La Sicilia boschiva: un tesoro perduto nella storia
Immaginate una Sicilia verdeggiante, avvolta in una coperta di foreste rigogliose che si estendono dalle maestose cime montuose fino alle coste battute dal vento. Niente agrumi o altri alberi da frutto, men che meno coltivazioni di frumento o vite. Questa era la Sicilia prima che la mano dell’uomo intervenisse, trasformando il paesaggio per sempre. Un tempo, l’isola era un vero e proprio scrigno di biodiversità, con ecosistemi forestali che rispecchiavano la complessità climatica e geologica del territorio. Le alture montuose, le colline dolci e persino le aree più calde, ospitavano una varietà di foreste che, come custodi silenziose, raccontavano una storia millenaria.
Nel cuore delle montagne siciliane, le querce sempreverdi dominavano l’orizzonte, con il maestoso leccio (Quercus ilex L.) che si stagliava contro il cielo. Questa specie, resistente e longeva, era perfettamente adattata anche ai terreni più poveri e al clima più caldo, rappresentando l’anima delle foreste mediterranee. Accanto a loro, ma ad altitudini maggiori, le querce caducifoglie, come la roverella (Quercus pubescens Willd., 1805) prosperavano nelle aree interne più fresche e umide, e alle stesse altitudini, ma in suoli più acidi, oggi ancora visibili nei versanti tirrenici dei Nebrodi, specie endemiche come il cerro di Gussone (Quercus gussonei [Borzì] Brullo).
Dirigendosi verso le colline a nord e quelle sud-orientali, si incontravano le distese di quercia da sughero (Quercus suber L.). Queste foreste, con i loro tronchi spessi e contorti, raccontavano una storia di abbondanza e di connessione con la terra, fornendo sughero e rifugio a una straordinaria varietà di specie animali e vegetali. E mentre ci si avventurava a quote più elevate, oltre i 1000 metri, le foreste di faggi (Fagus sylvatica L.) emergevano come reliquie di un’epoca ancora più fredda e umida, assieme ad alcune specie endemiche come l’abete delle Madonie (Abies nebrodensis [Lojac.] Mattei, 1908) e le betulle etnee (Betula aetnensis Raf.), lasciandoci immaginare un paesaggio molto differente da quello odierno.
La bellezza della Sicilia boschiva non si fermava qui; nelle aree montuose fino ai 1200 metri s.l.m., cresceva ed è ancora presente il castagno (Castanea sativa Mill. 1768), un albero generoso, sia per i suoi frutti, sia per il legno, che ha reso possibile lo sviluppo di molte comunità umane, ma che al contempo ha subito un intenso sfruttamento, modificando il fragile equilibrio dell’ecosistema. Nelle aree più difficili e rocciose, sui suoli vulcanici o calcarei, dominavano le pinete, ed in particolare, il pino d’Aleppo (Pinus halepensis, Mill. 1768) e il pino domestico (Pinus pinea L.). Queste specie contribuivano a formare paesaggi unici, caratterizzati da un’apparente austerità ma ricchi di vita, mentre ad altitudini maggiori e a temperature più basse si tovavano i boschi montani di pino laricio (Pinus nigra laricio [Poir.] Maire), relegati oramai sull’Etna in una fascia compresa fra i 1500 e i 2000 metri (s.l.m.).
Lungo i corsi d’acqua, invece, si estendevano le foreste ripariali, oasi verdi dominate da salici, pioppi e ontani, che creavano ambienti umidi essenziali per la fauna e flora locale. La portata dei fiumi era molto più grande di quella odierna, basti pensare che fiumi come il Simeto erano potenzialmente navigabili.
L’ecosistema della macchia mediterranea, come lo conosciamo oggi, non esisteva, ma originò successivamente all’intervento massiccio dell’uomo sulla natura, come fenomeno di degradazione degli apparati boschivi. Circa 3000 anni fa, infatti, l’avvento dell’agricoltura e della pastorizia rappresentò l’inizio della fine per queste foreste. Gli alberi vennero abbattuti per far spazio ai campi coltivati e ai pascoli, e il legname divenne una risorsa essenziale per la costruzione e il combustibile. L’epoca greca e romana accelerò questo processo, e ben presto, gran parte dell’isola fu spogliata delle sue antiche foreste. La deforestazione portò con sé effetti devastanti: l’erosione del suolo aumentò, mentre la desertificazione cominciò a trasformare ampie aree, compromettendo l’equilibrio ecologico e portando all’estinzione di molte specie.
Oggi, la Sicilia conserva solo frammenti di quel vasto manto forestale. Tuttavia, gli sforzi per proteggere ciò che resta, attraverso parchi naturali e progetti di conservazione, rappresentano una speranza per il futuro. Luoghi come i parchi delle Madonie, dei Nebrodi e dell’Etna offrono un rifugio per le ultime vestigia di quegli ecosistemi straordinari, testimoni di un passato glorioso. La lotta per conservare questo patrimonio naturale è costante e sempre più pressante, soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici e della continua pressione dell’urbanizzazione.
La storia della Sicilia boschiva è una storia di ricchezza e perdita, ma anche di resilienza e speranza. Mentre guardiamo al futuro, è essenziale ricordare quel paesaggio rigoglioso e impegnarci a proteggere ciò che ne rimane, affinché le generazioni future possano riscoprire e apprezzare la bellezza della natura selvaggia che un tempo dominava quest’isola straordinaria.