L'Opinione

La solitudine: la grande prigione che ci siamo fabbricati da soli

“A volte ho la sensazione di essere solo al mondo. Altre volte ne sono sicuro”
Parole scritte da Charles Bokowski nel suo libro “Niente canzoni d’amore” in cui descrive la desolante vita americana che però ancora oggi, in questa nostra società alienante e disturbante, conservano tutta la loro validità.
Noi siamo soli!
E ne siamo sicuri.
Questa condizione non è solo una nostra sensazione, ma una realtà quotidiana che ci accompagna silenziosa nelle nostre giornate.
Separati gli uni dagli altri come isole, cerchiamo ossessivamente di abbattere il muro della nostra solitudine, un muro altissimo che ci illudiamo di scalare restando attaccati ai social. Crediamo che navigare nell’oceano digitale ci possa permettere di restare in contatto con gli altri, che chattare con decine e decine di utenti, soddisfi il nostro bisogno di comunicare.
Ma non ci accorgiamo che invece ci rinchiudiamo in noi stessi, dietro a degli anonimi schermi e che non instauriamo nessun tipo di relazione, perché dall’altra parte c’è qualcun altro, solo come noi.
Eppure sembra assurdo o addirittura fuori luogo parlare di solitudine nella nostra società moderna in cui è impensabile potersi estraniare e restare solo. Invece stiamo vivendo in un momento in cui i progressi tecnologici si sono rivelati una pericolosa arma a doppio taglio.
Questa ossessione di postare foto e di condividere ogni attimo delle nostre giornate, non riempie le nostre esistenze, ma non fa altro che alimentare il vuoto che ci portiamo dentro.
In questa perenne e ossessiva esasperazione della cultura narcisistica, non condividiamo sentimenti o emozioni, ma solo la nostra voglia di apparire, di mostrarci come non siamo in realtà, solo per far credere agli altri di essere migliori.
Ma l’unico risultato che otteniamo è che alla fine siamo ancora più estraniati dalla realtà e inevitabilmente ci sentiamo più soli di prima.
L’originaria illusione che i social siano un mezzo per socializzare, per creare rapporti, come una bolla di sapone, è esplosa e si è frantumata in mille riflessi luccicanti che si sono vaporizzati e non hanno riempito la nostra quotidianità.
Abbiamo progressivamente perso ogni contatto umano, invece di avvicinarci gli uni agli altri, pian piano senza che ce ne siamo accorti, ci siamo allontanati sempre di più fino a trasformarci in estranei, senza essere più capaci di instaurare rapporti reali.
La solitudine ci ha avvinghiato ed è diventato normale chattare al cellulare pur rimanendo seduti vicini a un tavolo di un bar.
Paradossalmente siamo diventati esseri soli e solitari in una società digitale e aperta al mondo intero.
Una società che decanta e che esalta ogni forma di moderna comunicazione, ma che in sostanza si è rivelata incapace di trasmettere empatia, solidarietà e sentimenti di comunione umana.
Una società che, come un abile venditore porta a porta, piazza e vende questa solitudine come una mirabolante forma di socializzazione.
Un paradosso sociale tra forme di comunicazione sempre più sviluppate e estraniamento sempre più evidente.
La solitudine, definita “beata” nei monasteri medievali perché favoriva la meditazione spirituale, o decantata dai poeti ottocenteschi come un mezzo per entrare in contatto intimo con la natura, oggi è diventata un cancro che si sta espandendo a vista d’occhio e che coinvolge sempre più individui di qualunque età.
Così tanto che numerosi stati hanno messo in atto programmi per tentare di contrastarla, l’Inghilterra nel 2018 ha addirittura istituito un vero e proprio Ministero.
Però nessun governo sarà mai in grado di contrastare questa imperante solitudine collettiva, poiché non c’è più alcuna volontà di porre in posizione centrale l’uomo in quanto tale.
L’uomo è invece costantemente e imperiosamente sommerso dal fracasso moderno che svuota l’esistenza di ogni emozione, di ogni valore o principio.
Sono queste le ancore a cui bisognerebbe aggrapparsi per non sprofondare al fondo, strappate queste, per lasciare il posto alla banalità delle apparenze, l’essere umano perde i propri punti di riferimento e viene sopraffatto dal vuoto della propria solitudine.
Un’angoscia che corrode lentamente e che deteriora ogni pensiero e azione.
Ma l’uomo è un “animale sociale” così come affermato, secoli fa, da Aristotele e ribadito successivamente dallo stesso Marx.
Ogni uomo tende per natura alla socialità, in psicologia lo stare a contatto con l’altro è essenziale per definire la propria identità.
Questo perché ogni essere umano si realizza attraverso le relazioni con l’altro, ma quando queste divengono virtuali appaiono falsate, innaturali, e generano relazioni che non uniscono ma dividono in scomparti di profonda emarginazione.
La solitudine moderna ci imprigiona tutti e ci tiene stretti dietro alle sbarre della grande prigione che ci siamo fabbricati da soli.

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