Libertà di parola: all’altro non è permesso esercitare lo stesso diritto!
Giuste occupazioni di atenei che degradano in soprusi intellettuali, lecite contestazioni e cortei che si trasformano in imposizioni urlate e violente del proprio messaggio, necessari dibattiti politici che diventano prevaricazioni ideologiche.
Tutto questo in nome del democratico principio della libertà di parola.
Ma fino a che punto questo principio può essere esercitato per non degenerare in una pratica indiscriminata e del tutto arbitraria?
Una domanda che molti evitano di porsi perché, chiusi nel proprio guscio di supponenza, si rifiutano di sentire la risposta. Molto meglio continuare a far finta che la nostra società sia improntata a principi di democrazia sociale e politica e proseguire ad abusare di questo diritto in modo parziale e autocratico.
Molto meglio evitare di ammettere che abbiamo alimentato questa nostra tanto amata libertà di espressione con i venti di un individualismo assoluto e insindacabile, e in modo così prevaricante che adesso, senza che ce ne siamo resi conto, si è trasformata in una gigantesca tempesta che ci sta travolgendo tutti senza alcuna possibilità di scampo.
La libertà di parola è stata storpiata e deturpata a una caricatura di se stessa che tutti indossiamo con estrema disinvoltura nel vano tentativo di nascondere la nostra egoistica necessità di sopraffare l’altro. Un impulso così ben radicato, da isolarci gli uni dagli altri pur affermando la nostra appartenenza sociale.
Soggiogati dalla sua imperiosità, viviamo rigorosamente trincerati nelle fosse isolate che ci siamo scavati con le nostre stesse mani. Lì dentro, i nostri pensieri rimbombano così tanto che ci siamo convinti che siano l’unica verità possibile e che chi ne esprime una differente sia il nemico che ci toglie il nostro tanto caro diritto di parola.
Questo intoccabile diritto di parola che, da solo, basta a elevarci a un livello superiore di giudizio.
All’altro non è permesso esercitare il nostro stesso diritto!
Immediatamente si solleva un’ondata di indignazione per il grave affronto subito, e come, vittime sacrificali, gridiamo allo scandalo, alla censura e ci compattiamo in schieramenti opposti come eserciti che combattono un’immaginaria battaglia creata solo da pregiudizi e da false diversità.
Per sostenere la nostra inappellabile tesi, poniamo a sostegno i media e i giornali che condividono le nostre stesse posizioni ideologiche, gli articoli delle altre testate sono faziosi e cancellano la verità fattuale. Quella verità che invece noi possediamo come rivelata, discesa dall’alto dei nostri cieli che sono sempre più limpidi e azzurri di quelli che stanno sopra la testa di chi osa contraddire.
Sbandieriamo la nostra libertà di parola come un diritto democratico, anche se non sappiamo più che cosa significhi realmente.
Socialmente e politicamente abbiamo smarrito il suo senso più profondo, lo abbiamo relegato nelle pagine della nostra Costituzione per poterlo piegare alle nuove regole di prevaricazione con cui abbiamo plasmato la nostra società.
Ci siamo dimenticati che all’interno di un vero sistema democratico esiste sempre un terreno comune di incontro e di scontro, ma mediato sempre da un dibattito e da un confronto tollerante e rispettoso delle differenti posizioni.
Non condividiamo più la stessa realtà, la tiriamo da una parte all’altra come una tela fino a che non si lacera e a ognuno di noi non rimane altro che un piccolo pezzetto che non ci permette più di comprenderla nella sua interezza.
Abbiamo distrutto la nostra vita come comunità e con essa il valore di una società effettivamente democratica.
Non facciamo altro che lamentarci della nostra mancanza di libertà di parola, senza renderci conto che il vero problema è che ne abbiamo così tanta che ne siamo totalmente travolti e, inevitabilmente, perdiamo di vista il suo limite.
Ma nella nostra arroganza sociale, ne siamo fieri, più travalichiamo questo limite e più crediamo di aver esercitato con giustezza il nostro sacrosanto diritto di espressione.
Un diritto che ci fa sentire orgogliosamente pregni della nostra forza di individui pensanti (la nostra elevatezza di pensiero è direttamente proporzionale al livello di violenza verbale e fisica con cui la si manifesta).
Infiammati dal sacro fuoco di una libertà di parola tutta a nostro vantaggio, imponiamo con arroganza il nostro codice ideologico e politico e tacciamo di oppressione liberticida chi osa opporre un pensiero discordante, privando volutamente gli altri di quegli stessi diritti in nome dei quali ci ergiamo a paladini.
In questo gioco ridicolo quanto assurdo ci sollazziamo e non ci accorgiamo che lentamente ci siamo pericolosamente avviati per una strada senza sbocco, lungo la quale, a ogni metro che percorriamo calpestiamo ogni accenno di libertà di parola altrui, a ogni chilometro mettiamo a tacere ideologie sociali e politiche diverse dalle nostre e, alla fine di questo tragitto, troveremo un insormontabile muro sotto il quale uccideremo qualunque forma di libera espressione.
A quel punto avremo creato una società non tanto diversa da quella repressiva del nostro recente passato segnata dall’ottusità storica di chi diciamo di combattere.