La libertà dei boss – Quando il re torna alla montagna
Il periodo di grave emergenza che stiamo vivendo lascerà traccia su ognuno di noi. Sta destabilizzando una già precaria economia, la quotidianità, le azioni e il pensiero di tutti. Come prevedibile sta anche sconvolgendo il mondo della politica, tra chi sfrutta i dissensi popolari per la propria campagna elettorale, chi propone soluzioni che pensa siano il male minore e chi genera confusione.
E pare sia proprio per la confusione che alcuni dei nomi più noti della criminalità organizzata, della mafia, della ‘ndrangheta e della camorra siano stati o verranno presto posti agli arresti domiciliari.
Proprio in questi ultimi giorni sono state rese note le scarcerazioni di “personalità” del calibro di Francesco La Rocca, detto “u zu’ Cicciu”, ergastolano nostrano trasferito agli arresti domiciliari nel suo paese natale, San Michele di Ganzaria. Anche Francesco Bonura, uno degli esponenti di spicco di Cosa Nostra, è stato rilasciato pochi giorni fa e probabilmente farà ritorno a Palermo. Pare che anche il suo “collega” Giuseppe Sansone potrà presto usufruire dei domiciliari.
Ma da dove derivano queste decisioni? Dove è iniziata la confusione?
Il primo atto vede protagonista il Decreto Cura Italia del 17 marzo 2020, i cui punti sulla pena detentiva sono stati discussi in seguito alle rivolte delle carceri nel mese di febbraio.
Difatti il decreto prevede la detenzione domiciliare per chi ha meno di 18 mesi di pena ancora da scontare, escludendo però i soggetti condannati per i delitti previsti all’art. 41-Bis.
Così però non è stato e la motivazione pare sia il rispetto dei diritti costituzionali alla salute e all’umanità della pena, come specificato in una nota successiva dal tribunale di Sorveglianza di Milano.
Difatti i soggetti posti ai domiciliari hanno la comune caratteristica di essere in avanzato stato di età e affetti da diverse patologie. Noto è ad esempio il cancro al colon di Bonura.
Successivamente una circolare del DAP inviata il 21 aprile ai direttori degli istituti penitenziari richiedeva di riferire i nominativi dei detenuti con patologie e di quelli con oltre 70 anni di età, allo scopo di censire e decidere le procedure per gestire i diversi casi.
La nota non rappresentava un ordine di scarcerazione, come ha precisato il Ministro di Giustizia Bonafede, ma di fatto ne è scaturito un innalzamento delle richieste, tra cui anche quella del camorrista Raffaele Cutolo, il noto “Don Raffaè” della canzone di Fabrizio De Andrè.
Nella giornata di giovedì il guardasigilli Bonafede agirà con un decreto, coinvolgendo il presidente della commissione parlamentare Antimafia, Nicola Morra, la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e le singole procure distrettuali per le valutazioni delle richieste di scarcerazione.
Provvederà inoltre ad indagare su quelle già messe in atto.
Potrebbe sembrare superfluo dire quanto la fine della detenzione di soggetti di questa caratura possa rappresentare un corposo e viscoso sputo sulle tombe e sull’operato di tutti gli uomini di legge, giornalisti e comuni cittadini che hanno dato la vita per tentare di estirpare questo cancro dalla società.
Il dubbio, quasi amletico, di quanto sia giusto mostrare umanità a chi in passato ha palesato di non possederla più o non averla mai avuta, di chi l’ha fatta esplodere, di chi l’ha crivellata di colpi, di chi l’ha dissolta nell’acido, è un dubbio che appartiene a ogni individuo dotato di coscienza e mente analitica.
Cosa potrebbe rappresentare il ritorno di certi volti nella foto di gruppo criminale del nostro Paese?
Uomini che, per quanto vecchi e malati, potrebbero cambiare le sorti di molti e i giochi di potere in atto con una semplice parola, per quanto flebile e affannata.
Sarebbe sufficiente il controllo imposto dalla detenzione domiciliare, che in più occasioni si è rivelato inefficace o battuto delle potenti risorse della malavita? Non si può dare una risposta certa al momento.
Quello di cui però si può essere certi è che la mafia è una montagna di merda e impedire che il re torni alla sua montagna dovrebbe essere una priorità delle nostre istituzioni.
Nella foto: il boss della camorra Raffaele Cutolo