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C’era una volta il lavoro. Nella realtà c’è solo la povertà cronica

C’era una volta il lavoro e il benessere economico.
Ideali a cui plasmare l’intera società moderna perché solo questi avrebbero portato crescita per tutti e avrebbero segnato un avanzamento dell’umanità verso una vita migliore e libera.
Il lavoro avrebbe concesso a ogni cittadino la propria dignità di uomo.
I nostri Padri costituendi considerarono il lavoro fondamentale non solo per gli individui ma soprattutto come base per uno Stato definito democratico.
“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” recita l’articolo 1 della nostra Costituzione e ancora “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” continua all’articolo 4.
Ma a noi oggi quel “c’era una volta” suona come una grande beffa, un miraggio che ci si è sbriciolato tra le mani come sabbia.
C’era una volta il lavoro, una bella favola a cui nessuno riesce più a credere.
Lentamente, ma inesorabilmente, ci siamo ritrovati cittadini di uno Stato che ha smesso di garantire le condizioni necessarie affinché ognuno potesse esercitare con dignità questo sacrosanto diritto al lavoro.
E sempre più cittadini hanno perso la propria occupazione, molti hanno dovuto accettare lavori inadeguati, sottopagati, in nero e senza alcuna tutela normativa.
E tantissimi giovani hanno dovuto lasciare casa e affetti e andare all’estero per poter avere un’occasione di realizzarsi professionalmente.
Chi è rimasto è diventato sempre più povero e ha visto diminuire lentamente il proprio potere d’acquisto.
C’era una volta il lavoro e adesso, nella realtà dei fatti, c’è una condizione di povertà così radicata da essere diventata cronica per molti.
Così tanto che ieri, 17 novembre, la nostra moderna e luccicante società si è trovata costretta a dover celebrare la Giornata mondiale dei poveri.
Una giornata che è stata portata all’attenzione di tutti da Papa Francesco che, dopo la Messa nella Basilica di San Pietro, ha pranzato insieme a 1300 poveri, condividendo con loro un momento di solidarietà.
Ma questi momenti non bastano più. La povertà in Italia è in costante e inesorabile crescita e coinvolge sempre più cittadini.
Secondo gli ultimi dati forniti dalla Caritas nel 2025 la povertà è cresciuta ancora, e non interessa più solo coloro i quali non hanno un lavoro, ma anche sempre più numerose famiglie che non riescono più a fronteggiare il costo della vita poiché la retribuzione lavorativa non riesce a coprirlo.
Secondo questo rapporto infatti, circa un terzo di queste, pur avendo un lavoro, vive in uno stato di perenne disagio economico.
Questi dati della Caritas, purtroppo, confermano quelli già pubblicati dall’Istat e evidenziano come la povertà in Italia sia oramai, non una condizione transitoria, ma permanente, nonostante il tanto decantato Assegno di inclusione.
Una crescita che non si ferma e che, se rapportata solo a un decennio fa, risulta impressionante.
Il 40% per cento della popolazione italiana si trova in questa umiliante condizione di povertà cronica. Una condizione che, sempre più spesso, scorre parallela alle dinamiche economiche di una società che nasconde le proprie colpe dietro al rumore della tecnologia e del progresso a ogni costo.
Ma soprattutto dimenticata dalle Istituzioni e da una politica che, mentre illude con blande manovre di sostegno, in realtà persegue i propri obiettivi che non includono mai gli ultimi.
Tutti questi nuovi poveri, soffocati da una pressante quanto insufficiente situazione economica, non vengono tutelati, ma lasciati soli ad arrabattarsi con il proprio destino di mancanza.
Come oggetti di scarto, non certo come individui e cittadini italiani, sono letteralmente scaricati nelle mani delle associazioni di volontariato che, in questi ultimi anni, hanno visto rivolgersi a loro sempre più famiglie.
Uomini e donne che non ricevono alcun supporto da uno Stato che volutamente guarda altrove, e che investe fondi solo quando questi generano profitti, che trova fondi solo quando si tratta di armi.
Si straparla tanto di Nazione ma tutto questo orgoglio patriottico si frantuma di fronte agli impietosi dati.
Oltre 5, 7 milioni di cittadini vivono in povertà.
Una spirale perversa in cui continuano ad essere fagocitate sempre più famiglie, il cui risultato è che i poveri diventano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, in una sperequazione così marcata che la classe media sta sparendo inesorabilmente.
Un vuoto pericoloso, in quanto la borghesia ha sempre rappresentato un basilare elemento di unione e di bilanciamento all’interno della società se questa vuol sopravvivere come comunità equilibrata e democratica.
Oggi, invece, la povertà cronica è il nuovo girone infernale in cui vengono gettati sempre più cittadini, nella pressoché totale indifferenza delle Istituzioni politiche che alimentano questo divario, favorendo i pochi che siedono comodamente nella pace dell’Olimpo.
Ma politicamente, socialmente e moralmente nessuna società veramente democratica, soprattutto umana, dovrebbe favorire e accettare una tale voragine al suo interno.
Eppure nessuno sembra preoccuparsene e i poveri continuano ad essere poveri.
C’era una volta il lavoro e il benessere economico.
Nella realtà c’è solo la povertà cronica.

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