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Addio a David Lynch, l’ultimo viaggio di un surrealista che dialogava coi sogni

La cinematografia d’autore perde uno dei suoi più emblematici interpreti: David Lynch, il maestro del surreale, si è spento lasciando dietro di sé un corpus di opere che ha ridefinito i canoni del linguaggio del “film” contemporaneo.
Dal suo Montana, terra natale, agli studios di Hollywood, Lynch ha percorso una traiettoria artistica tanto imprevedibile quanto rivoluzionaria. Il suo esordio nel 1977 con l’avanguardistico “Eraserhead” preannunciava già quella che sarebbe diventata la sua cifra stilistica: un’immersione nell’inconscio collettivo americano attraverso la lente deformante del sogno.
La sua carriera ha conosciuto anche momenti di scontro con l’establishment hollywoodiano, come testimonia la travagliata vicenda di “Dune”. Il tentativo di adattare l’opera magna di Frank Herbert si trasformò in un’esperienza traumatica quando la produzione, contro il volere del regista, rimaneggiò pesantemente il montaggio finale, privando il film della sua visione originale. Questa ferita artistica, tuttavia, non impedì a Lynch di continuare successivamente a realizzare opere significative.
Il suo cinema ha saputo trasfigurare la provincia americana in un palcoscenico metafisico dove si consumano drammi esistenziali di portata cosmica. Da “Velluto Blu” a “Mulholland Drive”, passando per la rivoluzionaria serie “Twin Peaks”, Lynch ha costruito un universo narrativo dove il confine tra realtà e illusione si dissolve in un vortice di suggestioni psichiche e visive.
L’ultima fase della sua carriera ha visto la realizzazione di “Inland Empire”, opera-testamento che racchiude tutta la radicalità del suo approccio alla narrazione cinematografica, e un memorabile cameo in “The Fabelmans”, dove la sua presenza assume i contorni di un passaggio di testimone tra giganti del cinema.
La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile nell’olimpo dei grandi visionari del cinema, ma il suo lascito continuerà a influenzare le nuove generazioni di filmmaker che, come lui, osano esplorare i territori più oscuri e inesplorati dell’immaginario cinematografico. Lynch ci ha insegnato che il cinema può essere molto più di un semplice strumento narrativo: può essere un portale verso dimensioni inesplorate della coscienza, un mezzo per svelare le verità nascoste sotto la superficie della realtà quotidiana.

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