Sanità

Le Medical Humanities

Nei giorni 24-27 ottobre 2024, nella città di Catania, si è tenuta la IV edizione di Expomedicina per fare il punto sulla Sanità, sulle innovazioni tecnologiche e sulle prospettive aperte dalla robotica e dall’intelligenza artificiale.
L’associazione ANDOS (presente nello stand 18) ha presentato un ricco programma partendo dalle Medical Humanities. Esperti di Medicina Narrativa, storici e giornalisti hanno discusso “dell’umanizzazione delle cure” e hanno sottolineato l’esistenza di tanti punti di convergenza tra le Scienze Umanistiche e le Scienze Mediche.
Le Medical Humanities, infatti, rappresentano il punto di incontro tra la medicina e le discipline umanistiche, quali la storia e la filosofia, l’etica e la letteratura che pongono al centro della loro riflessione l’uomo, con la sua storia, con le sue esigenze, con la sua ricerca della felicità e della soddisfazione dei suoi bisogni.
Felicità che secondo l’economista Amartya Sen non coincide solamente con la crescita economica: il grado di felicità e di democrazia di una società non si misura soltanto mediante gli indici economici ma anche attraverso gli indici di soddisfazione dei bisogni collettivi e individuali, tra cui il livello di libertà, la qualità, del sistema scolastico e, soprattutto, l’efficienza del sistema sanitario.
Una concezione, quella di Amartya Sen, fondata sulla libertà e sui bisogni dell’uomo che si oppone ad altre teorie che identificano lo sviluppo con il prodotto nazionale lordo, l’aumento dei redditi, l’industrializzazione, il progresso tecnologico, la modernizzazione della società.
Prendendo spunto da Sen, potremmo dire che il grado di felicità e di democrazia di una società si misurano, soprattutto, attraverso le politiche di welfare e la tutela dei diritti fondamentali per le persone più vulnerabili, nonché mediante le occasioni sociali, cioè con gli assetti che la società di dà nel campo dell’istruzione, della sanità, dei servizi pubblici, etc.
Il welfare state, inteso come stato del benessere, fondato sulla necessità di correttivi economico-sociali, sulla previdenza e sulla modifica dei fattori della produzione-distribuzione, ha conosciuto la sua maggiore espansione dopo la seconda guerra mondiale, e il termine welfare state è stato utilizzato come sinonimo di stato sociale, nel senso di una politica di spesa pubblica tesa a garantire sia la copertura economica sia la protezione sociale degli strati deboli della popolazione. Non a caso, parlando di welfare, vengono in mente immediatamente la previdenza, l’assistenza sociale, la copertura sanitaria, l’edilizia popolare o il programma di lavori pubblici.
Almeno fino agli anni settanta del ‘900 in quasi tutti i paesi europei sono state adottate misure più o meno onnicomprensive, più o meno universalistiche di welfare, ma negli anni novanta di fronte a una spesa pubblica sempre crescente è sorta l’esigenza di ridimensionare le politiche di welfare. Le politiche sociali degli stati europei, che «sarebbero ispirate a un livello eccessivo di solidarietà, e quindi di distribuzione, vengono considerate responsabili di una crescita scarsa e di un elevato tasso di disoccupazione».
In un clima di crescente insicurezza, si innescano nuove linee di frattura fra quanti vogliono salvare “pezzi” di welfare, tra cui il sistema sanitario e pensionistico, e quanti tentano maldestramente di smantellare il welfare, di tagliare, in nome della spending review, indiscriminatamente le spese nel campo della ricerca, nel settore sanitario, pensionistico, lavorativo. Da qui, da un lato, l’arroccamento su posizioni precostituite e dall’altro risposte di tipo neoliberista e, alla base, l’incapacità di garantire il benessere sociale, di operare in modo efficiente, di migliorare il livello delle prestazioni, a cui si aggiunge la scarsa considerazione per il ruolo e l’importanza dei modelli redistributivi, non comprendendo che da queste potrebbe partire il modello civile di welfare.
Negli ultimi quindici anni, in particolare, il nostro sistema economico ha attraverso tre crisi economiche.
Disavanzo del bilancio e crisi economiche hanno comportato una riduzione delle spese pubbliche, tra cui le spese destinate al sistema sanitario. Per questo è diventato necessario impegnarsi per un modello civile di welfare, che fondandosi sulla società civile, sulle associazioni di volontariato, sulla sussidiarietà, sia in grado di lavorare per “il bene comune”, di impostare in maniera diversa la soluzione delle maggiori disfunzioni della società e di compensare gli squilibri che la crisi economica ha drammaticamente accentuato. Da qui il ruolo sempre più ampio che ha assunto la medicina narrativa riconosciuta, nel 2014 dall’Istituto Superiore di Sanità, una vera e propria scienza.
«Con il termine di Medicina Narrativa (mutuato dall’inglese Narrative Medicine) si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura). La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle scelte. Le persone, attraverso le loro storie, diventano protagoniste del processo di cura».
Secondo gli esperti di MN, raccontare un evento traumatico attraverso il linguaggio lo priva del suo potenziale esplosivo e contribuisce ad alleviare il dolore. In definitiva, scrivere sulle nostre difficoltà ci permette di scoprire la pienezza delle cose e le connessioni delle esperienze umane. Comprendiamo che i nostri più grandi shocks non ci separano dal genere umano, piuttosto esprimendo noi stessi stabiliamo una connessione con gli altri e con il mondo che ci circonda.
Come scrive Ira Progoff, nel suo libro Curarsi con il diario, ognuno di noi deve affrontare i suoi problemi esistenziali, ma quando siamo scesi molto in profondità, in quello che è considerato il pozzo della nostra vita, scopriamo che abbiamo oltrepassato la nostra stessa vita personale. Là in fondo troviamo un ruscello sotterraneo, e sono proprio quelle acque ad avere un effetto rinnovatore sulle nostre energie e ad attivare numerose risorse per la nostra vita
Raccontarci storie di vita l’un l’altro ci aiuta a mantenere un senso di comunità, a trascendere l’isolamento che ci separa gli uni dagli altri e a sentirci meno soli ed alienati. Indagini statistiche dimostrano che le persone che si sentono sole o isolate corrono un rischio maggiore (da tre a cinque volte) di morte prematura rispetto a coloro che hanno la possibilità di condividere la loro storia.

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