Cronaca

La malattia oncologica in famiglia e il Diritto all’oblio oncologico

Si è svolto a Siracusa, organizzato dall’Ordine degli avvocati, dall’Associazione avvocati matrimonialisti, dall’Alleanza contro il tumore ovarico e dalla Rivista LavoroDirittiEuropa, un importante convegno sulla malattia oncologica in famiglia e il Diritto all’oblio oncologico. Tra i relatori, illustri avvocati, magistrati, oncologi, psicologi che hanno discusso dei diritti dei malati oncologi e dei loro familiari.

Com’è noto il diritto alla salute è garantito dall’art. 32 della Costituzione che così recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Peraltro è l’unico diritto che viene riconosciuto come fondamentale.

Negli anni, ai malati di cancro sono stati riconosciuti alcuni importanti diritti perché la diagnosi di cancro segna l’inizio di un percorso faticoso tra visite, esami, degenze e terapie spesso invalidanti. Il nostro ordinamento riconosce e garantisce alle persone malate di tumore tutele giuridiche ed economiche sia come particolare categoria di malati sia, genericamente, come persone riconosciute invalide e portatrici di handicap.

I malati oncologici possono ottenere il riconoscimento dell’invalidità civile. A seconda del tipo di invalidità riconosciuta, e delle loro condizioni economiche, i malati hanno diritto a:

  • pensione di inabilità civile (pari al 100%);
  • assegno di invalidità civile (tra il 74% ed il 99%);
  • indennità di accompagnamento (nei casi più gravi);
  • indennità di frequenza (per i minori di anni 18).

Oltre all’invalidità civile, il malato di cancro può ottenere il riconoscimento dello stato di handicap in situazione di gravità anche solo per periodi limitati. Allo stato di handicap in situazione di gravità sono collegati alcuni benefici fiscali e importanti tutele in ambito lavorativo: la legge consente ai lavoratori malati in stato di handicap grave e, in diversa misura, ai lavoratori che li assistono, di usufruire di permessi e congedi (retribuiti e non); di scegliere la sede e l’orario di lavoro (part-time) e di godere di altri benefici per conciliare le cure o l’assistenza con l’attività lavorativa.

Spesso però, come avviene in Sicilia, le richieste per l’invalidità vengono visionate dopo due anni perché ci sono due fasi: una amministrativa dell’Asp e una dell’Inps e a Catania nel marzo 2024 esistono 28 mila pratiche inevase. Ci sono delle eccezioni come a Messina in cui in 30 giorni si ottiene la certificazione.

In campo sanitario, il malato di cancro ha diritto all’esenzione per patologia (cod.048) dal pagamento del ticket per farmaci, visite ed esami appropriati per la cura del tumore da cui è affetto e delle eventuali complicanze, per la riabilitazione e per la prevenzione degli ulteriori aggravamenti.

Per l’esercizio e il rispetto di tali diritti occorre, però, un sistema assistenziale e un SSN che funzioni.

Ma i dati – come si legge nel Manifesto degli scienziati – “dimostrano che il sistema è in crisi». «Arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali. Questo accade perché i costi dell’evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica, hanno reso fortemente sottofinanziato il Ssn, al quale nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil (meno di vent’anni fa)”.

Nell’ultima legge di bilancio, sono stati stanziati per la sanità 131 miliardi; una cifra di gran lunga inferiore a quella della Germania che investe 423 miliardi e a quella della Francia che destina alla sanità 271 miliardi, cioè il doppio dell’Italia.

“La spesa sanitaria in Italia – continuano gli scienziati – non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud in termini di diritto alla salute”.

Molte regioni, con un bilancio in rosso, non riescono a garantire i Lea ai propri cittadini. In particolare, 12 regioni su venti non sono nelle condizioni di assicurare nemmeno i servizi essenziali.  Ospedali in sottorganico, da cui i medici fuggono per andare a lavorare nel privato o per diventare medici a gettoni, a causa dello stress lavorativo, della insufficienza del personale medico e infermieristico e della bassa remunerazione. Con il risultato di attese infinite per i cittadini. 

Peraltro, “tra 25 anni quasi 2 cittadini su 5 avranno più di 65 anni e il sistema non sarà in grado di assisterli” a motivo degli scarsi investimenti.

I tempi per accedere alle prestazioni sanitarie e, ancor di più alle indagini più complesse, sono davvero troppo lunghi; un cataclisma che non risparmia nemmeno le Regioni più ricche e meglio organizzate.

Occorre, secondo gli scienziati, stanziare più risorse, adeguando, ad esempio, il finanziamento del SSN agli standard dei Paesi europei avanzati, pari all’8% del Pil nazionale. Occorre un piano straordinario di finanziamento e una maggiore valorizzazione del personale per arginare la crisi in cui versa il sistema.

Ad essere sotto accusa è il sottofinanziamento della sanità pubblica e la sua gestione. A parere degli scienziati “la allocazione di risorse deve essere accompagnata da efficienza nel loro utilizzo e appropriatezza nell’uso a livello diagnostico e terapeutico, in quanto fondamentali per la sostenibilità del sistema. Ancora, il SSN deve recuperare il suo ruolo di luogo di ricerca e innovazione al servizio della salute”.

Per non parlare della prevenzione: “la spesa per la prevenzione in Italia è da sempre al di sotto di quanto programmato… A parole tutti riconoscono il ruolo cruciale della prevenzione per la promozione della salute in una popolazione che invecchia. Ma gli investimenti sono scarsi da tempo e la prevenzione è il settore in cui le Regioni sono più inadempienti nel garantire i Lea”.

A farne le spese sono, in particolare, le fasce socio-economiche più deboli, i fragili e i malati oncologici: interminabili tempi di attesa per una prestazione sanitaria o una visita specialistica, necessità di ricorrere alla spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, pronto soccorso affollatissimi, diseguaglianze regionali.

Unica nota positiva la legge sull’oblio oncologico.

Il diritto all’oblio oncologico è una norma di tutela che abolisce l’obbligo di dichiarare di essere stati malati di cancro allo scopo di impedire qualsiasi forma di discriminazione legata allo stato di salute di una persona.

Lo ha stabilito nel 2022 il Parlamento Europeo con la raccomandazione che tale norma venisse adottata da tutti gli Stati membri dell’Unione.

L’articolo 17 del Regolamento europeo configura il diritto alla cancellazione dei propri dati personali legati all’esperienza di malattia oncologica in forma rafforzata.

Il cittadino può reclamare gratuitamente tale diritto tramite un legale di fiducia o rivolgendosi ad associazioni ed organismi senza scopo di lucro.

Si tratta di un provvedimento che gli consente di non dichiarare la sua pregressa patologia al momento di firmare polizze, contratti bancari e di lavoro.

È una norma di tutela che abolisce l’obbligo di dichiarare di essere stati malati di cancro allo scopo di impedire qualsiasi forma di discriminazione legata allo stato di salute di una persona.

Scegliere di non fornire informazioni sulla propria malattia e non esser identificati con essa dovrebbe essere un diritto di ogni paziente guarito da un tumore, in ogni Paese del mondo. In Europa tale diritto è già stato introdotto nell’ordinamento giuridico in alcuni Stati virtuosi come Francia, Lussemburgo, Olanda, Belgio e Portogallo che hanno emanato la legge negli ultimi due anni.

Anche in Italia l’oblio oncologico è legge. Il 5 dicembre 2023 è una data importante per chi è guarito da un tumore: il Senato ha dato il via libera al testo, già approvato dalla Camera, che tutela gli ex pazienti oncologici dalle discriminazioni legate alla malattia.

In Italia 3,6 milioni di persone sono vive dopo una diagnosi di tumore. Di queste, circa un milione può considerarsi guarito. Fino a oggi era comune per loro, a causa della malattia pregressa, ricevere un rifiuto a una richiesta di un mutuo o di un prestito, alla stipulazione di un’assicurazione, alla possibilità di partecipare a un concorso pubblico o privato, o a una domanda di adozione. Grazie alla legge appena approvata, d’ora in poi queste persone non saranno più obbligate a fornire informazioni né a subire indagini in merito alla propria pregressa neoplasia. Da questi punti di vista saranno considerati come coloro che non si sono mai ammalati di tumore.

In particolare, il primo decreto del Ministero della Salute del 22 marzo ha stabilito quali sono le patologie per cui è previsto un termine ridotto per il maturarsi dell’oblio oncologico, rispetto al limite generale dei dieci anni dalla fine del trattamento o dall’ultimo intervento chirurgico. In ambito ginecologico, la riduzione a 5 anni riguarda i tumori al corpo dell’utero, senza limite di età.

Il secondo decreto, pubblicato il 30 luglio 2024 in Gazzetta Ufficiale, disciplina, invece, le modalità di richiesta della certificazione che attesta l’avvenuto oblio oncologico. A livello pratico l’istanza deve essere presentata alle strutture sanitarie, che entro 30 giorni possono rilasciare la certificazione in presenza dei requisiti previsti dalla legge. Alla richiesta dovrà essere allegata la documentazione attestante la fine delle cure oncologiche e l’assenza di recidive.

Novità nell’ambito dei precorsi di adozione sono arrivate, inoltre, con la promulgazione del più recente decreto “Disposizioni in materia di oblio oncologico in relazione alle adozioni” del 9 agosto 2024 (G. U. 13 settembre 2024). In pratica, la norma stabilisce che il certificato di oblio oncologico può essere presentato anche durante le pratiche di domanda per adozioni di minori, aprendo così questa opportunità anche a ex pazienti oncologici.

Inoltre, è stata attivata la procedura per il IV decreto attuativo che dovrebbe garantire l’uguaglianza  di opportunità nell’inserimento e nella permanenza nel lavoro.

Certo, come è stato sottolineato durante i lavori del convegno, la legge non solo è arrivata in ritardo ma non tiene contro dei progressi ottenuti in ambito oncologico sul piano della guarigione e della cronicizzazione, grazie alla sperimentazione scientifica e alle nuove terapie. 

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