Il particolato 2,5 (PM2,5) e la cenere dell’Etna
L’inquinamento atmosferico, in particolare l’esposizione al particolato 2,5 (PM2,5), è stato associato ad un aumento della morbilità e mortalità nel mondo. Nello specifico, sembra che il PM2,5 favorisca lo sviluppo di fattori di rischio cardiovascolare quali ipertensione e aterosclerosi, pur essendo associato ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari, tra cui infarto miocardico (IM), ictus, insufficienza cardiaca e aritmie. È quanto emerge da un recente studio dal titolo “PM2.5 and cardiovascular diseases: State-of-the-Art review”.
Si ipotizza che il PM2.5 funzioni attraverso 3 meccanismi: aumento dello stress ossidativo, attivazione della via infiammatoria del sistema immunitario e stimolazione del sistema nervoso autonomo che alla fine promuovono la disfunzione endoteliale, l’aterosclerosi e
l’infiammazione sistemica che può quindi portare agli eventi cardiovascolari. È importante notare che le varie associazioni cardiovascolari del PM2,5 differiscono riguardo alla durata dell’esposizione (breve vs lunga) al PM2,5, la fonte del PM2,5, e alle normative relative all’inquinamento dell’aria. Le attuali misure per ridurre l’esposizione al PM2.5 includono strategie governative, per esempio evitare aree ad alto contenuto di PM2,5 come le autostrade o indossare mascherine all’aperto che limitino la quantità di PM2.5 inalata. Il tema risulta quantomai attuale nell’interlard catanese, interessato negli ultimi mesi dalla ricaduta di ceneri vulcaniche. Secondo Arpa Sicilia, la qualità dell’aria a Catania ha raggiunto livelli allarmanti, principalmente a causa della cenere vulcanica che continua a ricoprire le strade. Si auspica che le evidenze circa l’esposizione al PM2,5 e la salute cardiovascolare portino a una efficiente, consapevole e tempestiva gestione delle ceneri di ricaduta.