Cultura

Alla riscoperta di Catania con l’Ammi

Piacevole serata all’insegna della riscoperta di Catania attraverso stuzzicanti curiosità culturali quella organizzata presso Palazzo Sangiorgio dalla sezione locale dell’Ammi. L’Associazione “Mogli dei Medici Italiani – Donne per la salute”, nata nel 1979, è oggi presieduta dalla dott.ssa Antonella Di Maggio, segretaria nazionale AMMI per il triennio 2024-2026, la prima farmacista in campo nazionale ad essere chiamata a tale ruolo. E sì perché, a circa mezzo secolo dalla sua fondazione, questo club non accoglie solo ‘mogli di medici’ (titolo che in verità rispecchia una società ‘obsoleta’ e apparentemente poco rispettoso dell’identità femminile) ma anche farmaciste, biologhe, donne medico, docenti universitarie, operatrici in campo scientifico e/o sociale; quante donne insomma che, in prima persona e a diverso titolo, si occupino di educazione sanitaria, divulgazione della medicina preventiva, tutela della salute e valorizzazione del territorio.
A questo proposito, dopo una breve presentazione, Giacomo Seminara e Miriam Schirone hanno introdotto i relatori, due penne di primo piano del giornalismo catanese (e non solo): Giovanni Iozzia e Giuseppe Lazzaro Danzuso.
Giovanni Iozzia, attraverso il filo conduttore di un suo libro pubblicato nel 2020 per i tipi di Cartago, “Il mistero dell’Alcorano”, aprendo la strada a molte ipotesi e perplessità, si avventura con eleganza e piacevolezza nella riscoperta di una Catania, importante nei secoli ma spesso ignorata o, ancora più spesso, sottovalutata dagli stessi suoi abitanti.
L’Alcorano è il ‘Libro della Mastra Nobile’ di Catania, il famigerato ‘Libro Rosso’ nelle cui pagine sono segnati i privilegi ereditari degli appartenenti alla Mastra Nobile misteriosamente scomparso tra le fiamme di ben due incendi nel 1813 e nel 1844: «Su quel libro, che esista o non, preferisco niente battute. Cos’hai scoperto?». «Niente di che: solo che è stato bruciato due volte.» «Due volte?» «La prima nel 1813 e la seconda nel 1944.» «Come può essere?» «Non lo so, ma l’ho letto… Quindi o qualcuno ha fatto un errore oppure si è giocato a seminare confusione. C’è chi dice che l’Alcorano sia sparito nel 1813, chi invece dice che in quello stesso anno fu bruciato pubblicamente in piazza e, infine, c’è chi attesta che fu bruciato accidentalmente nel 1944.»
L’antichità di Catania, ribadisce Iozzia, è dimostrata da miti, poemi omerici e notizie storiche. Grandi splendori medievali hanno lasciato traccia nel castello Ursino voluto dallo “Stupor mundi” che dovette risiedere nella città etnea visto che madre Costanza qui visse e morì.
Cronisti medievali raccontano delle spoglie di re Artù, portate dalla sorella Morgana, che riposerebbero sull’Etna o individuano («La città ha parecchie grotte, la maggior parte create dalla lava che l’Etna ha prodotto nelle sue innumerevoli eruzioni») l’ingresso del Purgatorio dantesco o dell’Inferno.
Il pozzo di Gammazita nasconde altri segreti: «L’eruzione del 1669 ricoprì questo pozzo. Gli ebrei della zona, visto che qui siamo in piena Giudecca Sottana, invece di scavarne un altro, affrontarono la fatica di liberare nuovamente l’accesso a colpi di piccone…alla ricerca di…»
Catania, insomma, non è mai stata di second’ordine… Siamo noi che non la conosciamo o, addirittura, la denigriamo (sarà per l’influenza negativa dei fiumi sotterranei?): Micio Tempio è ricordato, ad esempio, solo come pornografo anziché essere onorato quale illuminato intellettuale, autore della ‘Caristia’ e frequentatore del circuito di Ignazio Biscari. La ‘reggia’ del principe Ignazio oltre ad ospitare la prestigiosa Accademia degli Etnei era meta obbligata del Gran Tour, dei giovani rampolli dell’aristocrazia europea che, dopo gli scavi di Ercolano e Pompei, si spinsero fino alla ‘pericolosa’ Sicilia in cerca del suo passato classico. Tra questi visitatori ce ne furono di molto importanti come Dominique Vivant Denon che, amico di Napoleone, dopo l’ascesa al nostro vulcano tornò a Parigi e creò il Louvre.
E poi vennero gli inglesi di Bentinck, e con loro la costituzione del 1812 e la fine della feudalità. È ancora oggi trascurata l’importanza della meridiana creata, nel 1841, nella maestosa chiesa di S. Nicola da Sartorius e Peters, allievi di Gauss.
«Certo. Non c’è nulla di particolare. Come vede la linea meridiana è sul pavimento, in direzione da nord a sud, parte dalla cappella di San Benedetto, dove c’è il foro gnomonico e arriva alla cappella di San Nicola… in questa mattonella sono indicate le misure lineari che si usavano in questi tempi: il metro, il piede parigino, il piede inglese, il palmo siciliano del 1809 e quello napoletano del 1840».
E poi ancora e ancora… una miriade di storie più o meno conosciute, dal potente cardinale inquisitore Scipione Rebiba, a De Felice e la sua Milano del Sud, a Mario Rapisarda e al mistero della morte di Nino Martoglio…a Brancati, a Patti, alla tipografia Gibilisco etc.
Sono storie spesso trascurate o addirittura dileggiate dagli stessi catanesi e dalla loro arte di “schifiari e mascariari”, come dice il secondo relatore della serata: Giuseppe Lazzaro Danzuso.
“L’arte di schifiari, o, se preferite un altro termine in vernacolo, di mascariari, è il diffuso costume di uccidere senza spargimento di sangue. Di solito viene esercitata da chi detiene un potere nei confronti di chi potrebbe, in qualche modo, impensierirlo”.
È il caso, riprendendo Iozzia, di Domenico Tempio, marchiato a fuoco come pornografo per le sue poesie erotiche, dimenticando che è considerato “il maggior poeta riformatore della Sicilia”. Fu messo all’indice, schifiatu, mascariatu, dai potenti conservatori anche perché, da buon massone, non aveva risparmiato critiche alla Chiesa.
Sarebbe stato recuperato nel tempo: “C’è ancora – scriverà Aniante – chi si scandalizza per qualche componimento o verso grassoccio o libertino… di quel Tempio che visse povero e assorto nel culto della poesia”.
Il fenomeno dello schifiamento colpisce anche Catania e i siciliani, pronati davanti al disprezzo del ricco Nord a partire dall’Unità (Forza Etna, A morte i terroni, Etna sei grande! scriveranno i veneti sui muri). “L’unica cosa che può consentirci di uscire da questo stato di innegabile sudditanza psicologica che viviamo, per non essere schifiati persino da noi stessi, è la memoria: ricordare quanto è stata grande Catania nel corso dei secoli, dei millenni.”
Non mancò certo il senso del rispetto per se stessa e il senso di appartenenza alla giovane Gammazita, citata anche da Iozzia, che preferì la morte pur di non cedere alle insidie del soldato francese durante la guerra del Vespro, né ai siciliani tutti uniti contro gli angioini (“Oggi, a cu’ dici chichiri ‘n Sicilia, ci si tagghia la testa pi’ so’ gloria”): il pozzo a Catania lo ricorda.
Rischiò la vita per la sua isola che correva il pericolo di crollare il coraggioso Cola Pesce immortalato nella città etnea da ben due statue: “La prima statua orna uno dei quattro «candelabri» di piazza Università realizzati nel 1957 dagli scultori Mimì Lazzaro e Mimmo Tudisco. La seconda, in piazza della Repubblica è opera di Giuseppe Pellegrino…Ogni cent’anni, Cola riemerge, per guardare con amore la sua Sicilia”.
Era legata la leggenda di Cola pesce -lo ricorda Croce- a quella di Orione, figlio di Poseidone, dio del Mare e al culto dei ‘Figli e Nittuno’, pescatori subacquei fedeli alla sirena Partenope.
Riallacciandosi ancora una volta alle memorie della Chiesa di S. Nicola dell’amico Iozzia, il nostro relatore aggiunge gustose e ‘mascariate’ curiosità sulla presenza di Garibaldi a Catania, sulla sua vicenda in Aspromonte in cui l’eroe dei due mondi era rimasto “ferito ad una gamba” (ma in realtà ad un gluteo… per cui a Napoli diventò “Zi’ Peppe, “nome con cui comunemente venivano indicati i vasi da notte”) e sulla curiosa storia della statua posta in via Etnea.
“A realizzarla – spiega Lazzaro Danzuso – era stato lo scultore romano Ettore Ferrari, al quale era stata commissionata nel 1888 dalla città di Montevideo. Ma che… il governo uruguaiano aveva rimandato indietro proprio per via di quell’addome prominente, assolutamente inadatto a rappresentare un eroe…Fin quando, dopo la morte dello scultore, la statua non venne acquistata…da Catania. Così… Garibaldi avrebbe perduto il cavallo, la camicia rossa e persino la prestanza fisica.”
Facendo un salto nel tempo il giornalista ritiene che pochi siano a conoscenza del fatto che, dopo lo sbarco degli Alleati, nel 1943, Il magnifico Palazzo Biscari rischiò d’essere distrutto per ospitare la contraerea americana. Venne salvato da alcuni ufficiali inglesi con ‘un corpu di ‘mpunimentu’. Il generale Bernard Montgomery, informato infatti dai suoi ufficiali che “abbattere quella reggia sarebbe stato un crimine” provvide a munire il salone di rete regolamentare e di linee bianche trasformandolo in un campo al chiuso (il sole ‘africano’ lo imponeva!) di sfairstiké, l’attuale tennis: fu quanto spiegò Montgomery agli ignoranti americani.
Pochi sanno – conclude il nostro oratore – che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento Catania era stata un’autentica capitale del Cinema muto, con ben cinque case di produzione e Cibali, brulicante di teatri di posa.
Il merito va al sindaco socialista Giuseppe De Felice Giuffrida e a Nino Martoglio (George Sadou definì il suo “Sperduti nel buio” come «Il miglior film realistico», il regista americano David Griffith da lui imparò alcune innovative tecniche di montaggio). Anche Martoglio fu mascariato: “dopo la sua morte, quello di dimenticare Martoglio… fu l’imperativo categorico… e martogliano divenne un insulto”. E fu stigmatizzato anche il suo ‘darisi versu’ e la pellicola del 1955 a ciò ispirata “L’arte di arrangiarsi” diretta da Luigi Zampa su soggetto e sceneggiatura di Vitaliano Brancati, in parte ambientata a Catania e interpretata da Alberto Sordi.
Oggi è al numero 41 della lista dei cento film italiani da salvare per aver «cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978».
Si è così conclusa la gradevole serata offerta dalle gentili signore dell’AMMI sull’onda del monito di Plinio il Vecchio: “Turpe est in patria vivere et patriam non cognoscere”.

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