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25 novembre: donne consapevoli di sé stesse e non trofei maschili

Sono ancora troppe le donne private della propria vita e dei propri sogni, per la brutalità di uomini possessivi e prevaricatori.
Nonostante la costante applicazione della legge n.69 del 2019 , il cosiddetto Codice Rosso, che ha modificato e rafforzato la tutela processuale delle donne vittime di violenza sessuale e domestica; ha inasprito le pene previste per i reati di maltrattamento, atti persecutori e violenza e ha introdotto nuove fattispecie di reato punibili penalmente come il delitto di deformazione della persona mediante lesioni permanenti al viso, la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti e la costrizione al matrimonio.
Nonostante questa importante legge di tutela delle donne vittime di violenza domestica e di genere sia stata integrata e rafforzata con la legge 134 nel 2021, questa strage di donne innocenti sembra non avere fine e testimonia, invece, quanto queste morti assurde siano una ferita profonda della nostra società.
Ed è pressoché inutile affermare che l’aumento dei femminicidi in Italia sia da attribuire all’immigrazione illegale, scaricare ogni colpa sullo straniero è solo un escamotage per non ammettere che questa ferita continua a rimanere aperta e sanguinante non solo a causa di una cultura retrograda, ma anche per la miopia di certa politica a cui sembra mancare una reale comprensione.
Secondo l’ultimo rapporto Istat, il 94, 3% delle donne italiane è vittima di italiani.
I dati non mentono: le donne uccise in Italia, nella stragrande maggioranza dei casi, è vittima del marito, del fidanzato o di un ex.
Dati che evidenziano, in modo chiaro, che le donne nel nostro paese sono ancora le vittime sacrificali sull’altare di una cultura sessista che continua a trattarle non come individui senzienti, ma solo come corpi di cui disporre a proprio piacimento, un oggetto senza valore, da distruggere nel momento in cui non soddisfa più le esigenze maschili.
Siamo una società che non ha compiuto grandi passi da quando nel 1981, è stato abolito il delitto d’onore, insieme al matrimonio riparatore.
Se giuridicamente è stato riconosciuto come atto di violenza, in ambito sociale, nella sostanza dei fatti, gli uomini hanno continuato a uccidere in nome del loro “onore”, scambiato per rispettabilità quando invece è solo una bieca manifestazione della loro mascolinità tossica.
La nostra cultura è rimasta impregnata dei vecchi stereotipi che, è inutile negare, facciamo fatica ad abbandonare, non solo gli uomini, ma spesso anche le donne. Sin da bambine cresciamo in una sostanziale disparità di genere che, inevitabilmente, ci viene trasmessa come normalità e, da adulte, inconsapevolmente, reiteriamo comportamenti sessisti, senza accorgerci che siamo intrappolate in una rete di pregiudizi che, alla fine, limitano noi stesse.
Di conseguenza, molte donne non riescono a riconoscere un comportamento tossico come la gelosia ossessiva o la possessività. Questi vengono sminuiti e considerati solo una innocua esternazione dell’amore del partner.
Invece sono pericolosi comportamenti prevaricatori in cui la prepotenza diviene l’unica forma relazionale.
Ma la prevaricazione non è solo fisica, ne esistono delle altre, più sotterranee, ma ugualmente limitanti.
Dai recenti sondaggi è emerso che, in Italia, una donna su tre, non possiede un conto corrente. In questo caso si tratta di violenza economica, una forma subdola che permette all’uomo di controllare la vita della propria compagna attraverso la gestione univoca del denaro.
E ancora, i dati rivelano che, ogni giorno, le donne sono vittime di disparità di trattamento in ambito lavorativo, di molestie, di stalking, di violenze domestiche e di violenza sessuale.
La violenza sessuale è divenuta reato contro la persona con la legge 66 del 1996.
Da reato contro la morale pubblica, nel Codice Rocco, lo stupro è stato tipizzato come delitto contro la libera autodeterminazione della donna nella propria sfera sessuale.
Ogni donna deve essere libera di poter scegliere ma, soprattutto, libera di dire di no!
Ma troppo spesso i casi di stupro vengono trattati ponendo l’accento solo sulla donna. Le vittime di violenza sessuale, sia nelle aule giudiziarie che su Tv e social subiscono l’umiliazione di doversi giustificare per l’abbigliamento indossato o per il comportamento adottato, una gonna troppo corta o un bicchiere di troppo sono prove incriminanti.
La società finisce con il processare la donna in quanto tale, si erge a giudice e attua un’azione denigratoria e svalutante che, invece di sostenerla lede la sua dignità di individuo nel suo basilare diritto di denuncia e di risarcimento per la violenza subita.
Oggi si parla tanto di vittimizzazione secondaria, però, poi, nella realtà dei fatti, non ci si pone alcuno scrupolo ad abusare una seconda volta della sofferenza della vittima.
Ogni anno, non serve a niente celebrare, il 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, non serve organizzare cortei e manifestazioni, quando, poi, per il resto dell’anno non viene messa in atto una forte azione di educazione sentimentale, non solo tra i giovani ma soprattutto tra gli adulti. Siamo noi, generazione adulta, che, non solo non siamo riusciti a sradicare i nostri antiquati stereotipi, ma non siamo stati capaci di trasmettere il valore della pari dignità di genere ai nostri figli.
Se non ci attiviamo, tutti insieme, cittadini e Istituzioni, le violenze di genere continueranno a segnare vergognosamente la nostra società e la strage di donne continuerà a sporcarla con la sua impietosa scia di sangue.
Invece di organizzare manifestazioni, bisogna iniziare a riconoscere a ogni donna il proprio ruolo sia in ambito sociale che professionale.
Concretamente, significa affrontare e cercare di risolvere tutti i problemi esistenti: la disoccupazione femminile, l’impossibilità di poter conciliare famiglia e lavoro per mancanza di asili nido, la differente retribuzione per uno stesso incarico professionale e sradicare pregiudizi sessisti e riduttivi della dignità femminile.
Solo quando ogni donna avrà il ruolo che le spetta di diritto nella società, non esisteranno più donne umiliate come Medusa, punita per essere stata violentata, ma solo “Meduse” con in mano la testa di Perseo come nell’illuminante scultura dell’artista italo- argentino Luciano Garbati.
Donne consapevoli di sé stesse e non trofei maschili.

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