Rosa Balistreri: una vita caparbia, da ricordare
Se dovessimo fare un accostamento, paragonando Rosa Balistreri ad artisti cosiddetti: di protesta, non troveremo nulla che si possa paragonare a lei ed al suo modo di creare e vivere la musica popolare. All’interno delle sue opere musicali le parole prendono forma, trasformandosi in veri e propri messaggi rivoluzionari, mossi a smuovere le coscienze, dei siciliani, ieri e di oggi. I testi pungenti che scrisse, racchiusero, rabbia, amore e voglia di riscatto dei picciotti della sua generazione. Rosa, sperava con tutto il suo cuore che, le sue canzoni potessero almeno far riflettere chi le ascoltava. La Balistreri, non le mandava certo a dire, quando determinata metteva la sua faccia e la sua voce, (dal timbro inconsueto per una donna) esprimendo a chiare lettere in una delle sue canzoni, i rapporti che intercorrevano tra la mafia e i parrini, oppure quando con la canzone “A’ Sicilia avi npatruni” traspare la rassegnata ed inaccettabile idea, di relegare la Sicilia a terra di malaffare. Rosa, invitava tutti a ribellarsi nelle strade e nelle piazze a chiedere quei diritti e sogni che, solamente in pochi eletti, potevano goderne, ovvero: gli amici degli amici. Nata a Licata nel 1927 da famiglia poverissima, a sedici anni si sposa e poco dopo diviene madre della sua unica figlia; una vita matrimoniale patita e sofferta, come lei stessa affermò anni dopo descrivendo suo marito come: jucaturi e mbriacuni!” A causa di questi vizi Rosa, un giorno lo aggredì con un taglierino, per causa di un debito di gioco. Scontò sei mesi di carcere, appena uscì di galera si diede da fare come poteva, vendeva lumache e fichi d’india per poi fare la governante in una famiglia bene di Palermo; in quel periodo Rosa, trentenne, impara a leggere e scrivere. Fece anche la sagrestana, ma anche lì fu sfortunata, così insieme al fratello, alla figlia ed alla sua famiglia d’origine, emigrò a Firenze: lì la svolta per lei. Erano gli anni sessanta e Rosa a Firenze, incontra e si innamora del pittore Manfredi Lombardi, è vive con lui dodici anni. Questo periodo, le permise di conoscere e far parte del mondo degli intellettuali di allora, scrisse canzoni popolari e con la sua chitarra partecipò ad uno spettacolo ideato e condotto da Dario Fo. Le sue interpretazioni drammatiche e determinate, lasciano il segno sugli spettatori e non solo. Incide dischi, i suoi concerti nei teatri e nelle piazze riscuotono grande successo, i meridionali emigrati, le donne e gli operai a cui lei si rivolge, vengono stimolati a lottare sempre e comunque. La popolarità in tutto il nostro paese e non solo in Sicilia, era ormai consolidato. Passarono gli anni settanta ed ottanta, fino alla sua morte avvenuta nel 1990 a Palermo. La sua terra si stava già trasformando grazie alla nuova generazione di ragazzi che iniziavano a sentire la propria terra (che prima non sentiva) come una meravigliosa opportunità di viverla e scoprire quante cose aveva ed ha da offrire. Crescere in Sicilia, comprendendo che ognuno deve dare il proprio contributo affinché vi sia sempre una svolta netta in positivo, imparando dagli errori del passato; ci sarebbe tanto ancora da raccontare su questa donna straordinaria che ha fatto della sua arte popolare, un vero e proprio mezzo per abbattere la cultura mafiosa e per comunicare il suo pensiero e le sue origini e la sua arte che, come lei stessa definiva una: “cunta storie”. Rosa creò un cult che non passerà mai di moda. Dimostrò coraggio e determinazione, non fermandosi agli stereotipi che accomunano noi siciliani solo alla mafia. È stata e sarà la nostra Rosa che, ancora oggi con il tuo testamento musicale, “canta e cunta”.