Alla Sala Verga un grande Vincenzo Pirrotta dirige e interpreta “Terra matta”

In scena al Teatro Stabile “Terra matta” dall’omonima autobiografia di Vincenzo Rabito (Einaudi editore). Adattamento teatrale e regia Vincenzo Pirrotta, scene e costumi Vincenzo Pirrotta, musiche Luca Mauceri, foto Rosellina Garbo. Con: Vincenzo Pirrotta, Lucia Portale, Alessandro Romano, Marcello Montalto e con Luca Mauceri (percussioni, elettronica, chitarra classica), Mario Spolidoro (organetto, chalumeau, chitarra), Salvatore Lupo (violino, violoncello). Produzione Teatro Biondo Palermo / Teatro Stabile di Catania
Quando due persone eccezionali si incontrano sul piano emozionale e letterario, ecco che può scattare la magia. È il caso di Vincenzo Pirotta -drammaturgo, attore, regista di fama internazionale, fondatore di “Esperidio”, la compagnia teatrale di cui è direttore artistico, innamorato delle tradizioni popolari che rimaneggia in sperimentazioni teatrali innovative, ospite dei maggiori teatri e festival europei (Francia, Belgio, Spagna, Grecia, Germania, Portogallo, Malta, Inghilterra, Montenegro)- e di Salvatore Rabito, contadino semi-analfabeta siciliano (ottenne la licenza elementare a 35 anni), autore, quasi inconsapevole, dell’autobiografia ‘Terra matta’ che, per vicende estranee alla sua volontà, sarebbe diventata un successo letterario.
Scritta dalla fine degli anni Sessanta fino alla sua morte nel 1981 e riscoperta oltre vent’anni dopo, la sua redazione, depositata presso l’Archivio Diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano e pubblicata nel 2007 da Einaudi a cura di Luca Ricci e Evelina Santangelo, ricevette il ‘Premio letterario Racalmare Leonardo Sciascia’ nello stesso anno. Il progetto ‘Terra matta’ (il titolo originale del dattiloscritto è ‘Fontanazza’) ha poi dato lo spunto per la costituzione dell’Archivio degli Iblei.
Il fascino di quest’opera oltre alla lingua ibrida e agrammaticale -parole inesistenti, neologismi, emozioni e sentimenti di una “molto desprezzata e maletrattata vita” – che ingenuamente la caratterizza sta anche nel tono di meravigliosa scoperta e di filosofico senso della vita e nelle avventure di questo ‘ragazzo del ’99’ che attraversano tutto il Novecento: “Se all’uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare”.
Coinvolto, appena sedicenne, nella Grande Guerra, immediatamente dopo, subendo il fascino del Regime e del colonialismo imperialista, pensò di “antare affare solde all’Africa”.
Nuovamente soldato nella II guerra mondiale, e sempre affamato, accetta il consiglio dell’amatissima madre di sposarsi (il matrimonio è combinato e la suocera è una strega) e farsi una famiglia, trascorrendo “la bella ebica”, gli anni ’60 del boom economico, con un certo benessere e il sognato ‘posto fisso’.
Ad un certo punto subentra Vincenzo Pirrotta che, quasi incredulo circa l’autenticità dell’opera, acconsente alla richiesta di Evelina Santangelo di presentare ‘Terra Matta’ al Circolo dei lettori di Torino’, ma poi si innamora di quella lingua, del potere narrativo di quelle pagine e del riscontro positivo del pubblico.
Dal ‘rabitese’ considerato lingua di teatro all’idea della messinscena per dare vita a questa “epopea dei diseredati” il passo è breve.
“Il lavoro più difficile – spiega Vincenzo Pirrotta – è stato quello dell’adattamento per la scena: bisognava dire tutto, ma il teatro non può avere gli stessi ‘tempi’ di un romanzo e, perciò, ho provato a raccontare inventandomi delle scene che mi consentissero di condensare la storia e di sviluppare i passaggi delle varie epoche, si troveranno dunque personaggi che vanno dalla farsa al teatro dadaista, ma il grottesco è stata la mia strada maestra perché lavorando sul grottesco, a mio avviso, potevo rendere vivi i personaggi di Rabito. E ho scritto anche delle canzoni che mi sono servite per sintetizzare i fatti storici, il suo peregrinare per l’Italia dopo la Prima guerra, il periodo trascorso nelle campagne d’Africa, suonate da un’orchestrina”.
Ed ecco che la scena è presa tutta da Rabito/Pirrotta che la riempie con un incredibile monologo di un’ora e mezza cadenzato da ricordi e personaggi che interagiscono con il protagonista assoluto: “Ho provato a raccontare inventandomi delle scene che mi consentissero di condensare la storia e di sviluppare i passaggi delle varie epoche, si troveranno dunque personaggi che vanno dalla farsa al teatro dadaista, ma il grottesco è stata la mia strada maestra perché lavorando sul grottesco, a mio avviso, potevo rendere vivi i personaggi di Rabito”.
In scena infatti, al fianco di Pirrotta, gli attori Lucia Portale, Alessandro Romano, Marcello Montalto intervengono con movenze da marionetta in una corale pantomima e i musicisti Luca Mauceri (percussioni, elettronica, chitarra classica, autore delle musiche originali), Mario Spolidoro (organetto, chalumeau, chitarra), Osvaldo Costabile (violino, violoncello) fanno da colonna musicale con la loro orchestrina.
Sopra tutti c’è Vincenzo Pirrotta con la sua inesauribile e colorita energia e vitalità.
Profondamente umano, parla, danza, gesticola, dà vita a effetti sonori, ma soprattutto affida agli spettatori un messaggio raccontando tutta la “maletratata e molto travagliata e molto desprezata” vita di Salvatore Rabito e un motto “Terammo la vita, terammo la vita!
Foto di Rosellina Garbo