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Potere e rossetto. Una gestione alternativa del potere per le donne

Nella storia dell’età moderna raramente le donne hanno ricoperto ruoli di potere in modo diretto. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale e la fine dei regimi nazi-fascisti in Europa, la presenza femminile nei posti di comando ha cominciato gradualmente a farsi sentire.

Un chiaro segno di tale cambiamento possiamo individuarlo, ad esempio, quando il 4 maggio del 1979 Margaret Thatcher fu nominata primo ministro nel Regno Unito. La Thatcher, rimasta al potere fino al 28 novembre 1990 (un periodo così lungo da essere stato definito thatcherismo), è stata la prima donna in assoluto ad aver ricoperto questo importantissimo incarico nella storia inglese. Si è trattato di una figura piuttosto controversa: lodata da alcuni come una delle esponenti politiche più di rilievo nella storia britannica; avversata da altri per la sua mancanza di dialogo ed empatia soprattutto nei confronti delle fasce più deboli.

Oggi, trascorsi ormai molti anni, non mancano certo figure femminili di spicco nel panorama politico europeo. Chiusa l’epoca della cancelliera tedesca Angela Merkel, Ursula von der Leyen è stata recentemente riconfermata per il suo secondo mandato alla Commissione europea, mentre Christine Lagarde è alla guida della Banca centrale europea. In Italia dal 22 ottobre 2022, abbiamo per la prima volta una premier donna: Giorgia Meloni.

Si può dunque parlare di raggiunta parità di genere? Il famoso gender gap è stato finalmente colmato?

Sicuramente no, e per più di una ragione.

I dati statistici confermano  che, ancora oggi, un ridotto numero di donne ricopre ruoli di comando rispetto agli uomini e che ancora  un minor numero di ragazze  sceglie di studiare le cosiddette materie STEM; non è stato infranto il famigerato “glass ceiling” e il potere, anche sotto mentite spoglie, è sempre cosa da uomini.

Inoltre, forse proprio a causa delle enormi difficoltà che le donne incontrano nella loro via di accesso al potere, quando queste ultime raggiungono ruoli di responsabilità tendono ad assumere spesso comportamenti e aspetto di tipo “maschile”. Torniamo alla già citata Thatcher: proprio per la sua durezza e per le sue idee le fu attribuito il soprannome di Iron Lady. “Casa è quel posto dove torni, quando non hai di meglio da fare”; questa è una delle frasi celebri che le sono state attribuite. Una donna potentissima, dunque, che però ricalcava in tutto e per tutto una modalità di gestione del potere di tipo maschile (con l’unico vezzo della famosa collana di perle).

La stessa Giorgia Meloni da quando è diventata premier sceglie solitamente di indossare tailleur e pantaloni (almeno nelle visite ufficiali e a palazzo Chigi) come se questi indumenti, per tradizione maschili, anche se oggi sono utilizzati in egual misura sia dagli uomini che dalle donne, le conferissero più autorevolezza, rispetto ad un altro tipo di abbigliamento. D’altronde è ancora in uso il famoso detto “portare i pantaloni”, quando si vuole indicare qualcuno che comanda.

Le donne al potere che hanno invece mostrato pubblicamente la loro femminilità sono state spesso ritenute poco credibili e poco affidabili. Si pensi ad esempio a Lucia Azzolina, ex ministra dell’istruzione in epoca covid, che “osò” mostrarsi in pubblico truccata con un bel rossetto rosso o alla ex premier finlandese, Sanna Marin, che dopo essere stata ripresa in discoteca mentre ballava e si divertiva con degli amici, è stata accusata di svolgere in modo superficiale il suo incarico. Dopo la recentissima liberazione di Cecilia Sala, non sono mancati i commenti relativi al suo look quando è finalmente atterrata in Italia: indossava un barbour ed era truccata (precisazioni del tutto irrilevanti al fine di documentare la notizia).

E’ forse anche per questo motivo che molte donne di potere scelgono di farsi chiamare con il proprio titolo declinato al maschile, pur esistendo nel vocabolario il nome corrispondente di genere femminile. Certo ci sono delle eccezioni: basti pensare alla dott.ssa Maria Carmela Librizzi che preferisce farsi chiamare “la prefetta” di Catania e non il prefetto. In tante, invece, preferiscono il maschile come se farsi chiamare presidente invece che presidentessa, ministro invece che ministra, direttore invece che direttrice, conferisse più prestigio e rispetto; per non parlare dell’appellativo “signora” spesso e volentieri usato anche sul luogo di lavoro al posto del titolo di studio conseguito (cosa che invece non succede mai agli uomini); la stessa prefetta Librizzi, recentemente intervistata da Roberta Lunghi, ha raccontato come le sia capitato  durante importanti trattative di essere chiamata signora e di essere stata costretta a ribadire di essere “prefetta” sul luogo di lavoro e signora al di fuori di esso.  La questione è ben lungi dall’essere una semplice questione formale, sappiamo infatti che la realtà si definisce anche attraverso i nomi che diamo alle cose (lo diceva Wittgenstein che, semplificando all’estremo, aveva ben compreso che i nostri gesti spontanei e primitivi vengono in seguito trasformati in parole e linguaggio); la scelta di farsi chiamare con appellativi declinati al maschile suggerisce quindi la presenza di un retaggio culturale duro a morire.

Proprio perché le vie di accesso ai ruoli di comando sono decise dagli uomini e le donne devono giocare con regole non loro, una volta acquisito il potere spesso le donne diventano più dure e intransigenti degli uomini stessi, senza mostrare quella solidarietà di genere che invece ci si aspettava da loro. Anzi, in certi casi, la rivalità femminile diventa ancora più aggressiva e agguerrita di quella esistente tra donne e uomini, proprio perché si tratta di una rivalità a 360 gradi, che riguarda non solo l’ambito lavorativo ma anche altri aspetti, come quello fisico o relazionale.

Sarebbe un utile spunto di riflessione, per tutte le donne, ripensare al proprio modo di gestire il potere, conservando l’empatia e la capacità di vedere il mondo con gli occhi dell’altro (qualità queste che lungi dall’essere sintomo di debolezza sono invece un quid che dà forza, in quanto un buon capo è sempre autorevole e mai autoritario).

Parafrasando il titolo di un film di Ken Loach uscito nel 2000 (“Bread and Roses”) è forse giunta l’epoca per le donne di ottenere “power and roses”: il potere ma anche la femminilità e la gentilezza.

Donne, dunque,  al potere ma, se lo vogliono, anche con il rossetto!

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