Spettacoli

Anton Čechov con la regia di Peter Stein al Teatro Stabile di Catania

In scena alla Sala Verga del Teatro Stabile di Catania “Crisi di nervi”, tre atti unici di Anton Čechov. Regia Peter Stein, costumi Anna Maria Heinreich, luci di Andrea Violato, assistente alla regia Carlo Bellamio, scene Ferdinand Woegerbauer. “L’orso” con Maddalena Crippa, Sergio Basile, Alessandro Sampaoli; “I danni del tabacco” con Gianluigi Fogacci; “La domanda di matrimonio” con Alessandro Averone, Sergio Basile, Emilia Scatigno. Produzione Tieffe Teatro Milano e Teatro Quirino Vittorio Gassman.

Peter Stein (classe 1937), regista di fama internazionale (Premio Le Maschere 2024 per la “Migliore Regia”), seguace delle teorie brechtiane, dà come sempre, il meglio di sé anche in questo lavoro. Il noto regista è stato insignito, nel 2011 del ‘Premio Europa’ a S. Pietroburgo con la seguente motivazione: “Il XIV Premio Europa per il Teatro assegnato a Peter Stein celebra la carriera di uno dei più importanti artefici del teatro tedesco ed europeo della seconda metà del Novecento. Dalla fine degli anni ’60, Peter Stein, guida e ‘demiurgo’ di uno straordinario collettivo, riesce a rinnovare il teatro tedesco e di area germanica restituendogli un ruolo nel quale la ricerca, il lavoro sull’attore e sullo spazio scenico, sui testi e sul tempo della messa in scena, diventano – nel solco di una tradizione tedesca e centroeuropea – provocazione, politica, filologia, espressione artistica condivisa, disvelamento della storia e riconsiderazione della funzione critica e sociale del teatro nel presente.”

Stein, in quest’occasione, ha scelto dalla produzione di Anton Cechov, suo prediletto autore di riferimento, tre atti unici, interpretati da Maddalena Crippa (moglie di Stein), Alessandro Averone, Gianluigi Fogacci, Alessandro Sampaoli, Emilia Scatigno.
Raccoglie, sotto il titolo significativo di Crisi di nervi, L’orso, I danni del tabacco e La domanda di matrimonio, gustosi “scherzi scenici” scritti tra il 1884 e il 1891, ispirati alla commedia francese e al vaudeville, avvalendosi di Ferdinand Woegerbauer per le scene, Anna Maria Heinreich per i costumi e Andrea Violato per le luci.
Sarebbero seguiti i grandi capolavori dell’autore russo le cui tematiche principali (ironia, amara nostalgia, dinamiche umane, critica sociale) sono ampiamente trattate e minutamente analizzate nei suoi circa 650 racconti, nell’intera sua opera, e nelle pièce in scena allo Stabile.
«Dopo l’insuccesso delle sue prime due opere – spiega il regista – il giovane Cechov giurò di non scrivere mai più per il teatro drammatico e decise di dedicarsi esclusivamente al vaudeville. Questa circostanza ci ha regalato una serie di atti unici, pieni di sarcasmo, di comicità paradossale, di stravagante assurdità e folle crudeltà, e che a loro volta sono diventati il terreno fertile per l’esperienza e la preparazione delle grandi opere della maturità dell’autore». Malattie, attacchi isterici e litigi, portati fino all’esasperazione, anche fisica, caratterizzano l’eccellente recitazione di un cast di alto livello.
Lo spettacolo esplora, con una comicità grottesca il sarcasmo e la follia dei personaggi di Čechov, che si trovano a fronteggiare crisi di nervi, isteria e conflitti esistenziali in un vortice di emozioni e risate, mettendo in risalto in modo satirico la fragilità umana, toccando le corde più profonde dell’animo umano al di sopra di ogni pregiudizio e convenzione sino al paradosso e alla follia e rappresentando, al contempo, la società russa di fine Ottocento.
L’orso è una breve pièce, scritta nel 1888, in cui Ivanovna Popova è una vedova inconsolabile che ha giurato, dopo la morte del marito, di non uscire più di casa: “… da quando è morto Nikolaj Michajloviè, la vita ha perso per me ogni valore. A te sembra che io sia viva… Ho giurato di portare questo lutto fino alla tomba e di non vedere più la luce del sole… Che la sua ombra veda quanto lo amo… Sì, so … che lui fosse spesso ingiusto con me, crudele… e addirittura infedele, ma io sarò fedele fino alla tomba”
La situazione si sconvolge quando un ex ufficiale di artiglieria Smirnov vuole riscuotere delle cambiali: “Signora, ho l’onore di presentarmi: tenente d’artiglieria in congedo, proprietario terriero Grigorij Stepanoviè Smirnov! Costretto a disturbarvi per una faccenda di grande importanza…”
Il rifiuto di lei a pagare e la volontà di lui ad esigere quanto dovuto si trasformano in una lite (“Ho detto che siete un orso, un mostro!”) che degenera in un duello (“ è ora di finirla, una buona volta, con il pregiudizio che soltanto gli uomini debbano pagare le offese! La parità, parità deve essere, che diavolo! Vi sfido a duello!… Il duello, questa si è emancipazione, parità di diritti! Qui i due sessi sono alla pari!”) ma finisce in passione: “Sono impazzito, mi sono innamorato come un ragazzino, come un imbecille. Vi amo! Amo come non ho amato mai!”
Lo scontro tra i sessi finisce con il diventare addirittura patetico nel lungo monologo di Njuchin ne “Il danno del tabacco” (I danni del tabacco,1886, poi Il tabacco fa male, 1902): “Gentili signore e signori. È stato proposto a mia moglie che io tenessi qui una conferenza popolare a scopo benefico. Che fare? Una conferenza, e conferenza sia…lei, a quanto pare, non è ancora arrivata, non è qui, e si può dire qualunque cosa si voglia… Io sono terrorizzato… terrorizzato quando lei mi guarda. Correre indietro… dove? Non importa dove… purché si corra via da questa vita schifosa, volgare e meschina, che mi trasforma in un vecchio, penoso stupidone; correre via da questa sciocca, misera, cattiva, cattiva, cattiva spilorcia, da mia moglie, che per trentatré anni mi ha tormentato… Ecco dietro le quinte c’è mia moglie… È arrivata e mi aspetta là… Se domanderà loro qualcosa, io prego di dirle che la conferenza ha avuto luogo… che lo spaventapasseri, cioè io, si è comportato dignitosamente… Ho finito. Dixi et animam levavi!”.
Questo scontro/lotta tra i sessi (‘Se temete la solitudine non sposatevi!) giunge al paradosso ne ‘La domanda di matrimonio’ dove l’ipocondriaco Ivan Vasilevic Lomov si presenta in casa del possidente Stepan Stepanovic Cubukov per chiedere in moglie la figlia Natalia (“Ho freddo. Tremo tutto come prima di un esame. L’importante è decidersi. Se si riflette troppo, se si esita, se ne parla troppo, se si sta ad aspettare l’ideale od il vero amore non ci si sposa più! … Natalia Stiepanovna è un’ottima massaia, non brutta ed istruita… Che cosa dovrei cercare di meglio?…) ma sfocia in una infinita e inarrestabile lite (“… come sapete, le mie terre confinano proprio con le vostre. Se vi ricordate il mio Praticello dei Bovi confina con il vostro bosco di betulle. Scusate se vi interrompo. Voi dite: «Il mio Praticello dei Bovi»… Ma è forse vostro? Mio, sì. To’, questa è nuova! Il Praticello dei Bovi è nostro, non vostro!… Oggi, Ivan, avete in corpo non so quale spirito di contraddizione. Ora, inventate che il Praticello dei Bovi è vostro, ora, che Pigliatutto val più del Veloce… Non mi piacciono le persone che dicono il contrario di quello che pensano. Non starò zitta finché non vorrete ammettere che Veloce è cento volte migliore di Pigliatutto. E’ cento volte peggiore! Che possa crepare, il vostro Veloce!”), finché il buonsenso del padre ha la meglio: “Sposatevi al più presto e… andate al diavolo. Lei acconsente Vi benedico, eccetera, ma lasciatemi in pace! …Dunque baciatevi ed andate al Diavolo!”
L’intento principale di questi brevi testi teatrali è chiaramente quello di muovere un’aspra critica nei confronti della piccola borghesia russa, una borghesia ottusa, attraversata dallo scontro tra i sessi e dall’utopia della “felicità familiare”, concentrata sul denaro e i possedimenti, gretta e meschina, attaccate alla proprietà e incapace di avere comportamenti civili.
Sono tempi difficili e di inevitabili trasformazioni sociali, di abolizione della servitù della gleba, autocrazia zarista e premesse rivoluzionarie, quelli che coincidono con la breve vita di Anton Čechov, che, minato dalla tubercolosi morirà a 44 anni nel 1904.
Ma il nostro autore, anche se con prudenza e riservato equilibrismo politico (non si unì mai ai circoli rivoluzionari studenteschi, o ai populisti anarchici) seppe ben rappresentare questa fase di ristagno ‘dinamico’.
“Crisi di nervi”, morbosamente attento al dettaglio fisico e psicologico e alle problematiche sottese, anticipa i motivi fondamentali della drammaturgia moderna continuando a divertire e a far riflettere ancora il pubblico di oggi che ha manifestato il proprio consenso con lunghi, calorosi e ripetuti applausi.

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