Spettacoli

Si apre il ciclo dedicato a Sciascia: “La zia d’America” a Sala Futura

È andato in scena a Sala Futura una pièce tratta dal primo dei quattro racconti della raccolta “Gli zii di Sicilia” di Leonardo Sciascia: “La zia d’America”, con Lucia Rocco, attrice e da anni assistente di De Fusco, al suo esordio come regista.
Interpreti: Roberta Amato, Luca Iacono, Silvio Laviano, e la stessa Lucia Rocco; scene e costumi Francesca Tunno; produzione Teatro Stabile di Catania.
Si apre con la trasposizione di questo racconto tratto da “Gli zii di Sicilia” il ciclo dedicato a Sciascia dal Teatro Stabile di Catania; seguiranno: “Il Quarantotto” con la regia di Laura Sicignano (23-26 maggio alla Sala Futura) e “La morte di Stalin” con la regia di Ninni Bruschetta (9-12 luglio al Palazzo della Cultura di Catania). A questi primi tre, pubblicati nel 1958 nei “Gettoni” d Vittorini, si sarebbe aggiunto due anni dopo “Antimonio”.
Siamo nella primissima fase della produzione dello scrittore di Racalmuto, nel suo momento di maggior contatto con il neorealismo in affinità con altri autori lanciati dalla stessa collana come Calvino e Fenoglio. Sarebbe giunta poi – è noto – la forte denuncia del sistema mafioso, della mentalità ad esso connessa e delle sue connivenze con la politica, attraverso la sottile capacità inquisitoria e la penetrante ricerca storica. Una letteratura militante (‘realismo critico’) che lo avrebbe portato sui seggi delle istituzioni governative su posizioni comuniste, socialiste e radicali: l’incontro con un giovane docente delle superiori, Giuseppe Granata (che fu in seguito senatore comunista) era stato determinante nella sua formazione.
Ritornando allo spettacolo, nonostante il titolo della raccolta l’unica ‘zia di Sicilia’ è proprio la parente siculo-americana che sbarca nell’isola dopo il 1943 sbandierando la sua tronfia ‘modernità’, e dando inizio al filo conduttore dell’intera raccolta. Si tratta di racconti ‘politici’ che in momenti storici diversi affrontano il controverso tema del cambiamento epocale. È l’atra faccia del gattopardiano stereotipo della Sicilia ineluttabilmente cristallizzata perché da secoli ‘immersa in un compiaciuto sonno’: anche il “Gattopardo” è del 1958! I personaggi sciasciani, invece, proiettati verso un futuro di riscatto e libertà, rappresentano l’opposto di quelli, statici, lampedusiani: un rovesciamento della visione sociale. Anche le vicende di un anonimo paesino con gli scherzi dei ragazzini e i suoi giochi di famiglia -la microstoria- si riflettono nella macrostoria e ad essa ci conducono, volta per volta e in contesti differenti. Attraverso gli occhi del ragazzino/protagonista prendono corpo illusioni e delusioni: il difficile rapporto tra paesani ed emigrati che tornano con la superbia del denaro e il disprezzo del passato, i fasti e nefasti del ventennio insieme ai prodromi del cambiamento sotto le ali ‘rassicuranti’ di De Gasperi e degli aiuti d’oltreoceano. “La zia d’America” incarna così il sogno dell’emigrante; un improbabile fascismo viene rappresentato anch’esso da uno “Zio” frustrato dall’arrivo degli Alleati ma pronto a rinnegare l’antica fede al ‘fascio’ di fronte ad un fortunato matrimonio (con la cugina civetta che ha ‘iniziato’ il protagonista alla sensualità) che lo porterà in America, proprio nella patria dell’antifascismo.La Sicilia dunque come metafora di un dualismo culturale che genera perplessità! Da un lato il senso di rivalsa di chi, partendo, ritiene di aver fatto la scelta giusta, dall’altro l’orgogliosa dignità, in una dimensione quasi onirica, di chi è rimasto a ‘ricostruire’.“Scissa tra i due mondi che le appaiono irriconciliabili per quanto nient’affatto estranei l’uno all’altro -afferma Lucia Rocco- la Zia vede il sogno americano, di cui è l’incarnazione posticcia, liquefarsi nella risacca delle onde del mare di Sicilia. E allora, la Zia, impara a nuotare sospinta dalla funambolica scrittura di Sciascia, tra analisi sociale e intimità umana, dove sbatte e si ritrae la vis polemica di uno degli autori più lucidi e penetranti della Letteratura italiana”.
Felice ritorno dunque, questo, agli inizi della produzione letteraria di Sciascia. Forse un po’ meno ‘matura’ la trasposizione teatrale dell’esordiente regista, a volte esasperata e molto…urlata, ma con riuscite pennellate di coevo avanguardismo e pur sempre gradita al pubblico plaudente.

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