insetto si stacca e cade giù, finendo su di un macchinario che stava compilando un mandato d’arresto, cambiandone per errore una lettera; quella che doveva essere l’incarcerazione di Archibald Tuttle, diventa l’arresto di un innocente padre di famiglia: Archibald Buttle.
A risolvere il disastro che ne nasce dopo è un burocrate che lavora per il Ministero dell’informazione: Sam Lowry. Vive in un appartamento domotico (che gli prepara la doccia e la colazione, ma ha dei problemi con la sveglia e il riscaldamento) ed è ossessionato da ricorrenti sogni in cui si immagina di essere un guerriero alato in mezzo alle nuvole mentre una bionda donna dai lunghi capelli urla il suo nome.
Se pensate che le cose siano già strane così, preparatevi al peggio.
Brazil è infatti una satira distopica che si ispira a 1984 di George Orwell e lo innesta con il retrofuturismo. Troviamo infatti case piene di cavi, manopole e tubi delle condutture; titanici palazzi e statue che riprendono la Metropolis di Fritz Lang; posti di lavoro plumbei e pieni di carta, che Franz Kafka avrebbe odiato (o amato?); atmosfere noir in cui il protagonista indaga per la città con il tipico cappotto e cappello dei detective, in compagnia della sua ombra ansiosa di spandersi su ogni superficie. E come se non bastasse, c’è pure una citazione alla famosa scena della carrozzina della Corazzata Potëmkin… Con un aspirapolvere!
Perché nonostante il mondo autoritario rappresentato sia inquietante, Gilliam non manca di rendercelo divertente (del resto proviene dai Monty Python, non dimentichiamocelo).
Quando Sam Lowry viene promosso, passa da un posto di lavoro caotico nel quale una massa di dipendenti, a insaputa del capo, si trova a vedere vecchi film, a una nuova divisione dove lunghi, vuoti e infiniti corridoi grigi ospitano porte grigie e minuscoli uffici, in un claustrofobico labirinto che non ha confini. Il contrasto comico arriva con un trenino umano in costante movimento con a capo il dirigente del reparto e a ruota, dietro di lui, i dipendenti con le scartoffie in mano. Dalla risposta sempre pronta, il dirigente liquida i dipendenti che non finiscono mai, mentre dà il benvenuto a Sam (l’efficienza del multitasking!). La monotonia opprimente dell’ambiente lavorativo alimenta, da un lato, la distrazione collettiva e, dall’altro, un’isterica ossessione per il lavoro.
Ed è vista con altrettanta tragica ironia la condizione di Sam Lowry: un alienato uomo medio, consapevole di avere un capo incompetente a cui risolve ogni problema (prendendosi sempre la responsabilità al posto suo), ma che sogna di essere forte, potente e libero per fuggire dalla mediocrità della sua vita. La scintilla del cambiamento arriva quando la donna dei suoi sogni gli appare improvvisamente nel mondo reale e cerca a tutti i costi di rintracciarla, lui che, d’altronde, lavora al Ministero dell’informazione.
«L’informazione è la chiave per la prosperità» è lo slogan che svetta nella hall principale. Il controllo arriva a livelli così capillari che basta non avere con sé la carta d’identità per essere perseguiti dalle forze dell’ordine disposte a far fuoco pur di fermare il sospettato. Non della stessa opinione lo sono però i ribelli, che attraverso piccoli attacchi terroristici cercano di ribaltare l’ordine costituito. E mentre la rivoluzione non si può fermare, l’interesse delle persone può essere controllato.
A cena in un ristorante dalle pietanze uguali ma dal sapore diverso, in cui le donne prima di entrare devono far passare le borse in un metal detector, Sam è a tavola con la madre, una sua amica e la figlia. Mentre mangiano, una bomba esplode. Una parte del ristorante prende a fuoco, alcuni civili feriti si alzano, altri sono morti, ma per i quattro seduti al tavolo la situazione è poco più che una seccatura. «Vergogna!», urla la madre di Sam, per poi riprendere a parlare delle meraviglie della chirurgia estetica. Il vuoto cosmico delle loro vite mediocri assurge a paradigma di cui pascersi e ingrassarsi, a discapito dell’urgente realtà che si preferisce ignorare, diventandone insensibili.
Ma sono ribelli anche i cosiddetti: “liberi professionisti sovversivi”, come il tecnico che arriva a casa di Sam dopo che l’assistenza non gli ha fornito nessuno. Insofferente alla burocrazia ma appassionato del suo lavoro, il tecnico rivela malinconicamente che dovrà presto ritirarsi, perché: «Non ci si potrà più muovere senza un modulo». E proprio quando non ne ha più bisogno, due tecnici insistenti gli si presentano alla porta e vogliono entrare in casa, così Sam li terrorizza chiedendo loro “il modulo 27B barra 6”.
Elemento simbolico del film è poi la carta, che assume un duplice significato. Stressato dall’incessante flusso in arrivo di documenti, Sam immette il tubo dal quale fuoriescono i fogli nel tubo dal quale rientrano, causando un blocco che fa esplodere parte dell’impianto e crea uno stupefacente spettacolo di fuochi d’artificio cartacei. La carta svolazzante diventa una libertà acquisita.
Più in là nel film, però, capita che un uomo venga lentamente avvolto e ricoperto da fogli di carta, e mentre si dimena e si contorce, nell’inutile tentativo di districarsi da quella gabbia di fogli che lo sta mummificando, scompare nel nulla. La carta svolazzante diventa una prigione dal quale non si esce vivi.
Ma a salvare dall’incubo esterno, basta una canzone: Aquarela do Brasil, con la sua esoticità atipica apre le porte a un mondo diverso, al di fuori della conformità autoritaria (illusoria rappresentazione della libertà individuale) e che racchiude il profondo desiderio di Sam: una nuova vita con la donna dei suoi sogni, che non vede l’ora di portare con sé. A questo punto, resta solo da chiedersi: una realtà promettente o un’illusione utopica?