Un’esperienza di metateatro con “Questa sera si recita a soggetto”
Al Piccolo Teatro della Città è andata in scena la pièce di Luigi Pirandello “Questa sera si recita a soggetto”, diretta dal regista Nicola Alberto Orofino che ne dà una versione fedele ma innovativa
Protagonista: Mirko Magistro insieme a: Egle Doria, Barbara Gallo, Giovanni Arezzo, Luca Fiorino, Lucia Portale, Anita Indigeno, Eleonora Sicurella, Giorgia Faraone, Daniele Bruno, Luigi Nicotra, Vincenzo Ricca, Alberto Abbadessa, Alessandro Chiaramonte e Amedeo Amoroso, Grazia Cassetti, Chiara Di Gregorio, Carmelo Incardona, Iris Concetta Lombardo (e le piccole Arianna Garaffa, Marina Doria).
Scene e costumi: Vincenzo La Mendola; rielaborazioni musicali e soundtrack live: Giorgia Faraone; assistente alla regia Gabriella Caltabiano; luci: Simone Raimondo.
Messa in scena per la prima volta a Königsberg il 25 gennaio 1930 nella versione in tedesco tradotta dall’italiano da Harry Kahn col titolo “Heute Abend wird aus dem Stegreif gespielt “(in Italia fu rappresentata nell’aprile dello stesso anno al ‘Teatro di Torino’), “Questa sera si recita a soggetto” chiude la fase del ‘teatro nel teatro’, la trilogia che Pirandello aveva aperto con “Sei personaggi in cerca d’autore” e continuato con “Ciascuno a suo modo”.
Una compagnia di attori diretti dal capocomico Hinkfuss, deve rappresentare una
novella di Pirandello, (“Leonora, addio!”) recitando a soggetto.
Fuori scena, il regista Hinkfuss, cercando il consenso del pubblico, dichiara che l’autore, il drammaturgo, deve sparire anche dal programma e dai manifesti per dare posto unicamente a lui: una vera e propria, a detta di Orofino, ‘dittatura registica’ (“Unico responsabile sono io!”).
Via dunque i copioni, eliminato lo stesso Pirandello.
Una decisione non certo indolore per gli attori intolleranti nei confronti del capocomico ‘tiranno’ che vuole annullare la loro dignità professionale di ‘personaggi’, e che verrà pertanto a sua volta cacciato via dalla scena.
Solo con queste premesse può aver luogo una recita che rompe tutte le convenzioni teatrali ed è insieme “un grande studio di regia e sulla regia, scrive Orofino nelle sue note, uno spaccato di tentata rappresentazione che coinvolge tutte le tipologie
teatrali (il teatro brechtiano, quello naturalistico, la farsa, il dramma sentimentale,
l’opera lirica, la pantomima, il teatro futurista…)”
Nicola Alberto Orofino, regista molto conosciuto e altrettanto amato dal pubblico catanese, nell’intervista rilasciata al nostro giornale ha dichiarato la sua soddisfazione per l’occasione che questo lavoro gli ha concesso di rincontrare il maestro Mirko Magistro e rafforzare così il loro sodalizio: “In questa produzione che è la terza con Magistro, l’attore si comporta da dittatore del tetro tutto fino a diventarne l’unico elemento…per questo lavoro di Pirandello in cui non si racconta niente… si scrive una commedia che non si scrive, si racconta una storia che non si racconta, si rappresentano delle scene che non si rappresentano, eppure ci si trova dentro e nel bel mezzo …scritto in Germania in anni critici vicini ai giorni nostri. Il cast è molto consistente e vario ma capace di creare uno stile e un linguaggio comune”.
Di riscontro anche il maestro Magistro, ripercorrendo la sua lunga carriera si dichiara felice di sentirsi ‘coccolato’ dai compagni di scena, esprime la sua ammirazione per il regista che definisce tra i più sensibili nel panorama teatrale italiano: “Bisognerebbe praticarlo, viverlo per poter assaporare, gustare le sue straordinarie qualità, la fantasia, il suo talento musicale, la sua cultura”. Mi piace pensare a quanto fu innovativo, quasi cento anni fa, questo testo con cui Pirandello infranse tanti schemi un po’ come Lucio Fontana fece anni dopo, eliminando il colore e squarciando una tela…”.
Non a caso Pirandello scriveva in quegli anni in cui, lasciata l’università di Roma per contrasti con un docente, si laureava a Bonn (1891).
La crisi del 1929 insieme all’inflazione e ai gravi problemi politici legati al Trattato di Versailles (‘il peccato originale’), alla caduta dell’impero e alla minaccia incombente del nazismo aveva messo a dura prova la Repubblica di Weimar (1919-1933), quel tentativo liberal-costituzionale che si sarebbe chiuso con la morte di Hinderburg e il cancellierato hitleriano.
Il clima creato da Walter Gropius e dal ‘suo’ Bauhaus, da Kurt Weil e da Bertolt Brecht aveva certamente avuto il suo ruolo nel pensiero pirandelliano.
L’influenza dell’ambiente è indubitabile: il la tragedia era alle porte.
In tal senso “Questa sera si recita a soggetto” con la sua destrutturazione totale, con la frantumazione di ruoli, linguaggi e soluzioni sceniche diventa una metafora.
Di ciò che sarebbe venuto dopo Pirandello avrebbe avuto conoscenza solo dall’estero.
Se la pièce di questa sera sembra un’accusa contro la dittatura, ci si domanda, come si coniuga con l’ambivalente rapporto dell’autore con il fascismo cui aveva già aderito dal 1924?
Il tema è sempre stato oggetto di un ampio dibattito: fu per interesse di produttore o il premio Nobel credeva veramente ne ‘l’uomo del miracolo’?
L’adesione al regime nel 1924 poteva essere coerente, in un certo senso, con il disprezzo del figlio di un ex garibaldino nei confronti della classe politica ‘liberale’ non all’altezza delle istanze risorgimentali.
Per Piero Meli, comunque, Pirandello trovava nel fascismo l’ideologia politica più aderente al suo pensiero: “Io sono fascista perché credo soltanto nella creatività dei singoli e non in quella delle masse.”.
Ricevette, non sempre, soddisfazioni e prebende da Mussolini e ricambiò partecipando alla Guardia d’ Onore al Palazzo delle Esposizioni nel 1935, con l’offerta della medaglia del Nobel per ‘l’oro alla patria’ e con la sua adesione al Manifesto degli Intellettuali Fascisti. Ma, continua lo stesso Meli, non c’è niente di antifascista -è vero- nella produzione letteraria di Pirandello, così come non c’è niente di fascismo, poiché si schierò apertamente contro un’arte del regime: Pirandello invocò sempre l’autonomia dell’arte dalla politica.
Ma torniamo allo spettacolo.
Riprendendo la vicenda della novella del 1910 “Leonora, addio!”, raccolta poi in ‘Novelle per un anno’, si dipana la trama che, sotto i falliti ‘diktat’ del capocomico mette in scena i La Croce con l’insignificante padre, la dominante madre, quattro figlie, e le allegre avventure delle donne di famiglia (‘così si usa nel continente’) che si intrattengono lietamente con alcuni ufficiali della finanza.
La commedia si incentra poi sulla gelosia di Rico Verri per la moglie Mommina, una delle figlie, che – lui ritiene- ha avuto un passato turbolento. Il marito, pazzamente geloso, non riesce a conoscerlo né a dimenticare il suo rovello costringendo la donna a rimanere segregata in casa, insieme alle due bambine, fino a farla morire.
VERRI: Serro porte e finestre, metto sbarre e spranghe, e che mi vale se è qua, qua dentro lo stesso carcere, il tradimento? qua in lei, dentro di lei, in questa sua carne morta – vivo – vivo – il tradimento – se pensa, se sogna, se ricorda? Mi sta davanti; mi guarda – posso spaccarle la testa per vederle dentro, ciò che pensa? Glielo domando; mi risponde: «niente»; e intanto pensa, intanto sogna, ricorda, sotto i miei stessi occhi, guardando me, e forse avendo un altro, dentro, nel suo ricordo; come posso saperlo? come posso vederlo?… Anche se t’accecassi, ciò che i tuoi occhi hanno veduto, i ricordi, i ricordi che hai qua negli occhi, ti resterebbero nella mente; e se ti strappassi le labbra, queste labbra che hanno baciato, il piacere, il piacere, il sapore che hanno provato baciando, seguiteresti sempre a provarlo, dentro di te, ricordando, fino a morirne, fino a morirne di questo piacere!… l’hai fatto, l’hai fatto, questo male; e lo sai, lo vedi ch’io ne soffro, ne soffro fino a diventarne pazzo; senza colpa, per la sola pazzia che ho commessa, d’averti sposata.
MOMMINA: …sii crudele, sii crudele con me; ma abbi pietà almeno di te stesso pensando che mi credesti migliore; che pure tra quella vita credesti di potermi amare… Ah figlie, figlie mie, che sorte è stata la vostra! peggio della mia! ma voi almeno non lo sapete! E la vostra mamma ha tanto male, tanto male qua al cuore; mi batte, ho qua nel petto come un galoppo, come un galoppo di cavallo scappato…
(Canta l’aria del “Trovatore”)
«Ah! che la morte ognora /è tarda nel venir/a chi desia/a chi desia morir!
Addio, addio, Leonora, addio…».
(Mommina cade morta)
Il regista Hinkfuss, freddamente e incredibilmente, a questo punto dichiara con presunzione che l’accaduto dimostra la sua tesi!
Un grande plauso va a tutti gli interpreti, al regista e al Teatro della Città che ha promosso l’iniziativa.
Un encomio particolare va a questa magnifica Mommina, a Egle Doria, un’attrice che ho visto crescere, giunta oggi ai più alti vertici della sua professionalità. Nella drammaticità dell’ultima scena ci ha commossi e si è commossa al punto di non riuscire più a frenare le lacrime neanche alla fine dello spettacolo, uscendo a ricevere gli applausi.
Applausi scroscianti e meritati per tutto il cast, per l’ingegnoso regista e l’indovinata colonna sonora, per questo magnifico spettacolo e per il suo autore.
Ancora una volta Pirandello si dimostra, come tutti i grandi, universale.
Al di sopra del tempo e dello spazio ci invita a riflettere sulle debolezze umane in un contesto, concludo con inquietudine insieme al regista Orofino, “forse del tutto comparabile ai tempi che stiamo vivendo”.
Foto e video di Lorenzo Davide Sgroi