“Peer Gynt” al Teatro Massimo ‘Bellini’
Interessante, non facile, coraggiosa iniziativa quella del progetto “La prosa in musica” portato avanti dalla coproduzione tra due prestigiose realtà culturali della nostra città: il Teatro Massimo ‘Bellini’ e il Teatro Stabile.
In perfetta sinergia il Sovrintendente Giovanni Cultrera di Montesano e il CdA dello Stabile hanno creato un fascinoso connubio tra musica coral-sinfonica e drammaturgia, un raffinato lavoro filologico, mettendo in scena la versione originale (ma in lingua italiana, purtroppo senza le didascalie) del poema in cinque atti “Peer Gynt” di Henrik Ibsen, nella riduzione drammaturgica di Sergio Sablich, accompagnata dalla versione ritmica della musica di Edvard Grieg -indispensabile per adattare il norvegese all’italiano- di Sirio Scacchetti.
La bacchetta del direttore ospite principale Vitali Alekseenok e la regia di Alessandro Idonea hanno fuso, in un magico amalgama, l’Orchestra, il Coro (diretto dal maestro Luigi Petrozziello), le voci soliste del soprano Marily Santoro e del baritono Enrico Marrucci, insieme alla recitazione di Rita Abela, Giorgia Boscarino, Franz Cantalupo, Pietro Casano, Evelyn Famà, Franco Mirabella, Marcello Montalto, Rita Fuoco Salonia. Le luci di Gaetano La Mela hanno animato la scena.
È opera della maturità (Ibsen cominciò a comporla a 46 anni), il Peer Gynt.
Nato in Norvegia da una ricca famiglia di discendenza danese e tedesca che ben presto sarebbe caduta in miseria, dopo un’infanzia e una giovinezza chiusa e solitaria, ai limiti della misantropia, Ibsen dovette abbandonare gli studi per sostenere la famiglia.
A 21 anni, già padre di un figlio illegittimo (…da mantenere) pubblicava la sua prima poesia, “I Høsten” (‘In autunno’), e lo sfortunato dramma “Catilina”, inviso a pubblico e critica.
A Christiania (oggi Oslo) si accostò anche alle idee socialiste post quarantottesche e alla temperie politica del tempo.
Nel 1850 cominciano finalmente i primi successi con l’atto unico in versi “Il tumulo del guerriero” e con una borsa di studio a Dresda e Copenaghen (dove conobbe Andersen).
Seguiranno “La notte di San Giovanni”, commedia romantica in tre atti, “Donna Inger”, piena di passione politica e “Una festa a Solhaug” che diede al suo autore una certa popolarità tanto da essere rappresentata davanti a Napoleone III in visita in Norvegia nel 1856.
L’11 agosto 1857 Ibsen firmò il contratto come direttore artistico del Kristiania Norske Theater.
Ma è il 1864 l’anno cruciale.
Ibsen infatti pubblicava “I pretendenti al trono”, scritto in sei settimane, contemporaneamente alla II guerra dello Schelswui – Holstein, o guerra dei Ducati, tra Prussia Austria contro la Danimarca che in quel conflitto perse i suoi territori. L’indifferenza e il non (promesso) intervento del re di Norvegia e Svezia, Carlo X, aveva causato la sconfitta bellica e l’indignazione del nostro drammaturgo nei confronti del suo paese natale.
Nello stesso anno Ibsen partiva per l’Italia (“quella luce meravigliosamente chiara che costituisce la bellezza del Sud avrebbe influenzato tutto il mio lavoro successivo…”).
È il nostro momento.
Dopo un viaggio tra Ischia e Sorrento, infatti, compone il Peer Gynt (1867): la fase romantica ibseniana si conclude.
Quella più squisitamente borghese si aprirà nel con “Samfundets støtter” (“I pilastri della società”, 1877), seguito dalla notissima “Et dukkehjem” (“Casa di bambola”, 1879).
Ma questa è un’altra storia.
Scritto nel 1867 in Italia, il Peer Grynt, in versi, in origine non era destinato alla rappresentazione ma alla sola lettura, fino al 1874 quando Ibsen, ritenendo che la formula più adeguata fosse quella del musikalsk drama, o forse anche suggestionato dal ‘Faust’ di Gounod, chiese al suo amico e connazionale, Edvard Grieg -che aveva conosciuto personalmente Roma nel 1866- di mettere in musica quel dramma destinato a diventare l’opera più centrale e identificativa della Norvegia.
Dopo qualche perplessità il compositore accettò l’arduo compito di trasformare un’opera letteraria “così permeata dallo spirito norvegese” (aveva ereditato dalla madre il folklore musicale della sua terra, tanto diverso da quello europeo), realizzando una partitura per coro e orchestra fra il 1874 e il 1875.
La musica fu completata nell’autunno del 1875 e la prima, con grandi allestimenti, fu rappresentata il 24 febbraio 1876 nel teatro di Christiana (l’attuale Oslo).
Ben presto però nell’immaginario collettivo la drammaturgia avrebbe ceduto il passo alla musica che, indipendentemente dal testo, sarebbe rimasta immortale specie quando, nel 1886 e nel 1892, dalla partitura teatrale (op. 23) Grieg decise di ricavare due suite sinfoniche (op. 46 e 55), che diventarono le sue più note composizioni:
‘Il mattino’, del IV atto e l’ultimo brano, ripreso dall’antica ballata medievale norvegese ‘Jeg lagde mig så silde’: ‘La canzone di Solvejg’, della donna cioè che avrebbe aspettato Peer tutta la vita nella sua capanna, intenta – novella Penelope- a filare.
Con un raffinato lavoro di scandaglio è tornato alla luce e al godimento del pubblico il testo, riadattato (nell’originale l’opera durava 5 ore), di questo dramma di importanza centrale nella produzione di Ibsen, considerato il padre della drammaturgia moderna. L’opera infatti sta al confine tra il primo periodo “romantico” e il successivo, cosiddetto ‘borghese’, mentre l’ambientazione fantastica lo allontana dal realismo “naturalista” delle opere della sua maturità
“Interessante operazione – sottolinea nell’intervista rilasciata al nostro giornale il maestro Sirio Scacchetti – che consente di ascoltare in forma inedita e originale questa splendida composizione adattando il ritmo della musica ad un testo italiano dall’originale norvegese”.
Anche il direttore d’orchestra Vitali Alekseenok ci ha rivelato le difficoltà che hanno accompagnato il suo lavoro: “c’è tanta musica, bellissima, che noi non conosciamo e che accompagna attori, solisti e coro…opera lirica con drammaturgia, dramma e melodramma attorno ai dubbi esistenziali di Ibsen…”.
E veniamo alla trama.
Nella leggenda Peer Gynt è un cacciatore solitario che nella foresta incontra e uccide un troll, mentre nel dramma ibseniano è un uomo che, senza averne contezza, nell’arco di tutta la sua rocambolesca vita è alla ricerca di se stesso.
Il giovane Peer, privo di volontà e di ideali, sogna di compiere epiche imprese ma, dedito al bere e alle risse, si dimostra capace solo di abbandonare la madre per gozzovigliare, ingannare la legge, sedurre e deludere le donne che incontra nel suo errabondo e sconclusionato viaggiare: dai fiordi e dai boschi nordici al deserto egizio, al Marocco, al Sud America, fino al naufragio da cui si salverà mentre torna, ormai vecchio in Norvergia.
Dall’incontro con il ‘Fonditore di bottoni’ sortisce il nefasto presagio: l’anima di Peer deve finire nel crogiolo insieme ad altri oggetti mal riusciti se lui non sarà in grado di dire quando, nel corso della propria vita, è stato “se stesso”.
Ma Peer riesce a ottenere una deroga qualora giungesse a riconoscere il suo ‘io’.
Anche il diavolo lo rifiuta perché non è stato mai buono neanche come peccatore (“Oggigiorno i peccatori veramente grandi non si incontrano più -dice il Fonditore di bottoni- il peccato richiede serietà… impegno e per questo sei stato scartato!).
Molto confuso, l’uomo, diventato vecchio, finalmente raggiunge Solvejg che, innamorata di lui e da lui rifiutata, lo aveva atteso per tutta la vita presso la capanna nella foresta.
La donna lo accoglie a braccia aperte ringraziandolo per aver fatto della sua vita un “magnifico canto”.
Il dramma giunge al suo epilogo:
Peer Gynt: Oh! Dolore atroce, senza fine, tornare, entrare, ritrovare la casa!
Solvejg: Grazie a te la mia vita è stata una canzone meravigliosa.
Peer Gynt: Dì dunque ciò che sai. Dov’ero? Dov’era il mio ‘io’ vero? Dov’ero col segno di Dio impresso in fronte?
Solvejg: Nella mia fede, nella mia speranza e nel mio amore.
Peer Gynt: Mia madre, mia sposa, donna senza colpa! … Oh accoglimi, nascondimi nel tuo seno! …
Solvejg canta: Dormi, mio dolce bambino, ti cullerò, ti veglierò… Nel mio grembo ha ascoltato il canto, con me ha giocato tutta la vita. Ora vuole stare stretto al seno di sua madre, che Dio lo benedica! Al mio petto lo lascio riposare, per tutta la vita. Ora è tanto stanco. Dormi, mio dolce bambino. Dormi! Dormi! Ti cullerò, ti veglierò… Dormi! Dormi! Dormi e sogna, bambino mio!
Raccogliendo il suo ultimo respiro, solo lei lo salverà dalla dannazione dichiarando che Peer è sempre stato se stesso nella fede, nella speranza e nell’amore che da sempre prova per lui, per il protagonista di un dramma di avventure che – secondo Ivo de Figueiredo – “percorre una fantastica odissea attraverso la vita per conquistare infine principessa e regno nella capanna di Solvejg”.
Alla fine di questo allegorico romanzo di formazione “Vincerà l’idea morale – suggerisce il regista Alessandro Idonea – o l’uomo, privo d’anima e di valore, precipiterà nella rovina? Ecco il problema che Ibsen pone al centro: la ricerca del proprio io…”
La caduta e la successiva redenzione di questo antieroe segnano, in chiave esistenziale, gli estremi della ricerca di un centro gravitazionale, della propria identità.
Un Peer Gynt, dunque, con cui Ibsen affonda le sue radici nel Romanticismo, ma già prefigura il Modernismo.
“Un’operazione – dichiara infine Alessandro Idonea – che attraverso il connubio tra musica e prosa riesce a toccare le vette più alte dei sentimenti, un’esperienza che va dritto al cuore”.
Foto e video di Lorenzo Davide Sgroi