Spengler: Il tramonto dell’Occidente.
“Il destino è la parola per esprimere una certezza interna che non può essere descritta”. Oswald Spengler.
I recenti scenari di guerra in molte parti del mondo (Ucraina, Yemen, Striscia di Gaza, Siria, ecc.) hanno messo in seria difficoltà la comunità internazionale e soprattutto il Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Dopo l’abbandono dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti, sui social e nell’opinione pubblica serpeggia talvolta l’idea che l’Occidente sia in crisi o addirittura alla sua fine. Gli intellettuali fanno spesso sfoggio di questa tesi come se fossero i primi ad averla espressa nel mondo.
Per la verità, il tema della crisi e della fine dell’Occidente è l’argomento della corposa opera di Oswald Spengler (1880-1936) intitolata Il tramonto dell’Occidente pubblicata poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Il primo volume fu pubblicato nel 1918, il secondo nel 1920, e una edizione completa e in parte rivista nel 1922-1923. Il tono complessivo di questo saggio è determinato dalla particolare situazione della Germania sconfitta in guerra e umiliata dalle terribili condizioni del Trattato di Versailles. Tuttavia, il suo autore è arrivato a determinate conclusioni riflettendo su autori vissuti in gran parte nel XIX secolo e che si erano occupati di filosofia della storia. Questi pensatori, infatti, avevano indagato i processi storici e avevano cercato di individuare le leggi che li regolano. Nell’antichità, molti filosofi pensavano che la storia dell’umanità fosse un declino da un’originaria età dell’oro ad epoche sempre peggiori. Condorcet e gli illuministi, al contrario, hanno immaginato la storia come una linea unica caratterizzata da un costante progresso. Anche durante il Romanticismo, i filosofi erano concordi nel dire che la storia fosse un unico percorso caratterizzato da leggi certe e perfettamente conoscibili. Queste visioni sono entrate profondamente in crisi con lo studio delle vicende storiche di altre civiltà, soprattutto di civiltà non europee. In particolare, gli storici hanno cominciato a scrivere la storia di regni ed imperi che avevano avuto secoli di gloria e poi erano definitivamente scomparsi. Era lecito pensare la storia come un unico processo storico? Il progresso era davvero la legge della storia? Il primato culturale economico e sociale dell’Europa sarebbe durato a tempo indeterminato oppure anche la civiltà europea sarebbe finita nella polvere come tante altre?
Cercando di rispondere a queste domande Spengler dice che l’essenza del mondo è il divenire: la realtà ha un carattere dinamico, il mondo è un divenire continuo, “un’energia dispiegantesi in una serie di antitesi”. “Il divenire della realtà, nella sua vita interna e nella sua interna antinomicità, appare inaccessibile alla conoscenza scientifica e all’accertamento rigoroso.” (Rossi). Tale divenire può essere compreso solo tramite l’intuizione che giunge a due conclusioni:
1) lo sviluppo storico ha una legge organica di natura biologica, “che è l’espressione di una necessità infallibile a cui le forme di vita non possono mai sottrarsi”;
2) ogni sviluppo storico non poggia su alcuna razionalità;
3) la legge organica del mondo è irrazionale ed è l’espressione cieca di un destino
4) lo sviluppo storico non ha lo scopo di raggiungere alcuna morale universale.
Partendo da queste premesse, Spengler argomenta dicendo che la storia è una successione di forme che compaiono e poi si esauriscono. Giunge così alla realizzazione di una morfologia della storia universale, la cui massima esposizione si ha nell’opera già citata: Il tramonto dell’occidente.
Riprendendo i pensieri già esposti, Spengler pone una distinzione tra natura e storia. La natura è il mondo del divenuto, mentre la storia è il mondo del divenire. Sono due dimensioni irriducibili in cui operano leggi diverse. La storia appare come la manifestazione di forme. La relazione tra il divenire e le sue forme è il necessario ripetersi di una medesima vicenda per ognuna di queste forme. Nella storia le forme sono le civiltà. Anche se in apparenza c’è una molteplicità di civiltà con caratteri estremamente differenti, le civiltà sono tra loro incommensurabili e non convergono verso un’unità o un fine storico. Ogni civiltà compare, si sviluppa, raggiunge il suo massimo splendore, poi tramonta e muore.
Più specificatamente, Spengler sostiene che “Una civiltà nasce nel momento in cui una grande anima si distacca dallo stato originario dell’umanità eternamente fanciulla, in cui una forma dall’informe, in cui qualcosa di limitato e di perituro scaturisce dall’illimitato e dal permanente”. Passata la sua nascita, la civiltà sviluppa la propria organizzazione politica che è “espressione della potenza della razza”, che “rappresenta l’elemento inconscio su cui poggia ogni civiltà nel suo legame con un particolare ambiente geografico al quale rimane, nell’intero concorso del suo processo evolutivo, necessariamente vincolata”. All’interno di una civiltà si formano degli stati che cercano di affermare la loro potenza. Raggiunta la massima potenza, ogni civiltà comincia a declinare e poi tramonta. È la fase della civiltà in declino o Zivilisation.
Ne Il tramonto dell’Occidente, il filosofo, già nel 1920, riteneva che l’Occidente ossia l’Europa e il Nord-America erano prossimi al loro definitivo tramonto. Il destino dell’Occidente era segnato: sarebbe tramontato come tutte le altre civiltà.
Le tesi espresse in questo libro ebbero un impatto fortissimo sulla cultura tedesca ed europea negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale caratterizzati dall’ascesa degli Stati Uniti d’America rispetto all’Europa, all’umiliazione della Germania con il Trattato di Versailles, le lotte sociali, l’ascesa del bolscevismo in Unione Sovietica.
In quest’opera di Spengler “la crisi dello storicismo [tedesco] si incontra (…) con la crisi culturale contemporanea, caratterizzata dalla caduta della convinzione dell’orientamento progressivo del processo storico e dall’incrinarsi della fiducia nell’indistruttibile sopravvivenza della civiltà. Questa crisi muove dal rifiuto di due presupposti centrali della concezione romantica della storia: il presupposto dell’unità dello sviluppo storico e il presupposto della sua progressività”.
In conclusione, possiamo affermare che tutti i sostenitori della crisi dell’Occidente e dello scontro di civiltà hanno un loro precursore nella filosofia di Spengler. È un pensatore poco letto e poco frequentato. Talvolta si da solo l’indicazione del titolo de Il tramonto dell’Occidente. È un pensatore su cui, però, bisognerebbe aprire un dibattito e una riflessione profonda.