Giovanni Pantaleo, un frate garibaldino
L’impresa garibaldina in Sicilia più volte rinviata per l’esigenza di Garibaldi di avere una qualche certezza della sua riuscita, fu preparata con molta accuratezza e vari furono i velleitari tentativi messi in atto in precedenza da vari personaggi, fra cui Rosalino Pilo, soffocati nel sangue. La documentazione storica che attesta come l’arrivo di Garibaldi in Sicilia avvenne in un contesto in cui vari personaggi e realtà locali erano pronti a sorreggere l’impresa è inequivocabile; certo Garibaldi non era del tutto sicuro della vittoria e più volte rischiò la sconfitta. Ma come a volte accade che il destino o eventi imprevisti risultano, pur nella loro limitatezza di risorse aggiuntive non prevedibili, determinanti per il successo o il fallimento di un’impresa, quando ciò non è escluso che sia avvenuto in seguito alla esplicazione della volontà umana. Nel presente articolo vogliamo porre l’attenzione sul ruolo che potrebbe aver avuto nel successo dell’impresa di Garibaldi in Sicilia l’iniziativa di frate Giovanni Pantaleo. Qualche tempo fa mentre mi trovavo a compiere delle ricerche alle Biblioteche Riunite “Civica e A. Ursino Recupero” ebbi modo di conoscere e dialogare con il pronipote di frate Giovanni Pantaleo, il vulcanologo francese Carlo Laj, che aveva rivestito il ruolo di cappellano militare nell’esercito garibaldino ad iniziare dal 1860.
Dopo l’incontro con il prof. Laj ho approfondito la mia ricerca su frate Giovanni Pantaleo ed ho avuto la possibilità di reperire la sua immagine fotografica.
Approfondendo ulteriormente la ricerca su frate Pantaleo presso le Biblioteche Riunite “Civica e A. Ursino Recupero”, ho avuto modo e fortuna di reperire un prezioso manoscritto di Eugenio Varvaro “La Rivoluzione Siciliana del 1860”, in cui erano riportate informazioni riguardanti il ruolo aggregativo avuto da frate Pantaleo a favore dell’esercito garibaldino.
Nel suo manoscritto Eugenio Varvaro alle pagine 5 e 6 parla così di frate Giovanni Pantaleo:
“Fu qui [a Salemi] che Giovanni Pantaleo, nato a Castelvetrano, frate del convento degli Angeli in Salemi, abbandonato il convento: ad esempio dei fiacchi, a prova che nel nome e nelle aspirazioni alla Patria, la fede può sposarsi alla azione e diventare miracolo d’eroismo, con l’abito francescano si presentò a Garibaldi. E fu tale la convinzione addimostrata nelle sue parole dal fraticello, fu tale l’entusiasmo con cui intendeva combattere tra le fila dei liberatori della sua Patria, che Garibaldi, abbracciandolo gli disse: voi sarete il nostro Ugo Bossi. E Giovanni Pantaleo fu per tutti campi garibaldini per la libertà dei popoli, esercitante, sotto la tonaca del frate per cui indossò la camicia rossa e colla croce in pugno e la spada al fianco, con gran prestigio sulle plebi, cooperando così grandemente alla vittoria.”
Riportiamo l’opinione di Eugenio Varvaro e pensiamo anche noi che, probabilmente, il destino abbia condizionato il corso della storia… servendosi di frate Giovanni Pantaleo.