L'Opinione

Altro che parlamentari: qui si comprano i partiti

La notte in cui la nostra cosiddetta “Camera Alta” si è trasformata in piccolo mercato di provincia e, nel finale, persino in evento calcistico con la introduzione della moviola per verificare se fosse o meno da attribuire il goal alla squadra del governo, non è stato questo lo scandalo maggiore. Perché è emersa una realtà ancora più sconvolgente: ormai il mercato non riguarda soltanto i singoli parlamentari. Qui si comprano le sigle, cioè i partiti. Ed ancora più meraviglia che di questa realtà nessuno parli. Tale è lo stato di degrado del sistema, che essa è stata assimilata. E appare normale. E’ normale che si possa costituire un gruppo parlamentare inglobando una sigla già presente alle elezioni, venendo dispensati dal raggiungere il numero minimo. Ecco perchè la caccia a chi al detentore in maniera molto più pressante rispetto al parlamentare semplice: come se, possedere una sigla fosse (in effetti può esserlo) possedere una rendita. Politica ovviamente.
Attenzione, però: mica siamo arrivati all’improvviso a questo punto. Ci siamo arrivati con un cammino iniziatosi almeno quaranta anni fa. Con una serie di norme che di per se erano giustificate: il finanziamento pubblico, l’eliminazione dell’obbligo, per i partiti strutturati e presenti in Parlamento di raccogliere firme per presentare le loro liste, etc. Forse non avrebbero portato a conseguenze aberranti se assieme fossero state varate norme per facilitare la democrazia interna ai partiti. Magari condizionando i benefici a questo requisito di democrazia. Perchè è sotto gli occhi di tutti che senza democrazia interna i partiti non sono più contendibili. E, ciò che è peggio, si sono arrogati il diritto di scegliere addirittura i componenti delle assemblee elettive, grazie a leggi elettorali fatte proprio con questo obbiettivo, magari abolendo le preferenze.
Chi non vedesse il rapporto di causa-effetto tra la degenerazione dei partiti e la degenerazione dell’intero sistema, dimostrerebbe di essere cieco. La mancanza di ricambio, le forzature costituzionali, il malfunzionamento del sistema dei controlli e dei contrappesi dipendono in gran parte anche dai partiti, asfittici, che non forniscono più una classe politica adeguata. Ecco perché una riforma dei partiti è ineludibile: fermo restando il loro status di associazioni private, dunque libere e insindacabili, non può essere dimenticato il loro fondamentale ruolo di carattere pubblico. E ciò può avvenire garantendone democrazia interna e trasparenza. Per non dimenticare mai che i partiti devono essere al servizio della Stato e non viceversa. Un sogno? Può darsi, ma è un sogno che altrove si chiama realtà.

Dal quotidiano online Pensa Libero (www.pensalibero.it) per gentile concessione

Articoli correlati

Back to top button